Politica
NAPOLITANO SBAGLIA INDIRIZZO
I principi che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso parlando al Consiglio Superiore della Magistratura sono ispirati alla morale più seria e al più alto senso delle istituzioni. Raramente si sono viste affermazioni meno contestabili. Anche chi non ha mai avuto un’eccessiva simpatia per questo anziano signore, non può che genuflettersi dinanzi alla verità, chiunque la dica.
Ecco i punti salienti. Le tensioni fra magistratura e politica non hanno giovato a nessuno. La giustizia va riformata, soprattutto mettendo rimedio alla sua lentezza. Bisogna evitare i protagonismi e le iniziative accusatorie azzardate. I magistrati non hanno la missione di salvare il Paese. Una giustizia efficiente sarebbe utile anche alla ripresa economica. Le innovazioni normative non vanno adottate per rispondere all’emotività nazionale: bisogna avere regole certe e stabili.
Dunque, nessuna critica? Non esattamente. Le affermazioni balorde o inesatte offendono l’intelligenza, ma le verità di Monsieur de La Palice, se non hanno lo scopo di far ridere, sono inutili e noiose. Non serve a niente deprecare le malattie. O si tenta di guarirle, o non val la pena di parlarne. È questo, l’errore di Giorgio Napolitano. Innanzi tutto, il programma di cambiamento da lui delineato è di tali vaste proporzioni, da costituire un’impresa pressoché impossibile. Senza dire che poi bisognerebbe vedere come verrebbe attuato, praticamente: si sa che il diavolo si nasconde nei particolari. Ma soprattutto in Italia nessuno ha il dovere di obbedire al Presidente della Repubblica. I magistrati possono ascoltarlo, compunti, ed anche applaudirlo, perché quello che dice lascia il tempo che trova. E possono farlo anche coloro contro cui egli si scaglia: i battifiacca, quelli che vorrebbero rivoltare l’Italia come un calzino, quelli che si credono in dovere di moralizzare la società, quelli che contrastano ogni innovazione e quelli che auspicano le riforme più azzardate e liberticide. I miscredenti non hanno nessun interesse a contestare la Messa Cantata.
Ma non è l’unico errore del Presidente: è sbagliato anche l’indirizzo. È vero, molti magistrati hanno le colpe indicate, ma non potrebbero permettersi i comportamenti che sono stati stigmatizzati se non fossero sostenuti dall’opinione pubblica e dalla pubblicistica nazionale. Gli italiani continuano ad illudersi che i magistrati siano semidei infallibili, impermeabili alle passioni e agli interessi dei normali cittadini, ed è per questo che sognano una classe di Arcangeli vendicatori che, sempre risiedendo stabilmente al di sopra delle parti, stronchino il malaffare nazionale, buttando mezzo Paese in galera, in modo che l’altra metà risorga purificata e corra incontro al sol dell’avvenire. Per questo nobile scopo partono dalla presunzione che anche gli innocenti, soprattutto se non di sinistra, siano colpevoli e tollera che i giudici non paghino mai per i loro errori. Il pregiudizio della loro infallibilità prevale sula storia dei loro marchiani errori, e sui danni da essi provocati a carico di accusati di trasparente innocenza. I medici sono costantemente nel mirino, e non gli si perdona la minima sbavatura: che dire allora dell’infinito processo a carico di Giulio Andreotti, nato dal pregiudizio e costato enormemente all’immagine internazionale del Paese, allo Stato e all’interessato? Né si possono dimenticare la condanna di Enzo Tortora, soltanto sulla base delle parole di un gaglioffo, e l’assurda persecuzione giudiziaria a carico di Berlusconi.
Naturalmente esistono anche molti magistrati eccellenti, ma non è a loro che si rivolgeva il Presidente Napolitano. E tuttavia, è forse mai nata nel Paese una vera protesta per gli eccessi di alcuni dei peggiori? In generale l’idea del popolo è che gli assolti fossero comunque colpevoli: “Mio figlio è stato ammazzato per la seconda volta”, si duole la madre della vittima. E intende non che la giustizia non sia stata capace di trovare il colpevole, ma che l’assolto era comunque colpevole.
La nostra pubblica opinione ricorda la folla riunita intorno al palco di Place de la Révolution per veder rotolare le teste nel paniere. Non si invoca una giustizia civile rapida, ma una giustizia penale sommaria, tanto più da applaudire quanto più sangue fa schizzare la mannaia. In queste condizioni, come evitare che gli accusatori si sentano incaricati della missione divina di una giustizia rivoluzionaria permanente? E li fermeranno forse le parole di Napolitano?
I magistrati sono solo indirettamente i destinatari del messaggio. Bisognerebbe parlare al Paese e invocare un Termidoro che non arriva mai. Ma forse non si otterrebbe proprio nulla. È questo il Paese che sembriamo volere. È questa la giustizia che, fiancheggiato da partiti e giornali, il popolo non soltanto tollera, ma sostiene.
Formalmente, il capo dell’ordine giudiziario è il Presidente della Repubblica; sostanzialmente, e nell’immaginario comune, è quel tale Sanson che, in Place de la Révolution, tirava la corda che liberava la mannaia della ghigliottina.
Gianni Pardo, [email protected]
23 dicembre 2014
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