Analisi e studi
Marcia indietro: il peso della Cina nell’economia mondiale sta calando
La Cina è stata la protagonista della crescita mondiale per lo meno degli ultimi 30 anni. Ora è iniziata l’inversione di rotta. Nel 2022, la quota della Cina nell’economia mondiale si è ridotta leggermente. Quest’anno si ridurrà in modo più significativo, al 17%. Il calo dell’1,4% in due anni è il più grande dagli anni ’60, come riportato dal Financial Times
Questi numeri sono espressi in dollari “nominali” – non corretti per l’inflazione – la misura che cattura più accuratamente la forza economica relativa di una nazione. La Cina mira a riconquistare lo status imperiale che deteneva dal XVI all’inizio del XIX secolo, quando la sua quota della produzione economica mondiale raggiunse il picco di un terzo, ma tale obiettivo potrebbe essere fuori portata.
Il declino della Cina potrebbe riordinare il mondo. Dagli anni ’90, la quota del Paese nel Pil globale è cresciuta principalmente a scapito dell’Europa e del Giappone, che hanno visto le loro quote mantenersi più o meno stabili negli ultimi due anni. Il divario lasciato dalla Cina è stato colmato principalmente dagli Stati Uniti e da altri paesi emergenti.
Per mettere questo in prospettiva, si prevede che l’economia mondiale crescerà di 8 trilioni di dollari nel 2022 e nel 2023 fino a raggiungere i 105 trilioni di dollari. La Cina non rappresenterà nulla di questo guadagno, gli Stati Uniti rappresenteranno il 45% e gli altri paesi emergenti il 50%. La metà del guadagno per i paesi emergenti proverrà da soli cinque di questi paesi: India, Indonesia, Messico, Brasile e Polonia. Questo è un segnale evidente dei possibili cambiamenti di potere futuri.
Inoltre, la quota in calo della Cina nel PIL mondiale in termini nominali non si basa su fonti indipendenti o estere. Le cifre nominali sono pubblicate come parte dei dati ufficiali del PIL. Quindi non sono dati interpretati in modo malevolo, ma sono dati ammessi dalla Cina stessa.
Uno dei motivi per cui ciò è passato in gran parte inosservato è che la maggior parte degli analisti si concentra sulla crescita del PIL reale, che è corretta per l’inflazione. E aggiustando creativamente l’inflazione, Pechino è riuscita da tempo a segnalare che la crescita reale sta raggiungendo costantemente il suo obiettivo ufficiale, ora intorno al 5%. Ciò a sua volta sembra confermare, ogni trimestre, la versione ufficiale secondo cui “l’est è in crescita”. Ma il tasso di crescita potenziale reale a lungo termine della Cina – la somma dei nuovi lavoratori che entrano nella forza lavoro e della produzione per lavoratore – è ora più vicino al 2,5%. Bastava vedere con una prospettiva di più lungo periodo per capire quello che stava succedendo.
Il fenomeno del baby bust in Cina ha già ridotto la quota della popolazione mondiale in età lavorativa da un picco del 24% al 19%, e si prevede che scenderà al 10% nei prossimi 35 anni. Con una quota sempre più ridotta di lavoratori nel mondo, una quota minore di crescita è quasi certa. Questo viene anche a spiegare gli investimenti della Cina nel settore della robotica, con obiettivi in merito estremamente ambiziosi.
Inoltre recentmente il governo ha utilizzato, o cercato di utilizzare, il debito per spingere investimenti sempre maggiori, ma non sempre in settoi dove valesse la pena investire. Queste forze stanno rallentando la crescita della produttività, misurata come prodotto per lavoratore. Questa combinazione – meno lavoratori e crescita anemica della produzione per lavoratore – renderà estremamente difficile per la Cina iniziare a riconquistare quote nell’economia globale.
In termini nominali in dollari, il PIL cinese è sulla buona strada per diminuire nel 2023, per la prima volta dalla forte svalutazione del renminbi nel 1994. Considerati i vincoli alla crescita del PIL reale, nei prossimi anni Pechino potrà riconquistare la quota globale solo con un’impennata. nell’inflazione o nel valore del renminbi, ma nessuno dei due è probabile. La Cina è una delle poche economie che soffrono di deflazione e deve affrontare anche un crollo immobiliare alimentato dal debito, che in genere porta a una svalutazione della valuta locale.
Gli investitori stranieri stanno fuggendo dalla Cina con grande rapidità, aumentando la pressione sul renminbi. Gli operatori hanno tagliato gli investimenti nelle fabbriche cinesi e in altri progetti di 12 miliardi di dollari nel terzo trimestre: il primo calo di questo tipo da quando sono iniziate le registrazioni. Anche la gente del posto, che spesso fugge da un mercato in difficoltà prima degli stranieri, se ne sta andando. Gli investitori cinesi stanno effettuando investimenti all’estero a un ritmo insolitamente rapido e vagano per il mondo alla ricerca di affari immobiliari.
Il presidente cinese Xi Jinping in passato ha espresso la massima fiducia nel fatto che la storia stia andando a favore del suo paese e che nulla possa fermarne l’ascesa. I suoi incontri con Joe Biden e gli amministratori delegati degli Stati Uniti al vertice della scorsa settimana a San Francisco hanno suggerito moderazione, o almeno un riconoscimento del fatto che la Cina ha ancora bisogno di partner commerciali stranieri. Però gli andamenti macroeconomici sono tali che neanche Xi potrà cambiare la rotta.
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