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MANOVRA: QUELLO CHE SARA’ E QUELLO CHE VORREI

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Caro ministro Tria, poiché la massima manifestazione dell’attività di un governo è rappresentata dall’emanazione della legge finanziaria, mi sono permesso di fare qualche conto per indicare le possibilità in gioco ed i cosiddetti “margini di manovra”.
Sarebbe desiderabile un importante aumento della spesa pubblica, in modo da immettere moneta nelle tasche dei cittadini incentivando inoltre i consumi, ma non bisogna cadere nel tranello dei “keynesiani da osteria”, quelli che dicono di volere portare il deficit a doppia cifra per un numero imprecisato di anni. Perché? Perché la spesa pubblica è reddito per i cittadini (per questo i liberisti la aborrono), ma questo arricchimento genera maggiori consumi di merci e servizi, ANCHE ESTERI. Questo ha un effetto negativo poiché una maggiore richiesta di beni esteri peggiora la bilancia commerciale in quanto tende a fare aumentare la moneta in uscita a parità di moneta in entrata. Spieghiamoci con un esempio: supponiamo che io abbia un aumento di stipendio e grazie a questa disponibilità io decida di acquistare un’auto giapponese al prezzo di 25.000€. Col mio acquisto un’autovettura entrerà in Italia e parallelamente 25.000€ usciranno dall’Italia per andare in Giappone. A fronte di beni che entrano (importazioni) si ha un pari valore di moneta che esce. E’ intuitivo capire che, in generale, la moneta che esce da uno Stato (dovuta alle importazioni) non può essere costantemente maggiore di quella che entra (dovuta alle esportazioni), ovvero la bilancia commerciale deve essere in attivo o al limite in equilibrio. In questo caso specifico lo Stato si deve realmente comportare come il buon padre di famiglia. Questo non vuole dire che non si può essere in passivo per qualche anno, ma in generale occorre che eventuali passivi siano prima o poi corretti con dei tagli alla spesa pubblica, in modo da impoverire i cittadini e conseguentemente ridurre le importazioni. Tanto maggiore è la bilancia commerciale, più un aumento della spesa pubblica e del Pil sono compatibili con l’equilibrio dei conti con l’estero. Esiste quindi un valore del Pil che non deve essere superato per non incorrere in un aumento esagerato delle importazioni rispetto alle esportazioni. Come siamo messi e quindi quanti margini di manovra ha il governo? Siamo messi bene, infatti dal 2012 la nostra bilancia commerciale è ampiamente in positivo:

bilancia commerciale – Italia

Questo sta a significare che dal 2012 in poi stiamo vivendo al di sotto delle nostre possibilità, cioè lo Stato POTREBBE e DOVREBBE spendere di più! Quanto? Basta applicare la relazione nota come legge di Thirlwall: esaminando la situazione dal 2000 al 2017 si evince che in questi 17 anni l’equilibrio dei conti esteri impone una crescita del Pil nominale non superiore al 46,2% (circa il 2,3% annuo), mentre noi siamo cresciuti solo del 38,5% (circa il 1,9% all’anno).

Questo vuole dire che, come anticipato, lo Stato spende MENO di quanto dovrebbe e quindi abbiamo un reddito inferiore a quanto potremmo permetterci. Si vede bene nel grafico sottostante in cui è riportato in blu (tratteggiato) l’andamento dei Pil compatibile con l’equilibrio dei conti esteri, mentre in rosso il Pil nominale effettivamente realizzato.

Fino al 2008 crescevamo troppo: gli italiani avevano un reddito troppo alto (infatti la linea rossa si trova al di sopra della linea tratteggiata) e quindi importavamo troppo rispetto alle nostre esportazioni, a seguito della crisi economica il nostro reddito è diminuito riportandoci a valori più compatibili col vincolo esterno, infine è intervenuto il senatore Monti ad impoverci ulteriormente (linea rossa al di sotto di quella tratteggiata) facendoci vivere al di sotto della nostre possibilità. Volendo sfruttare totalmente il gap di reddito rispetto al vincolo esterno indicato dalla linea tratteggiata, è possibile calcolare il Pil massimo che ci possiamo permettere nell’anno venturo: potremmo crescere fino al 7,5% in termini nominali (pari a 128,8 miliardi di € in più). Mettiamo dei numeri giusto per rendere l’idea: supponendo un’inflazione del 2,0%, potremmo crescere in termini reali al massimo del 7,5 – 2,0 = 5,5%; ipotizzando invece un’inflazione del 1,5%, potremmo avere al massimo una crescita reale del 7,5 – 1,5 = 6,0%. Potremmo cioè permetterci dei tassi di crescita CINESI! Ma come fare per ottenerli? La risposta è molto semplice: facendo spendere lo Stato! La spesa di qualcuno è SEMPRE il reddito di qualcun altro, pertanto la spesa dello Stato è reddito dei cittadini ed il Pil è proprio la somma dei redditi dei cittadini. Questo fatto è noto da almeno 80 anni dalla teoria economica ed è riscontrabile anche da noi con una precisione impressionante. Mettendo in relazione la spesa pubblica ed il Pil, si vede che sono in relazione lineare: se aumenta la spesa pubblica aumenta il Pil, se diminuisce la spesa pubblica diminuisce il Pil.

Questo grafico ci dice che per ogni euro di spesa pubblica in più, il Pil aumenta di 4,3037 euro in termini nominali e questo si verifica nel 98% dei casi, praticamente sempre, come si evince dalle figure seguenti che sono praticamente identiche:

Poiché il Pil e la spesa pubblica sono fortemente legate, è facile calcolare che, per ottenere tale incremento di Pil (pari a 128,8 miliardi di €), occorre incrementare la spesa pubblica di 128,8/4,3037 = 29,9 miliardi di €. E pensi un po’: se portasse il DISAVANZO PRIMARIO al 5,6% e conseguentemente il rapporto deficit /Pil al 9,2% (non riporto i calcoli in quanto piuttosto complicati), il rapporto debito/Pil resterebbe invariato (alla faccia dei terroristi dello spread!). Ma come è possibile? E’ più semplice di quanto si pensi: se lo Stato fa deficit, ovvero spende più di quanto tassa, i cittadini aumentano il proprio reddito e quindi aumenta il Pil. E’ vero che aumenta anche il debito, ma l’aumento del Pil compensa esattamente l’incremento del debito in modo che il loro rapporto resti invariato.
Se invece il governo si attesterà su un rapporto deficit/Pil del 2,4%, come dicono le indiscrezioni, applicando il dato agli ultimi rilevamenti annuali disponibili (relativi al 2017), si otterrebbe verosimilmente un incremento del Pil nominale solo dell’1,9% (perfettamente in linea con la media degli anni passati) conseguente ad un aumento della spesa pubblica di circa 7 miliardi e mezzo (per una prima applicazione del reddito di cittadinanza, la modifica della legge Fornero e forse un abbozzo di dual-tax), ma con la necessità, per mantenere invariato il rapporto debito/Pil, di un aumento delle imposte di circa due miliardi. È intuitivo che, se la crescita del Pil nominale fosse superiore all’1,9%, il rapporto debito/Pil tenderebbe a calare.
Ministro Tria, le possibilità ci sono tutte, occorre il coraggio e la volontà di volerle cogliere!

Claudio Barnabè


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