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Migranti o deportati? Ecco quello che non vi dicono sul business dell’accoglienza

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Il quadro del fenomeno migratorio è complesso.

Ieri l’ottimo post di Maurizio Gustinicchi vi ha svelato un altro tassello dell’immigrazione africana: il land grabbing, ovvero l’acquisto di grandi estensioni di terra agricola per pochi soldi da parte di Stati esteri, privati e multinazionali che poi costringono i contadini ed i residenti ad andarsene. Questo naturalmente ha portato un aumento della emigrazione non volontaria che è confluita in quel flusso che si sposta per ragioni economiche, da me già analizzato come consistenza e provenienza.

Oggi voglio fornirvi un altro pezzo del quadro, un tassello che rimane nascosto, anche se qui e là qualcosa traspare. Ad esempio un articolo del 30 maggio del quotidiano francese Le Monde dal titolo “Nous sommes là pour être vendus” (Noi siamo là per essere venduti), ripreso da un post del giornalista Maurizio Blondet, od un articolo del sito svizzero LesObservateurs.ch che si chiede “La migration est-elle vraiment le fait de désespérés?” (L’emigrazione è veramente una questione di disperati?) e nel quale si accenna alla potente Organizzazione Internazionale per le Migrazioni. Questa è una organizzazione intergovernativa con sede a Ginevra che gestisce un budget di 1 miliardo e 675 milioni di dollari, retta da un ex ambasciatore statunitense, William Lacy Swing, ed il cui scopo dichiarato è sostenere il principio che “una migrazione umana ed ordinata fa bene ai migranti ed alle società” (per approfondire gli aspetti oparativi con i quali viene svolta questa mission si può vedere qui).

Il tassello è il fenomeno della tratta dei migranti.

Per comprendere la questione dobbiamo partire dallo studio effettuato dalla FIDH, altra potente Organizzazione che, come viene descritta nel suo sito, è una ONG internazionale a favore della difesa dei diritti umani che riunisce 178 organizzazioni da 120 paesi. Dal 1922, la FIDH si impegna a favore della difesa dei diritti civili, politici, economici, sociali e culturali come definiti nella Dicharazione Universale sui Diritti dell’Uomo. La FIDH ha sede a Parigi e uffici a Abidjan, Bamako, Bangkok, Bruxelles, Conakry, Ginevra, L’Aia, New-York, Pretoria e Tunisi..

Nel suo report sulla Libia, che fa la storia dei movimenti migratori verso questo Paese, si scopre che, dalla metà del XX secolo, la scoperta di numerosi giacimenti di petrolio provoca una forte richiesta di manodopera e conseguentemente un afflusso di lavoratori dai Paesi sub-sahariani, come il Sudan o il Niger e da quelli vicini, come Tunisia ed Egitto. Nei periodi di siccità e carestia della zona sahariana questo afflusso aumenta notevolmente. Le guerre locali e la conseguente instabilità nel Ciad, nel Sudan e nel Darfour spingono poi milioni di persone a lasciare i loro Paesi per recarsi in Libia, dove la richiesta di lavoro è alta anche per numerose altre attività come edilizia, commercio ed artigianato:  il risultato è una grande immigrazione stanziale.

La politica libica è quella di permettere afflusso incontrollati quando l’economia richiede alta manodopera ed espulsioni di massa quando c’è n’è troppa o nelle congiunture sfavorevoli: ad esempio durante la crisi economica del 1985 furono espulsi in due mesi 80.000 immigrati.

Con l’embargo alla Libia del 1992, Gheddafi inaugura un’altra stagione di “porte aperte”: il risultato è un massiccio afflusso anche da Stati non vicini dell’Ovest, come il Senegal, la Nigeria ed il Mali, di persone attirate da quello che viene definito l”Eldorado africano”. Solo una parte di questi immigrati, non trovando fortuna in Libia, decide di attraversare il Mare Mediterraneo per arrivare in Italia e quindi in Europa.

Tralasciando la storia degli accordi italo-libici per regolare questi afflusso,  che qualche risultato lo avevano ottenuto, pur contestato per gli esiti umanitari della politica dei respingimenti, arriviamo ad oggi, dove non esiste un forte governo centrale, ma un controllo locale di forze più o meno organizzate: qui si innesta quello che possiamo definire il business dei migranti.

Come riporta l’articolo di Le Monde, nel caos libico prospera una vera e propria tratta di migranti: le persone intervistate nei campi di raccolta infatti raccontano di essere lavoratori già da tempo presenti in Libia e di essere stati rastrellati dalla polizia o da gruppi armati, anche per strada, privati dei loro beni e forzati a salire su barconi, spesso di proprietà di chi l’ha prelevati, per portarli in Italia. Sarebbero quindi migranti forzosi, che non hanno abbandonato spontaneamente il Paese nord africano, nel quale volevano rimanere e spesso già vi lavoravano.

Alcuni di loro parlano espressamente di “vendita” di migranti per un prezzo che arriva anche a 1.000 dinari l’uno ad organizzazioni che sembrerebbero avere riferimenti anche in territorio italiano, dove sappiamo si è sviluppato un lucroso business legato all’accoglienza.

Per alimentare quindi questo business e per sfoltire le presenze, adesso non necessarie, di lavoratori stranieri in Libia si sarebbe quindi creato un vero e proprio mercato di persone, gestito da organizzazioni ramificate. Ecco alcune testimonianze di persone presenti nei campi di raccolta, tratte dall’articolo di Le Monde, come riportate da Blondet:

“Mi chiamo Roland sono nigeriano. Siamo venuti qui per lavorare, io e i miei amici. Guarda, ho addosso ancora i miei abiti da lavoro. La polizia ci ha arrestato per la strada. Noi non siamo venuti per fare la traversata, siamo venuti per lavorare. Io lavo le auto, questo faccio. Non so più che fare. Tutti i miei soldi, il telefono…tutto! Mi hanno preso tutto, sono in piedi senza niente.”

“Mi chiamo Fussa. Sono venuto in Libia tre mesi fà vivo in Libia, io lavoro. Sono venuto con i miei amici. Ieri tornavamo dal lavoro quando ci hanno arrestati. Ci hanno preso tutti i nostri beni, non abbiamo più niente…e l’acqua qui, è acqua salata.   Qui siamo perduti, non mangiamo bene, per favore, domandiamo al governo di questo paese di venire in nostro aiuto, e di lasciarci rientrare a casa, nel nostro paese.”

Sarebbe interessante sapere con chi vengono svolti questi traffici e se la retorica dell’accoglienza, che permea ipocritamente ogni discorso sull’immigrazione nel nostro Paese, non sia per alcuni solo uno specchietto ed un alibi morale per nascondere interessi più gretti e materiali, come Mafia Capitale ha iniziato a svelare.

La deportazione di esseri umani per denaro è sempre stata una piaga africana ed un lucroso affare: che ora sia effettuata da governi locali con probabili legami ad ONLUS dall’apparenza caritatevoli è solo un moderno e cinico perfezionamento.


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