Economia
Mirafiori, l’ultimo affronto: perché i nostri operai devono andare in Serbia? Cosa c’è di sbagliato nel fare industria in Italia?
La proposta di trasferta per assemblare la Grande Panda a Kragujevac, a stipendio pieno, solleva un interrogativo inquietante sul “sistema Italia”. Non è solo una questione di costo del lavoro, ma un segnale allarmante sulla competitività industriale del nostro Paese. Tempo di nazionalizzare?
Un’altra pagina amara, un altro segnale che suona come una sirena d’allarme per il futuro industriale di Torino e dell’Italia intera. La notizia che Stellantis stia proponendo agli operai di Mirafiori, cuore pulsante della storia automobilistica nazionale, una trasferta in Serbia per assemblare la nuova Grande Panda, è più di un semplice annuncio: è un pugno nello stomaco. È la fotografia di un paradosso drammatico che ci costringe a porci una domanda tanto semplice quanto brutale: cosa c’è di così sbagliato in Italia da rendere preferibile pagare lavoratori italiani per andare a produrre a Kragujevac piuttosto che a casa loro? Meglio la tradizione Zastava che quella Fiat?
La proposta della multinazionale franco-italiana è stata presentata ai sindacati come una “opportunità”: stipendio pieno invece della cassa integrazione, più un’indennità giornaliera. Ma dietro questa facciata si cela una realtà sconcertante. Lo stabilimento serbo, ex Zastava, ha un disperato bisogno di manodopera per accelerare la produzione, tanto da aver già reclutato operai dal Marocco e persino dal Nepal. Questo perché, evidentemente, le condizioni salariali locali, che si aggirano tra i 600 e gli 800 euro mensili, non sono abbastanza allettanti per i lavoratori serbi, che vogliono paghe più sostanziose.
E qui casca la Panda. Non si tratta, come si potrebbe superficialmente pensare, di una semplice fuga per il minor costo del lavoro. Stellantis sta letteralmente importando e trasferendo manodopera, inclusa quella italiana, per far funzionare una fabbrica all’estero, mentre a Mirafiori regna lo spettro della solidarietà e la produzione è ridotta al lumicino. Se il problema non è il costo degli operai – che verrebbero pagati con stipendio italiano e indennità – allora il problema è il “sistema Italia”, oppure una volontà extra economica di distruggere completamente l’auto italiana.
Cosa rende la Serbia più attraente di Torino per produrre un modello chiave come la Grande Panda? La risposta è un cocktail velenoso di burocrazia asfissiante, costi energetici fuori controllo, una politica di incentivi probabilmente più aggressiva e, soprattutto, l’assenza di una visione strategica industriale nel nostro Paese. Mentre altri governi stendono tappeti rossi alle grandi aziende per attrarre investimenti e produzioni, l’Italia sembra navigare a vista, incapace di garantire quelle condizioni di stabilità, efficienza e competitività che un colosso industriale richiede per pianificare il futuro. Aggiungiamo una certa cecità, forse voluta, di Stellantis, e il quadro è ben disegnato.
Le reazioni incredule dei sindacati, dalla Fiom alla Uilm, sono lo specchio di un’intera comunità tradita. “Ci aspettavamo lavoro a Mirafiori, non in Serbia”, hanno dichiarato, temendo che questa mossa sia solo l’antipasto di altre, più amare, sorprese. Però nel sindacato qualcuno si sta chiedendo come mai le aziende preferiscono portare i lavoratori all’estero, invece che farli lavorare in Italia? Cosa c’è di sbagliato nel sistema industriale? I lavoratori dovrebbero essere i primi a chiederselo.
Si preferisce creare un hub produttivo altrove, sostenendone i costi e le difficoltà logistiche, piuttosto che investire con decisione su ciò che già esiste, perfino trasferendo i lavoratori, anche se questo posto puzza di instabilità e di temporaneità lontano un chilometro. La trasferta proposta agli operai torinesi non è un’opportunità. È un esilio forzato, un umiliante riconoscimento del fatto che, per qualche oscuro motivo, produrre in Italia è diventato un ostacolo. Qualcuno, a Roma , iniziarà a rispondere a questa domanda? E se la motivazione fosse solo una idiosincrasia di Stellantis, non sarebbe ora di pensare a una casa automobilista nazionale?
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