Attualità
Mattarella cita Einaudi a sproposito e pretende “prerogative” che non ha. Ecco cosa dice la Costituzione di G. PALMA e P. BECCHI.
Mattarella a Dogliani, rendendo omaggio a Luigi Einaudi, ha insistito sulle “prerogative” del Presidente della Repubblica nella nomina del Presidente del Consiglio dei ministri.
“Fu il caso illuminante – ha detto Mattarella – del potere di nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri dopo le elezioni del 1953”, riferendosi all’esecutivo presieduto da Giuseppe Pella, il primo governo del Presidente.
Ha dimenticato però di aggiungere che Einaudi arrivò alla soluzione “Pella” solo dopo che era fallito il tentativo dei gruppi parlamentari di formare l’ottavo governo De Gasperi. Se il leader della Dc avesse trovato in Parlamento i voti necessari per ottenere la fiducia, Einaudi avrebbe potuto soltanto firmare il decreto di nomina di De Gasperi. Altro che “prerogative” del Capo dello Stato!
Una democrazia parlamentare come la nostra, che attribuisce rilevanza e tutela costituzionale ai partiti (art. 49 Cost.), mette i gruppi parlamentari al centro della formazione del governo, quindi sono i partiti – in particolar modo quelli che fanno convergere i loro seggi/voti all’interno di una coalizione parlamentare in grado di esprimere la fiducia al governo – che indicano al Capo dello Stato la persona da nominare quale Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica interviene autonomamente soltanto se le forze politiche non indicano alcun nome, se sono in disaccordo tra di loro oppure se suggeriscono una persona che ha poche probabilità di ottenere la fiducia da entrambe le Camere (il cosiddetto potere “a fisarmonica” del Capo dello Stato). Punto. Altro è interpretazione truffaldina della Costituzione e della prassi.
Nella situazione politica attuale si va delineando una maggioranza parlamentare in grado di sostenere un governo per un’intera Legislatura, tant’è che Lega e M5S stanno lavorando ad un “contratto di governo” alla tedesca, cioè un documento che costituisce il programma dell’esecutivo e quindi l’indirizzo politico del governo. Se Di Maio e Salvini, che in Parlamento hanno la maggioranza assoluta dei seggi, dovessero indicare al Capo dello Stato il nome di una persona condivisa, Mattarella non potrebbe fare altro che provvedere alla sua nomina.
Il suo ruolo è di carattere formale: non può esercitare in questo caso alcun potere discrezionale (in tal senso va letto l’art. 92 Cost. “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). Punto e a capo.
Del resto, il Presidente della Repubblica non risponde degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (l’irresponsabilità del Capo dello Stato di cui parla l’art. 90 della Costituzione), essendo la responsabilità degli atti presidenziali unicamente del Presidente del Consiglio o dei ministri che li controfirmano. Non si comprende quindi per quale motivo Mattarella debba indicare lui un nome – addirittura in disaccordo coi partiti – che poi dovrà assumersi la responsabilità politica davanti a quegli stessi partiti che dovrebbero votargli la fiducia in Parlamento. Voto di fiducia che dovrebbero appunto esprimere i partiti che hanno la maggioranza in Parlamento ma che si sono visti mettere il veto sul nome da loro proposto. Tanto più che il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. È il Presidente del Consiglio che mantiene l’unità dell’indirizzo politico del governo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri (art. 95 della Costituzione).
Per tutte queste ragioni sono i gruppi parlamentari ad indicare il nome del Presidente del Consiglio, e il Capo dello Stato non può fare altro che provvedere alla sua nomina, salvo un controllo formale o di legittimità costituzionale (controllare ad esempio se la persona indicata non sia interdetta dai pubblici uffici). Come abbiamo già scritto sulle pagine del Secolo XIX:
il Presidente del Consiglio ha – nella nomina dei ministri – poteri ben più ampi di quelli del Presidente della Repubblica. Speravamo che i tempi di Napolitano fossero finiti, e invece…
Giuseppe Palma e Paolo Becchi
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