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Mentre Renzi “vende” l’Italia agli investitori esteri la Saeco (in mano Philips) licenzia metà degli operai

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Lavoratori protestano davanti alla Saeco

Lavoratori protestano davanti alla Saeco

Due notizie di ieri sembrano fatte apposta per mostrare quello che sta accadendo nel nostro Paese: la prima e che Renzi, come riporta un articolo del “Il Messaggero”, ha presieduto, davanti ad un pubblico di investitori italiani e soprattutto esteri, il National Strategy Day on Italy, un incontro organizzato dal World Economici Forum, per “mettere in vetrina” il “sistema Italia” al fine di attirare le grandi imprese ad investire nel nostro Paese. Erano presenti Robert Soros, figlio di George (Soros Funds) ed i top manager del gigante bancario inglese Hsbc, di Lulu Group, grande catena di supermercati degli Emirati Arabi, della banca norvegese Dnb, del gruppo di tlc russo Vimpelcom proprietario di Wind, di Hcl Technologies (società indiana di servizi IT globali), di un altro gruppo immobiliare indiano Rmz Corporation, del gruppo finanziario giapponese Mitsui, del gruppo editoriale turco Dogan, insie ead altri manager provenienti da 14 paesi.

La seconda notizia, che fa da contraltare, la fornisce “Il Fatto Quotidiano”: la Saeco, storica fabbrica del bolognese di macchine per il caffè, dal 2009 proprietà della multinazionale olandese Philips, ha annunciato il licenziamento di 243 dipendenti su 558. La motivazione è un drastico calo del mercato e delle vendite. La Philips ha così scelto di dimezzare la produzione in Italia, mantenendo a pieno regime quella in Romania, a causa del costo eccessivo della stessa.

Siamo sgomenti” – ha dichiarato Stefano Zoli della Fiom – “un’operazione del genere è inaccettabile. Parliamo di una realtà storica italiana, che in questo modo rischia di morire. Con ripercussioni gravissime per tutta la vallata“.

Ora, a parte lo “sgomento” fuori tempo massimo di un sindacato che nel passato ha avallato le politiche europeiste/liberiste della sinistra, per semplice appartenenza culturale, senza capire che stava portando i lavoratori al massacro e non alla lotta internazionalista, quello che mostra la reazione del sindacalista è lo specchio di quanto sia un tragico errore strategico cercare l’investimento estero come cura per la mancanza di investimenti privati locali.

Le multinazionali, per loro struttura, non sono legate ad un territorio e ragionano esclusivamente in termini di costi e convenienze. Mentre un piccolo o medio imprenditore italiano vive il territorio in cui lavora, ne condivide problemi ed aspirazioni e, fin quando sia possibile, cerca di mantenere la produzione in loco, il grande imprenditore estero (ma anche italiano), appena vi è un calo nel flusso delle vendite, riduce o chiude gli stabilimenti che hanno un costo di produzione più alto, id est un costo del lavoro superiore. Questo accade anche se la produttività è ottima e l’azienda è in attivo, come dimostra, esempio fra tanti, il caso Sandvik. Mettersi nelle mani di chi ragiona in questi termini, anche se nell’immediato porta alla creazione di posti di lavoro, significa consegnare parti importanti dell’economia nazionale a terzi, sperando di compiacerli sempre per non farli andar via. In quest’ottica si comprendono anche le riforme come il Jobs Act, non a caso esaltata da Renzi all’incontro con gli investitori come prova dell’impegno del Governo a rimuovere le debolezze e gli ostacoli segnalati dal World Economic Forum.

In conclusione, cari sindacalisti, un piccolo appunto per voi: avete barattato qualche posto di lavoro ed un effimero potere personale con la perdita dei diritti dei lavoratori ed il loro impoverimento: essere oggi sgomenti non vi assolve.


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