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“Neoliberismo e sovranismo: un necessario chiarimento.” di R. SALOMONE-MEGNA

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A partire dalla fine degli anni “60 si è assistito, in varie parti del mondo, alla rinascita del pensiero liberista, che venne chiamato neoliberista, per differenziarsi dal liberismo classico, quello del “laissez faire” dei mercati, che aveva portato alla crisi del “29 e quindi posto le basi per il secondo conflitto mondiale.

Pertanto, impresentabile ed improponibile quel liberismo.

Le idee neoliberiste hanno, quindi, preso piede prepotentemente a tutte le latitudini e le longitudini, dando origine ad altrettanti sistemi sociali, tutti con dei fondamenti comuni, ma anche con precipue specificità.

L’Unione Europea è una delle molteplici realizzazioni di questo pensiero economico in netta opposizione soprattutto al pensiero di John Maynard Keynes.

La fucina del neoliberismo era rappresentata subito dopo gli eventi bellici dalla società di Mont Pelerin in Svizzera , fondata nel “47 da Friedrich August Von Hayek e da Ludwig von Mises.

Furono membri della società anche gli italiani Luigi Einaudi e Bruno Leoni, ma soprattutto Milton Friedman.

Quest’ultimo era il capo indiscusso del dipartimento di Economia dell’Università di Chicago e lo affiancavano nella crociata antikeynesiana anche Harnold Harberger e Frank Knight.

Ebbero il merito di fornire gli strumenti teorici alla difesa degli interessi dei proprietari, in un periodo in cui prevalevano in economia orientamenti marxisti e keynesiani.

In realtà essi non asserivano, apertis verbis, il diritto dei proprietari di fabbrica a pagare salari più bassi ai lavoratori, ma sostenevano che il libero mercato fosse la forma più pura di “democrazia partecipativa”.

Così, mentre le sinistre di allora promettevano la libertà dai padroni, dalla dittatura, dal colonialismo, Friedman & C. promettevano la libertà individuale che si sostanziava con il libero arbitrio nelle scelte di consumo, più esplicitamente il consumismo sfrenato.

Questi i principi di fondo della scuola di Chicago: apertura doganale alle merci straniere, privatizzazione di tutti i beni comuni e società statali, nessun minimo salariale, nessun controllo sui prezzi, stato sociale ridotto al minimo (privatizzare scuole, sanità, trasporti, pensioni), indipendenza della Banca Centrale, finanziamento statale sui mercati dei capitali internazionali, imposte e tasse al livello più basso possibile.

Dette misure, secondo Friedman, dovevano essere applicate contemporaneamente e la società oggetto della cura “democratica” si sarebbe trasformata in una sorta di Eden.

Il primo esperimento in corpore vili avvenne l’11 settembre del 1973 in Cile.

Augusto Pinochet, l’orribile torturatore, prese il potere con la forza, deponendo il presidente democraticamente eletto, Salvador Alliende.

Aveva avuto il buon viatico dalla CIA e da molte società multinazionali americane come l’ITT, che erano particolarmente interessate alle risorse minerarie cilene e che quindi caldeggiavano le idee dei Chicago Boys, gli economisti dell’America Latina che avevano studiato, grazie a borse di studio americane, presso l’Università di Chicago.

I risultati furono tremendi e nel contempo eccezionali: tremendi per la stragrande maggioranza della popolazione che vide il proprio tenore di vita regredire ai limiti della sussistenza, eccezionali per i grandi proprietari e le multinazionali, i cui profitti aumentarono vertiginosamente.

Il risultato finale fu una società corporativa, in cui c’era un intreccio inestricabile tra gestione politica, gestione economica e saccheggio dei beni comuni.

L’inflazione fu sconfitta, Friedman ebbe anche per questo nel 1976 il premio Nobel per l’economia, ma nessuno evidenziò che, se successo c’era stato, esso grondava del sangue degli oppositori ed era gravato dalle indicibili sofferenze inferte al popolo cileno.

Apparve evidente a tutti che, per operare una simile trasformazione di ingegneria sociale, ci devono essere situazioni eccezionali che impediscano la legittima reazione popolare e soprattutto le modifiche economiche devono essere apportate contemporaneamente, secondo la dottrina militare dello shock and awe.

Così, infatti, avvenne in Brasile, in Argentina, in Indonesia, in Cina e Russia dove sia feroci dittature militari che governi democraticamente eletti, annichilirono la reazione degli oppositori con la sospensione delle libertà politiche.

Nel 1985 in Bolivia la trasformazione democratica garantita dal libero mercato andò diversamente.

Avevano un problema di iperinflazione ed il sedicente governo di sinistra neo eletto si rivolse ad un giovane economista di Harvard, Jeffrey Sachs, il quale propose la stessa ricetta della scuola di Chicago.

Pertanto, il governo boliviano, eletto per la realizzazione di un programma economico di tipo keynesiano, attuò un programma diametralmente opposto ( sic).

I risultati furono quelli attesi: inflazione sotto controllo, aumento della povertà e delle diseguaglianze. Per contro la violenza che portava con sé l’attuazione di un tale progetto fu più contenuta rispetto al Cile ed all’Argentina.

In conclusione il sistema propugnato dalla scuola di Chicago aveva bisogno, per essere attuato, di uno stato di emergenza che poteva essere un colpo di stato, un cambio di regime, una crisi economica, un cataclisma naturale. Era nato il capitalismo dei disastri.

Ma torniamo ai giorni nostri, alle nostre latitudini, e vediamo di cogliere le possibili analogie.

Riportiamo di seguito la trascrizione di alcuni passaggi di una intervista rilasciata il 23 novembre del 2011 dal Capo del Governo Mario Monti: “ omissis….. nei momenti di crisi più acuta progressi più sensibili, rientro dall’emergenza della crisi affievolimento della volontà di cooperare. E qui ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva che riguarda l’Europa.

Anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci, che abbia bisogno di crisi, di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionale ad un livello comunitario. E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini ad una collettività nazionale possano essere pronti a questa cessione solo quando il costo politico psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle, perché c’è una crisi in atto visibile conclamata.

Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti…………omissis…..”.

Come si può notare, la filosofia è la stessa della scuola di Chicago, gli obiettivi da conseguire i medesimi, solo i metodi differenti.

In Italia non c’è stato all’apparenza un colpo di stato, ma la crisi dello spread, causato ad arte per rendere ancora più gravoso il servizio del debito pubblico, ha di fatto determinato l’accettazione politica del “Consenso di Washington” e quindi riduzione dello stato sociale, ulteriori privatizzazioni, penalizzazione al sistema pensionistico, abrogazione art. 18.

Ritorniamo al sedicente Cile democratico dei giorni nostri, esempio imperituro della dottrina neoliberista.

Il 18 ottobre del 2019 i cileni sono scesi in piazza per protestare.

Ci sono state violenze, saccheggi ed incendi.

Il Costanera Center, il grattacielo più alto di Santiago e del Sudamerica, è stato chiuso per alcuni giorni.

Esso è il simbolo della rivoluzione neoliberista di Friedman e di Pinochet. Grandi marchi europei, bar, ristoranti, tutto all’interno dello stesso edificio.

Alla riapertura centinaia di cileni hanno fatto la coda per entrare. E’ questa l’immagine di una delle tante contraddizioni del Cile. Un paese dove la maggioranza della popolazione, 18 milioni di persone, fa fatica ad arrivare alla fine del mese, eppure si indebita fino al collo, un pae se che vede il 27 per cento della ricchezza nelle mani dell’1 per cento dei suoi abitanti, con la metà della popolazione che guadagna meno di 500 euro al mese.

Dal 18 ottobre 2018 i cittadini cileni pretendono una più equa distribuzione della ricchezza e che siano mitigati gli eccessi del sistema liberista ereditato dalla dittatura.

Chiedono un sistema pensionistico che permetta almeno di sopravvivere, una scuola e una sanità pubblica degne di questo nome.

L’esempio più eclatante di tale distopia liberista sono i medicinali: costano come in nessun altro paese del mondo, dipendono da un cartello di industriali del farmaco, contro il quale nessun politico è mai riuscito a fare molto.

I prezzi sono aumentati del trenta per cento in cinque anni, ma il salario minimo è pari a 365 euro al mese ed è lo stipendio di un milione di cileni.

Sabato 19 ottobre il governo ha mandato l’esercito in strada e alle sette di sera ha decretato il coprifuoco, a Santiago, come in tutte le altre città, dove le forze dell’ordine non riuscivano a fronteggiare la situazione.

Per una settimana, dalle sette di sera all’alba, la gente è rimasta a casa. L’ultima volta era successo sotto la dittatura di Pinochet.

Come al solito la polizia e l’esercito hanno reagito con violenza: non solo difendono il sistema, ma difendono anche i privilegi concessi loro negli anni dalla dittatura. Ci sono stati 21 morti, di cui 5 persone rimaste uccise negli scontri con le forze dell’ordine.

Conclusioni.

Il Cile è un paese sovrano, ha una propria moneta ed una banca centrale, non ha alcun vincolo esterno come l’Italia, ma non è certo un paese in cui si può vivere dignitosamente.

Essere sovranisti, pertanto, non significa respingere i migranti irregolari alle frontiere, prerogativa legittima di uno stato sovrano, ma battersi affinché la banca centrale sia sotto il controllo politico, si intervenga sui mercati per determinare le condizioni di massima occupazione, si sostenga la domanda interna, anche mediante monetizzazione del debito, ed i capitali siano sotto controllo.

E per l’Italia essere sovranisti significa chiedere l’attuazione integrale della parte economica della nostra Costituzione.

Tutto il resto è fuffa.

Raffaele SALOMONE-MEGNA

 


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