Politica
Neanche il Washington Post si schiera con Kamala. L’editore si è ricordato di pubblicare un “Giornale Indipendente”. Si licenzia il marito della Nulland
Il Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos dal 2013, con un editoriale sorprendente annuncia che non appoggerà nessun candidato. Un ricamo alla prudenza che non ha precedenti dal 1992 e che segnala come i Repubblicani siano in vantaggio
Che succede se anche il giornale più tradizionalmente vicino al potere della Washington democratica decide di NON appoggiare, almeno ufficialmente, nessun candidato, e questo su indicazione diretta dell’editore, che è anche l’amministratore di una grande corporation?
Perché questo è quello che è successo con il Washinton Post di Jeff Bezos, colui che controlla il colosso Amazon, che ha fatto pubblicare un articolo di fondo, in cui ci si ricorda, alla fine, che il giornale è “Indipendente” e che quindi non appoggerà nessun candidato in queste elezioni presidenziali.
Prendiamo degli estratti dall’articolo:
Il Washington Post non appoggerà alcun candidato alla presidenza in queste elezioni. Né in nessuna elezione presidenziale futura. Stiamo tornando alle nostre origini di non appoggiare i candidati presidenziali.
….
“Ci atteniamo comunque alla nostra tradizione di non appoggiare le elezioni presidenziali. Abbiamo detto e continueremo a dire, nel modo più ragionevole e sincero possibile, ciò che pensiamo sulle questioni emergenti della campagna. Abbiamo cercato di arrivare alle nostre opinioni nel modo più equo possibile, con la guida dei nostri principi di indipendenza, ma liberi da impegni con qualsiasi partito o candidato”.
Peccato che, per ritrovare questa tradizione di indipendenza, siano dovuti risalire alle elezioni del 1960, quelle di John F. Kennedy, per trovare una citazione del concetto di “indipendenza” editoriale. Ci sono voluti 60 anni, come ricorda, onestamente, lo stesso articolo per tornare a una visione indipendente. L’articolo è la posizione ufficiale del giornale, tanto che l’autore è un giornalista, ma anche Amministratore Delegato.
Il non appoggio è un’eccezione che non si vedeva dai tempi pre-Clinton, un’era geologica della politica fa.
WaPo endorsements:
1992: Clinton
1996: Clinton
2000: Gore
2004: Kerry
2008: Obama
2012: Obama
2016: Clinton
2020: Biden
2024: NoneEven the liberal Washington Post knows Kamala is a terrible candidate.
— Real Defender🇺🇸 (@real_defender) October 25, 2024
Perché questa scelta? Le voci di ieri pomeriggio, giornata sulla costa est degli USA, davano già pronto un editoriale di appoggio alla candidatura della Harris.
On Friday, the Washington Post’s publisher, Will Lewis, announced that the paper would no longer make endorsements for president—after its journalists had already drafted an endorsement of Vice President Kamala Harris. The decision was made by Jeff Bezos, the paper’s owner.
— Al Hirschen (@AlHirschen) October 25, 2024
Un’inversione a 180 gradi comandata dall’alto e che viene immediatamente dopo una scleta simile da parte dell’editore del Los Angeles Times, altro grande giornale democratico, decisione comunicata direttamente dalla figlia dell’editore con un messaggio X che, anche plasticamente, mette in evidenza l’inutilità di una fetta dell’attuale giornalismo:
There is a lot of controversy and confusion over the LAT’s decision not to endorse a presidential candidate. I trust the Editorial Board’s judgment. For me, genocide is the line in the sand.
— Nika Soon-Shiong 🇵🇸 (@nikasoonshiong) October 25, 2024
Il questo caso la scusa per non appoggiare la Harris è il suo appoggio verso Israele, ma la realtà è ben diversa.
Semplicemente i proprietari dei giornali, che spesso fanno anche altro nella vita, hanno annusato l’aria, e questa profuma di vittoria per Trump e di sonora batosta per la Harris. Quindi, non volendo mettere in pericolo le proprie attività, spesso collegate a sovvenzioni, concessioni o contratti statali, preferiscono ricordarsi di essere indipendenti e non appoggiare il candidato Dem che, francamente, ha estremizzato la campagna elettorale tirando fuori l’arma del nazismo.
Il segnale non è buono per la Harris, e neppure per i media italiani, dove la tifoseria pro Dem è insistente, quasi dovessimo votare noi. Invece solo una levata delle tombe può cambiare l’andamento di questa tornata elettorale. Però, alla fine, un po’ di alternanza fa bene.
Il cambio di rotta ha conseguenze sulla redazione. Se ne va il marito della Nulland
In risposta alla decisione di Jeff Bezos di non appoggiare un candidato alle presidenziali di quest’anno, il personale di redazione sta avendo un crollo totale,e il redattore capo Robert Kagan (marito di Victoria Nuland) si è appena dimesso. Avevano dato totalmente per scontato l’appoggio a Kamala harris, che comunque avevano espresso in tutti i loro articoli, e il risveglio di fronte a un riposizionamento dell’editore è stato molto duro.
Il fatto che si sia licenziato il marito di Victoria Nulland, ex Sottosegretario di Stato di Biden e ultras dell’intervento in Ucraina e nell’Est Europa, la dice lunga su come stiano cambiando le cose a Washington. Comunque non sarano molti a piangere per questa scelta
You know I think we should really lament the resignation of a man who cheered on a war that kept American men and women rotating overseas for 20 years because he said we all needed ‘the stomach’ for democracy building and that only the US could do it. And then it failed. https://t.co/DOMWvP3xyS pic.twitter.com/NflSFBD0as
— Kelley B. Vlahos (@KelleyBVlahos) October 25, 2024
Secondo Semafor, “la gente è scioccata, furiosa, sorpresa”, ha dichiarato un membro del comitato editoriale del WaPo, citando le discussioni interne sulle dimissioni. “Se non avete le palle per possedere un giornale, non fatelo”. Fosse applicato il criterio dell’editore puro in Italia, Gedi, che possiede Repubblica, avrebbe già chiuso, dopo le perdite per 103 milioni del 2023.
Nel frattempo, il responsabile tecnico del giornale sta facendo in modo che gli ingegneri blocchino le domande dei lettori sulla mancata approvazione nel loro sistema interno. Scoprire una mattina che il giornale è a metà strada fra Hitler e Roosevelt, come viene dipinta la scelta dai Liberal americani più estremi e meno lucidi, deve essere uno shock non facile da digerire.
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