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Morire di Liberismo di Davide Amerio

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Il Liberismo, come dottrina economica e politica, è da tempo sotto accusa, eppure sembrano inarrestabili la sua ascesa e l’affermazione quale unica interprete della legge del libero mercato.

Da tempo segnali chiari e inequivocabili nel mondo reale, dall’economia, alla situazione sociale, all’ambiente, consiglierebbero un atteggiamento critico sulla filosofia liberista; perlomeno una rivisitazione dei principi e della loro applicazione alla luce dei fatti e dell’esperienza.

Questa critica viene generalmente mossa da chi “liberista” non è; e appartiene, per storia e cultura, al campo avverso, di stampo socialista e comunista. Ma così si alimenta la classica lotta ideologica, all’interno delle visioni totalizzanti del mondo, e poco o nulla si produce di utile nella trasformazione della realtà.

Qualcuno ha definito il nuovo millennio l’era delle idee. Dopo la rivoluzione industriale, il suo progresso e i suoi evidenti limiti, essere qui, adesso, assume significato solo se si ha la capacità di affrontare le sfide che le ideologie del ‘900 non hanno saputo vincere. Solamente la coscienza di quei limiti può generare una epifania di idee necessarie alla creazione di un mondo migliore.

In questi giorni la dichiarazione dell’ex direttore del Cociv (manager del cantiere ligure del terzo valico) dovrebbe farci riflettere. Ettore Pagani, nell’ambito di una inchiesta della Guardia di Finanza sui lavori del Tav sul terzo valico, inchiesta che si occupa di verificare la presenza di amianto nel materiale scavato nei cantieri, è stato intercettato mentre dichiarava che non c’era di che preoccuparsi (per le indagini in corso), in quanto la malattia, provocata da chi respira amianto (mesotelioma pleurico), non si sarebbe manifestata prima dei trent’anni.

Non è certo questo un caso isolato di pessima etica partorita in nome del Dio denaro. Di esempi se ne possono fare molti. Ricordiamo le risatine di certi imprenditori sulle macerie del terremoto dell’Aquila. Le impunità dei managers responsabili della distruzione finanziaria di banche e di risparmio privato. E la memoria ci porta diretti a MPS: a quella commistione tra politica, managers e imprenditori (i soliti noti) che ha affondato una delle più antiche istituzioni bancarie italiane. Potremmo ricordare il caso della Thyssen group, dove il profitto ha prevalso sulla sicurezza delle vite umane; oppure proprio i processi per le morti di amianto, da cui emerse che la pericolosità della sostanza era ben nota. E la cronaca non manca di innumerevoli – troppi – spunti.

So già che amici, liberisti convinti, direbbero che non è tutto così, che il liberismo ha consentito la creazione del benessere che oggi viviamo e che la colpa non è del mercato ma di chi non rispetta le regole. Questo lo so. Come ho ben presente quanti ottimi imprenditori ci siano in circolazione che hanno rispetto dei propri “collaboratori”. Ma non dimentico nemmeno tutti quelli che si sono tolti la vita per la disperazione di non riuscire più a lavorare e a sostenere la propria famiglia – o la propria azienda – dentro un sistema globalizzato che ha negato loro dignità e speranza. O quelli esclusi da qualsiasi attività lavorativa per via dell’età, o come i giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro se non accettando un gioco al ribasso della loro identità.

Permane quindi la convinzione che nella foga (o illusione?) del garantire “benessere” e “ricchezza” (per chi? per tutti o per pochi?), si sia smarrita la coscienza dei limiti da non superare per rispettare la persona umana e l’utilità del benessere collettivo. In realtà il marxista direbbe che questo è sempre accaduto, e, alla luce della storia, non gli si può dare molto torto.

Allora ci sono domande che attendono nuove riposte, soluzioni alternative, nel nuovo millennio. Come si concilia il libero mercato con il rispetto della persona umana? Qual’è l’autentico significato di “benessere”? E quello di giustizia sociale? Come si concilia l’imprenditorialità e la retribuzione del rischio di impresa (e del capitale) con l’equità della ridistribuzione della ricchezza? Qual’è il futuro del lavoro? Qual’è il modello di società in cui vogliamo vivere?

Negli ultimi anni un rigurgito sociale aggredisce i sistemi fondati sul liberismo economico e finanziario. Disuguaglianze sociali, disoccupazione, emarginazione, migrazione di aziende, crisi finanziaria e dei debiti (privati e pubblici), servitù del lavoro, perdita di diritti sociali, hanno generato una rivolta verso chiunque abbia avuto un ruolo nella gestione dell’economia, della finanza e del governo.

L’unica risposta che l’intellighenzia politica, economica e intellettuale (si fa per dire…) ha trovato per fronteggiare questo crescente rifiuto alla sottomissione da parte dei popoli – che rivendicano il loro ruolo di cittadini e non di sudditi – è l’accusa di populismo e/o di antipolitica.

Nessuna critica seria e concreta, se non qualche timido accenno o la voce di pochi coraggiosi illuminati fuori dal coro, al sistema vigente, ai modelli fallimentari (per esempio globalizzazione, euro, Europa) che hanno prodotto enormi guasti a livello mondiale e nelle economia locali con la prolusione di asimmetrie economiche e sociali. Inoltre il silenzio regna sulle ipocrisie occidentali che fomentano quelle guerre per procura che hanno prodotto, come conseguenza, quel fenomeno immigratorio inarrestabile – sul quale non si trova un coordinamento internazionale adeguato – che genera razzismo, intolleranza, violenza e morte. La guerra tra i poveri del mondo e i nuovi poveri della società capitalistica.

Si punta il dito contro i presunti fomentatori del “populismo”- senza tra l’altro fare distinzioni tra le diverse figure – per distogliere l’attenzione dai guasti dei sistemi in cui il “popolo” si riconosce sempre meno dal momento che ne paga, ogni giorno, le conseguenze materiali. In questo modo cercano, senza riuscirci, di negare il fallimento delle loro teorie. Ricordate? Con la globalizzazione avremmo avuto prodotti migliori ai prezzi più convenienti! Con l’euro avremmo lavorato di meno guadagnando di più! Con l’austerità avremmo avuto Stati più solidi ed economia più sane! Con l’esportazione della democrazia avremmo avuto un mondo pacificato e sconfitto il terrorismo!

Ma mentre costoro ragliano negando le proprie responsabilità di Liberismo si continua a morire.

Davide Amerio


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