Economia
Non solo delocalizzazione: la riscossa del vero jeans Made in Italy (quello fatto a mano in Veneto)
Dimenticate il fast fashion: viaggio in laboratorio tra denim giapponese, triple impunture e una filiera interamente vicentina che sfida la globalizzazione

Spesso ci siamo abituati a pensare al settore tessile come a una landa desolata di delocalizzazioni selvagge, dove la produzione di un paio di jeans è sinonimo di sfruttamento in Bangladesh o in qualche remota area dell’Africa, con salari da fame e qualità da “usa e getta”. Eppure, per chi crede ancora nell’economia reale e nel valore aggiunto della manifattura domestica, esistono eccezioni che confermano come il saper fare italiano non sia morto, ma si sia rifugiato nell’alta qualità.
È il caso del progetto Iceman di Spirit of St. Louis, che ha deciso di mostrare – senza filtri e con una trasparenza rara – cosa significhi realmente produrre un jeans in Italia oggi. Non stiamo parlando di un semplice assemblaggio finale per ottenere l’etichetta tricolore, ma di una filiera corta, cortissima, radicata nel vicentino.
Questo non è un articolo promozionale a pagamento, ma vuole solo mostrare come certe cose si possono ancora fare in Italia, e bene. Basta pensare di comprare un prodotto che duri, che non sia solo qualcosa usa e getta, per una stagione, ma un prodotto durevole, caratteristico della persona che lo indossa.
Il ritorno alle origini: 1881 e Denim Giapponese
L’operazione è interessante anche dal punto di vista storico e culturale. Il modello Iceman è una replica fedele dei pantaloni da lavoro utilizzati dai pionieri e dai cercatori d’oro americani nel 1881. Un capo che doveva essere indistruttibile per necessità, non per vezzo. Per replicare quella robustezza, la scelta è ricaduta su un Denim giapponese di alta grammatura (noto per essere il migliore al mondo per i puristi), lavorato però interamente da mani italiane.
In un video documentario di dieci, decisamente lungo per i canoni frenetici dei social ma necessario per chi vuole capire la tecnica, viene svelato il processo produttivo. Non c’è magia, c’è manifattura. E la manifattura, quella vera, richiede tempo.
La complessità nascosta nei dettagli
L’analisi del processo produttivo rivela perché un capo artigianale non possa costare come uno industriale. Le fasi di lavorazione seguono protocolli che l’industria del fast fashion ha abbandonato da decenni per tagliare i costi.
Ecco le caratteristiche tecniche salienti che emergono dalla produzione:
La tripla impuntura parallela: Non è un dettaglio estetico, ma strutturale. Richiede macchinari specifici che gestiscono fili spessi e, soprattutto, operatori in grado di controllare la tensione su tessuti pesanti. Come recitava un vecchio spot, “la potenza è nulla senza controllo”: qui la mano del sarto è essenziale.

Sacchi tasca e timbratura: I sacchi tasca sono realizzati in cotone grezzo a filo ritorto (doppio o triplo). Ogni pezzo viene tagliato a mano, stirato singolarmente e timbrato con strumenti creati ad hoc.
Gestione dei tessuti diversi: Lavorare il denim pesante (rigido) in sovrapposizione con cotoni più leggeri è un incubo ingegneristico per chi cuce. Richiede una gestione delle tensioni che una macchina automatica standardizzata fatica a replicare senza difetti.
Il cinturino posteriore (Back Cinch): Un dettaglio tipico di fine ‘800, ampio e avvolgente, fissato con numerose salde per garantire che il pantalone resti in posizione anche sotto stress lavorativo.
L’importanza della “Travettatura” e della filiera locale
Un aspetto tecnico spesso ignorato dai non addetti ai lavori è la travettatura (o salda). Si tratta di quei piccoli rinforzi di cucitura densa posti nei punti di maggiore tensione: tasche, passanti, asole. Nel modello Iceman, queste sono raddoppiate rispetto allo standard commerciale. Il risultato è un capo “ingegnerizzato” per durare, non per essere sostituito dopo una stagione.
Ma il dato forse più rilevante per chi osserva l’economia del territorio è l’indotto. I bottoni in acciaio sono fabbricati e personalizzati in Italia. L’etichettatura, il taglio, la stiratura e l’assemblaggio avvengono in un raggio di pochi chilometri attorno a Vicenza.
Possiamo dire che, prima ancora di essere Made in Italy, questo è un prodotto 100% Made in Veneto. In un’epoca di catene di fornitura lunghe e fragili, vedere un esempio di produzione a “chilometro zero” nel tessile è una piccola, ma significativa, rivincita della produzione di qualità sulla quantità senz’anima.
Domande e risposte
Perché un jeans artigianale costa molto più di uno industriale? La differenza risiede nel tempo di lavorazione e nella manodopera. Un jeans industriale è assemblato in catene automatizzate, spesso in paesi a basso costo del lavoro, con passaggi standardizzati. Un jeans come l’Iceman richiede taglio manuale, stiratura singola di ogni componente, uso di macchinari specifici per spessori elevati e, soprattutto, personale italiano specializzato. La gestione di tessuti diversi (denim pesante e cotone leggero) e la tripla impuntura richiedono una perizia tecnica che l’automazione di massa non può replicare con la stessa cura.
Cosa significa “Denim Giapponese” e perché viene usato in Italia? Il denim giapponese è considerato oggi il “gold standard” per gli appassionati di jeans, superiore per consistenza e tecnica di tintura (spesso indaco naturale) rispetto ai tessuti commerciali. I telai giapponesi spesso replicano le vecchie macchine americane a navetta, creando un tessuto con una “mano” e un carattere unici. Utilizzarlo in Italia significa unire la miglior materia prima disponibile sul mercato globale alla maestria sartoriale italiana. È una scelta tecnica per garantire che il capo invecchi migliorando, invece di deteriorarsi.
Che cos’è la travettatura e a cosa serve? La travettatura è un’operazione di rinforzo fondamentale nella sartoria da lavoro. Consiste in una serie di cuciture fitte e ravvicinate, eseguite sui punti del pantalone soggetti a maggiore stress meccanico, come gli angoli delle tasche, i passanti della cintura e la base della patta. Senza travette di qualità, il tessuto o le cuciture cederebbero sotto tensione. Nel modello Iceman, l’uso intensivo di travette e segnature a mano serve a rendere il capo virtualmente indistruttibile, recuperando la funzione originale del jeans come abito da lavoro pesante.









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