Attualità
Mondiale per Club USA: il calcio “popcorn” che non interessa a nessuno
Il recente Mondiale per Club negli USA si è rivelato un sonoro fallimento: stadi vuoti e prezzi dei biglietti crollati dimostrano che la passione del calcio non si compra. Un’analisi critica sul futuro di uno sport sempre più orientato al profitto.

Il recente Mondiale per Club negli Stati Uniti si è rivelato un sonoro fallimento, un evento che ha drammaticamente esposto le fragilità di un calcio sempre più orientato al mero profitto, che ha perso il senso dello sport, perfino del tifo stesso.
Gli stadi desolatamente vuoti negli USA non sono stati un semplice imprevisto, ma una chiara dimostrazione che il denaro, anche quello incondizionato dell’Arabia Saudita, non può comprare la passione, il cuore e il desiderio autentico dei tifosi.
USA: dove i soldi incontrano la passione nazionale
Molti hanno tentato di giustificare il disinteresse americano con un superficiale paragone tra il “business sportivo” degli USA e il calcio europeo. Tuttavia, questo confronto ignora una verità fondamentale: gli Stati Uniti vantano sport “nazionali” come il football americano e il baseball, che generano un senso di appartenenza e un’intensità emotiva pari, se non superiore, a quella che il calcio suscita nei tifosi europei e sudamericani.
La differenza è chiara: questi sport sono radicati nella cultura, non sono stati imposti dall’alto con l’unico scopo di massimizzare i ricavi. Anche se hanno avuto un’evoluzione “Business”, come tutto negli USA, sono comunque una prfonda espressione culturale, una parte dello spirito a stelle e strisce, e questo li riduce a qualcosa di più che solo denaro.
Il “Dynamic Pricing” indica il fallimento della FIFA “Araba”
Il collasso dei prezzi dei biglietti per il Mondiale per Club negli USA è stato uno spettacolo crudele e impietoso del cosiddetto “Dynamic Pricing”. Questo modello, tipico delle compagnie aeree, adegua i costi in base alla domanda, senza alcuna pietà per il valore dello spettacolo.

Un po’ di tribune vuote…
La drammatica svalutazione di un biglietto per la semifinale, passato da 473,90 dollari a soli 13,40 dollari in meno di tre giorni – meno di una birra allo stadio! – è stata un campanello d’allarme assordante. È un’amara ironia che l’ingresso a quella che il presidente FIFA Gianni Infantino ha definito “la competizione calcistica per club più importante al mondo” sia finito per costare una miseria.
Questo episodio, più di ogni altra cosa, ha svelato la vera, desolante realtà del torneo: non interessava a nessuno, se non a un pugno di mangiatori di popcorn davanti alla TV. Dico popcorn, e non la mitica “Frittatona di cipolle” con cui Fantozzi accompagnava le partite della Nazionale, proprio perché il Regioniere è l’emblema del folle appassionato. Al posto del Mondiale per Club potevano trasmettere la Ruota della Fortuna e non sarebbe cambiato nulla.
Un fiasco annunciato: il mostro creato per il dio denaro
Fin dall’inizio, questo Mondiale per Club è stato percepito come un mostro sovradimensionato, una creatura della FIFA nata solo per accumulare ulteriore denaro. Un denaro che, pur dichiarato a scopo di “sviluppo”, minaccia seriamente l’integrità e la competitività dei campionati esistenti, dalla Bundesliga alla Premier League alla Serie A. I 50 milioni che il Bayern Monaco si è portato a casa, ad esempio, rischiano di distorcere ulteriormente la bilancia finanziaria a favore dei super club, perpetuando un dominio già evidente. Lo stesso per i soldi finiti a Inter e Juventus: non produrranno niente di buono,
Jürgen Klopp l’ha definita “la peggiore idea mai realizzata nel calcio”, e non aveva torto. Questo torneo ha incarnato tutto ciò che non funziona nel calcio moderno:
- l’ossessiva attenzione alle superstar a scapito della squadra,
- gli influencer al posto dei tifosi,
- al pubblico televisivo globale invece dell’atmosfera pulsante dello stadio.
Un calcio da “popcorn” con effetti speciali ridicoli, countdown forzati e cerimonie d’ingresso surreali in stadi con tribune completamente vuote. Uno spettacolo, per di più mediocre, senza pathos, senza niente. Non una festa del calcio, ma una specie di suo funerale.
L’ombra dell’Arabia Saudita e la commercializzazione inesorabile
Il miliardo di dollari con cui l’Arabia Saudita ha acquistato il dieci per cento del servizio di streaming DAZN, casualmente poco dopo che DAZN ha versato alla FIFA un miliardo per i diritti di trasmissione di un torneo che nessuno voleva, è un’altra inquietante sfaccettatura di questa commercializzazione senza limiti. E la decisione della FIFA di assegnare i veri Mondiali di calcio proprio all’Arabia Saudita getta un’ombra ancora più lunga. Il dubbio che si sia pagata il mondiale finanziando la FIFA per quello per club è più che evidente.
Eppure, questo torneo fallimentare ha offerto una terribile e affascinante verità: la commercializzazione infinita del gioco potrebbe avere dei limiti. Il Mondiale per Club ha tragicamente dimostrato che ciò che ha reso il calcio così popolare – la capacità di far provare emozioni alle persone – non può essere comprato. La noia invece è molto abbondante sul mercato.
Stadi vuoti e cuori indifferenti: la sentenza del pubblico
Gli stadi non erano solo letteralmente semivuoti; in alcune fasi a gironi, un posto su due è rimasto libero, nonostante la FIFA abbia svenduto i biglietti a prezzi irrisori. Un’affluenza di cui qualsiasi squadra di serie B si vergognerebbe.
Le dichiarazioni di tecnici e giocatori, come Enzo Maresca del Chelsea (“L’intero ambiente era un po’ strano. Lo stadio era quasi vuoto”) o Joshua Kimmich del Bayern (“non sentivo tanta euforia”), sono state un crudo ritratto della desolazione.
La semifinale tra Real Madrid e Paris Saint-Germain, due delle squadre più blasonate al mondo, ha registrato un’audience nettamente inferiore rispetto a una partita della fase a gironi degli Europei femminili. E la vera domanda è: qualcuno ha mai parlato seriamente del Mondiale per Club in mensa, al pub o a cena? Scrivetecelo, perché noi non abbiamo sentito nulla.
La cultura calcistica non si compra
Un torneo intercontinentale non è di per sé una cattiva idea, e l’idea di vedere diverse culture calcistiche scontrarsi ha un suo fascino. Ma non in questo momento, in questa forma e in questo luogo. Gli europei sembravano desiderosi di essere in vacanza estiva, mentre solo i club sudamericani e i loro tifosi hanno portato un po’ di entusiasmo in un evento altrimenti spettrale.
Il valore sportivo del torneo era limitato, con un sistema di qualificazione approssimativo che ha permesso la partecipazione all’Inter Miami di Lionel Messi, mentre tre dei campioni dei migliori campionati europei (Liverpool, Barcellona, Napoli) non hanno nemmeno partecipato.
Questo Mondiale doveva segnare una nuova era del calcio di club, ma se così è stato, ha segnato l’inizio della fine. Ciò che rimane sono conclusioni nette: la saturazione è reale. E la cultura calcistica, le emozioni che ne derivano, non possono essere imposte o addirittura acquistate. Devono crescere naturalmente, nel cuore dei tifosi che batte meno forte per i tornei iper-commercializzati e molto di più per il calcio di tutti i giorni, nei campionati nazionali. Un evento forzato e banale non è la strada giusta. Poi quanti ragazzini eurpei giocano per strada a calcio pensando di essere una superstar?
Alcuni temono che questo Mondiale per Club abbia offerto uno sguardo premonitore sul futuro del calcio, l’inizio di una Super League globale controllata dall’Arabia Saudita e dalla FIFA. In realtà, visti i risultati, questo futuro rischia di essere fallimentare proprio in quello che doveva essere il suo punto di forza: il business.
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