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Meglio di Terminator: i nuovi muscoli artificiali sono morbidi, intelligenti e possono ridare libertà di movimento

Muscoli AI: la nuova robotica non è Terminator, ma un guanto morbido che impara dal corpo e restituisce la libertà a chi ha subito ictus o amputazioni.

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L’immaginario collettivo, nutrito da decenni di cultura pop, quando pensa ai robot immagina quasi sempre Terminator o RoboCop: macchine fredde, metalliche, minacciose, costruite per il dominio, non per la compassione.

Eppure, al Georgia Institute of Technology, la ricerca robotica sta andando nella direzione diametralmente opposta. Il futuro della robotica è più morbido, più intelligente e progettato per aiutare l’uomo.

“Quello che stiamo sviluppando è l’opposto [di Terminator]”, afferma Hong Yeo, professore presso la George W. Woodruff School of Mechanical Engineering. “Questi muscoli artificiali sono morbidi, flessibili e reattivi: più simili ai tessuti umani che a una macchina”.

Lo studio del team di Yeo, pubblicato su Materials Horizons, esplora muscoli potenziati dall’intelligenza artificiale, realizzati con materiali realistici e abbinati a sistemi di controllo intelligenti. Una tecnologia che impara dal corpo e si adatta in tempo reale.

Muscoli che pensano, materiali che “sentono”

La robotica tradizionale si affida ad acciaio, fili e motori, e raramente cattura le sfumature del movimento umano. La ricerca di Yeo adotta un approccio diverso. Utilizza fibre strutturate gerarchicamente, materiali flessibili costruiti a strati, molto simili ai nostri muscoli e tendini.

Questi materiali possono “sentire“, adattarsi e persino “ricordare” come si sono mossi in precedenza.

Yeo addestra algoritmi di machine learning per regolare questi materiali flessibili in tempo reale, applicando la giusta quantità di forza o flessibilità per ogni compito. “Questi muscoli non si limitano a rispondere ai comandi”, spiega Yeo. “Imparano dall’esperienza. Possono adattarsi e autocorreggersi, il che rende il movimento più fluido e naturale”.

Il risultato di questa ricerca è profondamente umano. Per chi si sta riprendendo da un ictus o dalla perdita di un arto, ogni movimento deliberato non ricostruisce solo la forza, ma anche la fiducia, l’indipendenza e il senso di sé.

Parallelo fra muscoli naturali e muscoli artificiali con robotica morbida

Un guanto che restituisce la libertà

Una delle prime e più concrete applicazioni di questa tecnologia è un guanto protesico potenziato da muscoli artificiali (il cui studio è stato pubblicato su ACS Nano).

Questo dispositivo si comporta più come una mano che aiuta che come uno strumento meccanico. Mentre le protesi tradizionali si basano su motori rigidi e movimenti preimpostati, il design di Yeo rispecchia il naturale “dare e avere” del muscolo reale.

All’interno del guanto, sottili strati di fibre e sensori estensibili si comportano in sincronia con l’intento dell’utilizzatore. Il guanto può:

  • Regolare con precisione la forza della presa;
  • Ridurre i tremori;
  • Rispondere istantaneamente ai movimenti dell’utente.

Questo tipo di precisione è fondamentale nei compiti più piccoli: allacciare un bottone, sollevare un bicchiere, tenere la mano di un bambino. “Questi non sono solo movimenti”, sottolinea Yeo. “Sono libertà”.

Una missione radicata nel personale

Per Hong Yeo, l’idea di restituire la libertà attraverso il movimento è una missione personale. Il suo percorso verso l’ingegneria biomedica è iniziato con una perdita: l’improvvisa morte del padre mentre Yeo era ancora al college.

Quel momento ha ridefinito il suo obiettivo, reindirizzando la sua attenzione dalle macchine che si muovono (inizialmente pensava di progettare auto) alle tecnologie che guariscono. “Dopo la morte di mio padre, mi sono svegliato. Forse potevo fare qualcosa che aiutasse a salvare la vita di qualcuno”.

Macchine morbide, problemi complessi

Creare muscoli così realistici non è facile. Devono essere morbidi ma forti, reattivi ma sicuri. E, soprattutto, devono evitare di scatenare la reazione del sistema immunitario. Si tratta di costruire materiali che possano sopravvivere all’interno del corpo e “imparare ad appartenergli”.

“Pensiamo sempre non solo alla funzione, ma all’adattabilità”, afferma Yeo. “Se deve essere parte del corpo di qualcuno, deve lavorare con loro, non contro di loro”.

Il team calibra queste fibre sintetiche come strumenti di precisione, sviluppando nel tempo una sorta di “memoria muscolare”. È questa adattabilità dinamica, spiega Yeo, che separa una macchina da una protesi che sembra veramente viva.

Il futuro della robotica, secondo Yeo, non sarà definito dalla potenza, ma dalla sensazione. “Se sembra estraneo, la gente non lo userà”, conclude. “Ma se sembra parte di te, è allora che può veramente cambiare la vita”. È l’esatto opposto di Terminator: non macchine che ci sostituiscono, ma tecnologie che ci aiutano a reclamare noi stessi.

Domande e risposte

In che senso questi muscoli “imparano”? Non è solo un programma?

No, ed è questa la differenza chiave. Non si tratta solo di comandi pre-impostati. Utilizzano algoritmi di machine learning che si adattano in tempo reale. Il muscolo artificiale “ricorda” i movimenti passati e si auto-corregge per renderli più fluidi. È un’intelligenza adattiva: se le condizioni cambiano (l’oggetto da afferrare è più pesante), il muscolo si adatta, invece di applicare una forza standard e fallire.

Qual è la differenza pratica del guanto protesico del Prof. Yeo?

Le protesi tradizionali usano motori rigidi con movimenti predefiniti. Il guanto di Yeo usa strati flessibili che imitano i muscoli veri: si contraggono, si torcono e flettono. Risponde all’intenzione dell’utente, permettendo di regolare la presa con precisione, ridurre i tremori e compiere gesti delicati (come allacciare un bottone), restituendo “libertà” quotidiane che le protesi meccaniche non consentono.

Qual è l’ostacolo più grande per queste tecnologie?

La biocompatibilità. Questi materiali devono essere morbidi ma resistenti, e soprattutto non devono essere rigettati dal corpo. La sfida più grande è evitare che il sistema immunitario li attacchi. Come dice Yeo, devono essere progettati per “sopravvivere dentro il corpo” e “imparare ad appartenergli”, lavorando in armonia con i tessuti esistenti e non “contro” la persona.

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