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Macron, Macron, perchè sei tu Macron? (di Marco Lombardi)

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Sembra passata un’eternità, da quando il giovane e neo-eletto presidente Macron, accompagnato dalla sua diversamente giovane consorte, sfilava sulla Piazza del Louvre, al suono dell’europeissimo Inno alla Gioia.
Tutta la nostrana “intellighenzia” i benpensanti del “più Europa”, tiravano un sospiro di sollievo, all’idea che la Le Pen non ce l’avesse fatta a salire all’Eliseo.
Dopo la Brexit, il peggior incubo era una presidente francese che, in campagna elettorale, aveva dichiarato di voler far uscire la Francia dall’UE. Allora, evviva Macron, che si presentava come un outsider, col suo movimento “En marche” nato completamente ex novo, rispetto ai candidati degli altri partiti.
È stato così che la stampa italiana si è lanciata in un coro di sperticati elogi per questo candidato, il “giovane” Macron, con quella fascinazione giovanilistica della cultura (?) italiana di questi anni, che tanto apprezza i giovani in quanto tali, salvo quando si tratta di dare loro un lavoro pagato.
Macron il competente, perché manager di una delle più antiche e potenti banche del Continente, Macron il “romantico” per la sua inusuale storia d’amore con una sua insegnante, oggi sua moglie.
Macron, il politico non solo nuovo, ma anche rassicurante per tutti i corifei del “più Europa”, rapiti da quella improvvisa e beneaugurante – per loro – sostituzione della Marsigliese con l’Inno alla Gioia.
Un pericolo scampato, una favola che si avvera, con il Presidente mano nella mano sul palco davanti al Louvre con la sua attuale moglie, al punto che, al posto dell’Inno alla Gioia avrebbe potuto starci bene anche ”Diana” di Paul Anka.
Una bella favoletta, di quelle che piacciono ai rotocalchi, ma che non avrebbe dovuto accontentare i seri e paludati analisti politici, fattisi anche loro trascinare dall’entusiasmo per il giovane principino fattosi re.
Sì, perché basta studiare un po’ di storia francese per capire che il “nuovo” e “giovane” Macron ha ben poco di innovativo.
Più di una volta, in Francia, i periodi di caos, di incertezza politica, sono stati risolti con l’avvento di un uomo “forte”, che desse garanzie di stabilità anche e soprattutto alla classe della media borghesia, alla classe dei “notabili”.
E non lo dico io; queste conclusioni furono tratte già da Jean Tulard, uno dei più insigni storici di Napoleone Bonaparte, nel suo saggio pubblicato un quarto di secolo fa. Un libro che molti analisti politici nostrani non hanno letto, o hanno dimenticato, a quanto pare.
La storia francese si è poi ripetuta, nel 1830, col regime borghese di Luigi Filippo dopo l’uscita di scena di Carlo X durante la rivoluzione di luglio.
E ancora, dopo il 1848, la presidenza e poi il regno di Napoleone III saranno sostenuti dalla borghesia e l’azione economica del Bonaparte sarà all’insegna della modernizzazione industriale sotto la guida dirigistica di uno stato fortemente centralizzato.
E oggi abbiamo Macron, il candidato sostenuto dalla borghesia e dai ceti dei grand commis del potente stato francese, promosso all’Eliseo come risposta e soluzione alle incertezze causate dal tentennante e fallimentare Hollande e dai proclami massimalistici del Front National.
Insomma, altro che Macron giovane, romantico, bravissimo: Macron, l’ennesimo uomo forte della borghesia d’oltralpe!
Eppure qualche avvisaglia c’era stata nei mesi scorsi: dopo aver riportato all’ordine la vandeana Le Pen, Macron non sembrava voler vedere esaurito il suo compito, anzi, dava evidenti segni di bonapartismo. Si polemizzava a proposito di discorsi senza possibilità di fare domande, di ritratti ufficiali di dimensioni più grandi rispetto alla norma. Ma la cosa veniva trascurata dai nostri commentatori. Non sarebbe stata qualche polemica su banali dettagli a rovinare la fiaba romantica del ragazzo dell’Eliseo.
Poi però esiste quella cosa chiamata realtà, che prima o poi salta ancora fuori, a dispetto di tutti gli sforzi per negarla: nel giro di 48 ore il ragazzo dell’Eliseo tenta si sfilarci di mano quel poco di controllo che abbiamo ancora sulla Libia e poi nazionalizza i cantieri di St. Nazaire, già oggetto di un accordo per l’ingresso nella società della nostra Fincantieri. E tutto questo fregandosene bellamente del libero mercato e dell’Unione Europea.
Macron ha fatto capire chiaramente che l’Europa è molto utile come ideale astratto per rassicurare elettori impauriti, può essere un motivetto diverso dalla solita Marsigliese, da strimpellare alla festa per la vittoria elettorale. Certo, certo, ma quando si tratta di fare sul serie, viene prima LA FRANCIA, poi tutto il resto.
In questi giorni leggo commenti indignati, imbarazzo dei politici e critiche acute da parte dei benpensanti, dei “piùeuropeisti” e dai soliti analisti paludati.
Eppure, come vedete, non c’è nulla di sorprendente, a parte la sorpresa di chi avrebbe dovuto avere la cultura e la visione prospettica adeguate per non farsi trascinare, mesi fa, in applausi e lodi che, alla luce dei fatti, si sono rivelate quanto meno fuori luogo.
E a noi, andando a comprare il giornale in edicola, non resta che augurarci maggiore equilibrio e serietà da chi dovrebbe, con le sue analisi, farci capire come gira il mondo.


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