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Crisi

Mani Pulite, un colpo di Stato giudiziario (di Diego Fusaro)

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Mani Pulite” continua a essere agiograficamente celebrato come un evento decisivo, come una liberazione, vuoi anche come il trionfo della democrazia sulla corrottissima “prima repubblica”. Ma siamo davvero sicuri che sia questo il corretto modo di intendere la realtà? Mi permetto di dubitarne, sollevando il dubbio metodico di marca cartesiana. Il compito della filosofia, forse, risiede proprio nel problematizzare l’ovvio o, come diceva Heidegger, nel fare emergere come “in ogni cosa risaputa si celi ancora qualcosa degno di essere pensato”.

 

Sarò telegrafico, esponendo in forma apodittica la mia tesi, che ho meglio argomentato nello studio “Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione” (Bompiani 2014, cap. VI). “Mani Pulite”, con buona pace delle retoriche edificanti e della “pappa del cuore” per anime belle, fu un vero e proprio colpo di Stato che rese possibile l’abbandono del welfare State e di quelle forme politiche che, pur corrottissime, ancora ponevano in primo piano la comunità umana e i suoi bisogni concreti, l’istruzione e la sanità garantite, non certo il mercato sovrano e assoluto.

 

La logica dialettica di sviluppo del capitalismo è quella della progressiva estensione della forma merce a ogni ambito e, insieme, della distruzione di ogni limite che a tale movimento si opponga: “ogni limite è per il capitale un ostacolo”, sapeva già Marx. E il capitale procede al superamento degli ostacoli per imporre la forma merce ovunque, di modo da rispecchiarsi in ogni cellula della realtà integralmente reificata (sul tema, rimando al mio “Minima mercatalia. Filosofia e capitalismo”, 2012).

 

Ora, con la “prima repubblica” vi era certo la corruzione (che non mi sogno di negare o anche solo di ridimensionare!), ma vi era pur sempre un governo ispirato a valori non coincidenti con quelli del mercato e, anzi, potenzialmente in grado di prendere posizione contro di essi.  DC e PCI, pur diversissimi, erano accomunati da un’attenzione per il sociale che oggi è scomparsa su tutto il giro d’orizzonte, a destra come a sinistra. Il fanatismo dell’economia doveva abbattere esattamente tutto questo, per sostituirlo con una politica che non fosse altro che la continuazione dell’economia con altri mezzi.

 

Fu ciò che, appunto, “Mani Pulite” rese possibile. Non era possibile farlo tramite un aperto colpo di Stato manu militari, proprio come gli USA non possono bombardare i popoli esibendo l’autentica ragione, cioè la criminale brama di dominio imperialistico del mondo: proprio come gli USA, dal 1989 ad oggi (in quella che, con Costanzo Preve, ho definito la “quarta guerra mondiale”), bombardano sempre in nome dei diritti umani e della libertà, della democrazia e dell’umanità, analogamente “Mani Pulite” distrusse i diritti sociali e una politica non ancora subordinata integralmente all’economia, e lo fece in nome della lotta alla corruzione e della giustizia, dell’onestà e della questione morale. Lo fece, cioè, trovando l’appoggio di un’opinione pubblica artatamente pilotata e, di più, rincretinita ad opera del circo mediatico e dal clero giornalistico, tramite parole d’ordine come “lotta alla corruzione” e “onestà”; parole d’ordine che, trovando subito il cosnenso universale, fecero sì che gli Italiani acconsentissero e, di più, volessero la distruzione dell’Italia stessa come Paese sovrano e non ancora integralmente sottomesso al fanatismo economico.

 

Il grado di ipocrisia fu, grosso modo, lo stesso che riscontriamo abitualmente nelle politiche estere statunitensi: la lotta contro la corruzione divenne il casus belli per distruggere lo Stato e la politica, i diritti sociali conquistati, e dunque per aprire l’esiziale ciclo delle privatizzazioni in nome del sacro dogma – sempre ripetuto ancora oggi nelle omelie neoliberali – della competitività in assenza dei lacci e dei lacciuoli dello Stato. Non diversamente, gli USA continuano a usare barbuti dittatori come pretesto per massacrare i popoli (Iraq, Libia, ecc.), sempre in nome – citando Preve – dell’intervenitismo umanitario, del bombardamento etico e dell’embargo terapeutico. Questo è il punto. Occorreva attuare la cosiddetta “rivoluzione liberista”, ossia la privatizzazione neoliberale dell’intera società, con aziendalizzazione del sociale, rimozione del diritti sociali (sostituiti dai diritti civili innalzati a soli diritti esistenti), distruzione della politica, sostituzione dei politici con maggiordomi della finanza e del vecchio capitalismo europeo dotato di welfare state con il capitalismo selvaggio americano senza diritti e garanzie.

 

Questo fece Mani Pulite, con buona pace delle grandi narrazioni ripetute urbi et orbi dalla propaganda ufficiale. Mani Pulite fu un colpo di Stato giudiziario ed extraparlamentare con cui, in coerenza con la nuova politica globale, si era precocemente iniziato a distruggere il lascito di uno Stato sociale di stampo keynesiano, sia pure in preda alla corruzione.

 

Si aprì, così, nel consenso generale, e nel trionfo di scene patetiche come quella del lancio delle monetine, il ciclo irresistibile di politiche inetrscambiabili di centro-destra (il cavaliere Berlsuconi) e di centro-sinistra (il baffetto D’Alema), in un’alternanza senza alternativa in cui a vincere era sempre e solo il mercato, sempre e solo il nesso di forza capitalistico, sempre e solo il fanatismo dell’economia. Di qui occorre tornare a riflettere per comprendere le vicende degli ultimi vent’anni, il piano inclinato che ci ha portati dove attualmente siamo.

 

Diego Fusaro


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