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MATTEO PUO’ PIACERE PERFINO AL QUIRINALE di Paolo Becchi

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Si è chiusa, e senza spargimento di sangue nella coalizione di centrodestra, la prima partita di questa legislatura. Lo stallo è stato superato con una abilissima mossa del cavallo di Matteo Salvini al Senato. Ha rischiato, come risulta dal comunicato rabbioso di Berlusconi e da quello che ieri scriveva il suo giornale parlando di tradimento di Salvini e annunciando la fine della coalizione. Salvini, in realtà, ha dato indicazione di votare un candidato di Forza Italia al Senato, ma non quello voluto da Berlusconi, non per rompere la coalizione, ma per uscire dalla palude.
Molti commentatori di sinistra, del tipo Lucia Annunziata, i quali esultavano per il fatto che Berlusconi, il «vecchio leone della politica italiana», aveva messo in trappola i due giovani inesperti vincitori, e godevano per il modo in cui Silvio li stava mettendo in difficoltà con la candidatura di Paolo Romani, ci hanno fatto una figura di merda. Alla terza votazione al Senato è stata eletta una donna, Elisabetta Casellati, di Forza Italia – la prima donna ad assumere questo ruolo nella storia repubblicana – e senza neppure ricorrere al ballottaggio, e alla quarta alla Camera il candidato del M5s, Roberto Fico. In entrambe le Camere, con i voti del centrodestra e del M5s e dunque della coalizione e del partito che hanno avuto il risultato migliore nelle elezioni. Per cariche che hanno una funzione neutrale, di garanzia, è un risultato importante. Un segno di democrazia.
Il M5s e FI incassano un buon risultato, ma il vero vincitore della partita è Salvini. Berlusconi è stato costretto a fare un passo indietro e accettare un candidato su cui non aveva puntato e lo stesso ha dovuto fare Di Maio che ha accettato un candidato del suo partito che non voleva. Entrambi, insomma, hanno dovuto cedere qualcosa e se questo è avvenuto lo si deve al modo in cui Salvini ha operato per uscire da una situazione complicata.
Salvini sta diventando il vero leader dell’intera coalizione, mentre Berlusconi appare sempre meno lucido, sulla via del tramonto, circondato da consiglieri incapaci che prima gli hanno fatto perdere le elezioni e ora gli hanno anche fatto perdere quel ruolo di regista che aspirava a ritagliarsi. Invece di unire è diventato divisivo. È l’uomo del passato, mentre Salvini è l’uomo del futuro. Nel Palazzo, ma senza mai perdere il contatto con il popolo, Matteo sta assumendo sempre più il ruolo del leader populista. Populista responsabile, capace di mediare, a volte senza rinunciare, a fin di bene, a qualche piccola forzatura. Sono qualità importanti per un leader, che ancora mancano a Di Maio, il quale in fondo ha solo giocato di rimessa. Se la nuova legislatura parte è merito esclusivo di Salvini. Anche di questo dovrà tener conto Mattarella quando darà l’incarico per la formazione del prossimo governo.

Paolo Becchi, 25 marzo 2018 Libero


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