Le monete circolanti come moneta a corso legale nelle giurisdizioni nazionali sono trattate come passività del debito degli Stati emittenti e sono segnalate come una componente del debito pubblico in base alle statistiche contabili nazionali (SEC 2010). Allo stesso modo, le banconote emesse dalle banche centrali e le riserve delle banche centrali sono contabilizzate come debito della banca centrale verso i loro titolari. E la moneta bancaria commerciale (depositi a vista) è contabilizzata come debito nei bilanci delle banche emittenti, mentre le criptovalute non sono passività di individui o istituzioni se sono create da entità private, ma sono passività di debito se emesse dalle banche centrali (CPMI, 2015).
In effetti, una corretta applicazione dei principi generali della contabilità solleva dubbi fondamentali sulle suddette concezioni del denaro. Il debito comporta un obbligo tra prestatore e mutuatario come parti contraenti, ma poi:
- Quale obbligo deriva per lo stato dai diritti intrattenuti dai possessori di monete?
- Quale obbligo deriva per una banca centrale dai diritti intrattenuti dai detentori di banconote o dalle banche che detengono riserve?
- Quali obblighi derivano per le banche commerciali dall’ampia quota di depositi a vista che non vengono mai convertiti in liquidità o riserve di banche centrali (nemmeno durante i periodi di grave crisi finanziaria)?
- E perché lo stesso strumento è una passività a debito quando è emesso dallo stato, e non lo è quando viene emesso dal settore privato?
Una corretta visione contabile del denaro ci consente di affrontare questi problemi a turno.
Il denaro statale non è debito
La convertibilità in forme di valore “più alte” (ad es. Metalli preziosi o passività emesse da paesi egemoni) è quasi scomparsa da quando le monete statali sono diventate FIAT (NdT: moneta decretizia) grazie a quando la convertibilità delle monete e delle banconote in argento o oro, e poi in dollari, è stata sospesa molto tempo fa, e le riserve delle banche centrali sono diventate irredemibili. Pertanto, sebbene questa moneta sia ancora segnata come debito nelle statistiche delle finanze pubbliche e nei bilanci delle banche centrali, non si tratta di una obbligazione nel senso che non comporta obblighi che implichino diritti creditori.
Le emissioni di moneta statale comportano transazioni in cui il denaro è venduto in cambio di altre attività (anche quando sono scambiate con crediti in base a contratti di prestito). I proventi derivanti dalla vendita di denaro rappresentano una forma di “reddito da rendita”. Secondo le attuali pratiche contabili, questo reddito è (erroneamente) non segnalato nel conto economico dell’ente emittente ed è invece (erroneamente) accantonato tra le passività del debito.
Una corretta applicazione dei principi contabili generali dovrebbe invece riconoscere che la moneta statale non puo’ essere considerata come debito.Le entrate associate alla sua emissione, e non distribuite, dovrebbero andare in utili non distribuiti e trattate come patrimonio netto. L’assimilazione del denaro al capitale netto richiede di andare oltre la distinzione tra passività in capitale e passività del debito come applicato per indagare sulla natura degli strumenti finanziari (Schmidt 2013, PAAinE 2008, PwC 2017). 2
Il denaro contabilizzato come patrimonio netto dell’emittente implica diritti di proprietà. Questi diritti non conferiscono ai possessori di denaro il possesso dell’entità che emette il denaro (come invece le azioni che danno agli investitori la proprietà di una società o i crediti residui sulle attività nette della società).Piuttosto, consistono in rivendicazioni sui beni della ricchezza nazionale, che i detentori di denaro possono esercitare in qualsiasi momento. Coloro che ricevono denaro acquistano potere d’acquisto sulla ricchezza nazionale e coloro che emettono denaro ottengono in cambio una forma di reddito lordo che è pari al suo valore nominale. Il reddito calcolato come differenza tra il reddito lordo derivante dall’emissione di moneta e il costo di produzione di denaro, noto come “signoraggio”, è appropriato da coloro che detengono (o a cui è concesso) il potere di creare denaro.
Due annotazioni sono in ordine, a questo proposito. In primo luogo, le rendite da signoraggio sono sistematicamente nascoste e il signoraggio non è allocato al conto economico (dove naturalmente appartiene), mentre è registrato sul lato del passivo del bilancio (NdT: nello Stato patrimoniale), dando origine a falso in bilancio. In secondo luogo, il signoraggio “primario” dovrebbe essere distinto dal signoraggio secondario, il primo costituito dal reddito generato dal cambiamento delle scorte di moneta emesse e il secondo costituito dagli interessi attivi percepiti sul denaro emesso. Lo stato non riceve alcun signoraggio secondario dalle monete (non vengono prestate), mentre le banche centrali ricevono sia il signoraggio primario che secondario dalle banconote e dalle riserve, ma tipicamente contabilizzano solo il signoraggio secondario sulle banconote.
I depositi bancari sono passività “ibride”
Le banche commerciali creano i propri soldi emettendo passività sotto forma di depositi a vista (McLeay et al., 2014). Per fare ciò, non hanno bisogno di raccogliere depositi dai loro clienti (Werner 2014).Tuttavia, devono avvalersi del denaro e delle riserve necessarie per garantire i prelievi di contante dai clienti e per regolare gli obblighi nei confronti di altre banche che emanano dalle istruzioni del cliente per mobilizzare depositi per effettuare pagamenti e trasferimenti.
Pertanto, la moneta bancaria commerciale costituisce una passività di debito per le banche emittenti di depositi, poiché queste sono soggette all’obbligo di convertire i depositi in contanti a richiesta dai loro clienti e di regolare i pagamenti nelle riserve della banca centrale al momento richiesto dalle regole di regolamento dei sistemi di pagamento. in regime di riserva frazionaria le banche detengono solo una minima parte delle riserve rispetto ai loro depositi totali.Inoltre, gli importi delle riserve che utilizzano effettivamente per il regolamento degli obblighi interbancari sono solo una frazione del totale delle transazioni regolate. Il regime di riserva frazionaria e le economie di scala consentite dal sistema di pagamento e il comportamento dei depositanti riducono le riserve necessarie alle banche per sostenere i loro debiti.
Più in generale, in assenza di eventi avversi economici o di mercato che inducano i depositanti a convertire i depositi in denaro, le passività rappresentate dai depositi costituiscono solo parzialmente passività di debito della banca emittente (NdT: circa il 3%), che come tale richiedono una copertura di riserva. La parte restante delle passività(NdT: circa il 97%) è una fonte di reddito per la banca emittente – reddito che deriva dal potere della banca di creare denaro. In termini contabili, nella misura in cui questo reddito non è distribuito, è equivalente al patrimonio netto.
Questa doppia natura dei depositi a vista è stocastica in quanto, all’atto dell’emissione, ogni unità di deposito può essere un debito (se, con una certa probabilità, la banca emittente riceve richieste di conversione in contanti o regolamento interbancario) o capitale (con probabilità complementare) . 3
La duplice natura stocastica della moneta bancaria è coerente con i principi di contabilità generale definiti nel Quadro concettuale della rendicontazione finanziaria , che espone i concetti alla base degli International Financial Reporting Standards (IFRS). 4 Alla luce di questi standard, i depositi a vista sono uno strumento ibrido – in parte debito e in parte entrate. La parte del debito si riferisce alla quota di depositi che (probabilmente) saranno convertiti in denaro o riserve, mentre la parte relativa al reddito si riferisce alla quota di depositi che (probabilmente) non saranno mai convertiti in denaro o riserve. Questa quota di depositi è una fonte di entrate.Una volta accumulata e non distribuita, diventa capitale (patrimonio netto).
In applicazione dello IAS 8, lo IAS 32 si applica per la contabilizzazione di questo strumento di passività ibrida e prevede che la componente di debito debba essere separata da quella di capitale. 5Da tale separazione deriva che, una volta identificata la componente del debito, la parte residua è patrimonio netto. 6
Le criptovalute sono sempre patrimonio degli emittenti
La corretta applicazione dei principi contabili generali ci consente anche di risolvere l’incoerenza richiamata fin dall’inizio, laddove le criptovalute non sono una passività di debito se sono emesse da entità del settore privato, mentre diventano tali se emesse da banche centrali.
Gli argomenti contabili sviluppati sopra chiariscono inequivocabilmente che in entrambi i casi le criptovalute rappresentano il capitale proprio delle entità emittenti.