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Macedonia, ennesimo flop della UE politica

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Nel semi-silenzio dei nostri media è andato in scena ieri l’ennesimo flop dell’Europa politica, stavolta in Macedonia. Il referendum costituzionale che doveva sancire l’ingresso di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia) in UE e NATO e il cambiamento di nome in “Repubblica della Macedonia del Nord”, boicottato dai partiti di destra e centrodestra, non ha infatti raggiunto il quorum del 50%+1 degli elettori. L’affluenza si è fermata al 36,62% del 1.806.336 elettori registrati. Poco importa che i favorevoli siano stati quasi il 100% dei votanti: i contrari sono rimasti a casa. Ha pesato non poco probabilmente il recente massacro economico, sociale e politico della vicina Grecia ad opera della Trojka a guida UE.

Nonostante il sostanziale fallimento il governo di Zoran Zaev, economista specialista in politica monetaria e presidente del partito di centro-sinistra Unione Socialdemocratica di Macedonia, ha annunciato che porterà avanti il progetto di adesione alla UE.

Ricordiamo che Zaev fu accusato nel 2015 dal primo ministro precedente, Nikola Grueski, di cospirazione con diplomatici e un servizio di intelligence straniero per rovesciare il governo. Salito al potere con una maggioranza risicata, Zaev annunciò un “governo responsabile, riformista ed europeista”.

La strada per l’adesione alla UE e alla NATO si era aperta per la caduta del veto greco, veto motivato dalla disputa sul nome “Macedonia” che i greci vedevano come una minaccia di annessione della loro regione macedone. In questo senso il flop elettorale è uno smacco anche per la politica estera di Alexis Tsipras e del suo partito Syriza.

D’altro canto i nazionalisti macedoni hanno visto il nome “Macedonia del Nord” come un compromesso inaccettabile. Il presidente macedone Ivanov aveva definito l’accordo sul nome come “una flagrante violazione di sovranità”, e negli stadi si svolgevano da tempo proteste dei tifosi sul tema “il nostro nome è la nostra identità”. Per ironia del destino, il fronte del No ha fatto leva anche sull’antimilitarismo e il concetto “no-border”. Nelle parole dell’attivista anti-referendum Ana Mijakovska, “Il referendum è un suicidio del popolo macedone. Stiamo mostrando la nostra dignità e le nostre conquiste come popolo pacifico, creativo con valori civili. La nostra idea è che la Macedonia debba cooperare con tutti i popoli e le nazioni del mondo, a Est e Ovest. La divisione in blocchi come UE o NATO non è buona per nessuno. Non siamo favorevoli a soluzioni militari, o a essere parte di organizzazioni militari come la NATO”.

Nel campo avverso si è naturalmente accusato il fronte del No di essere finanziato da Mosca, in questo sostenuti dal governo USA che è ovviamente interessato più all’allargamento della NATO che alla UE.

Salta dunque per il momento sotto le spinte sovraniste il cambiamento geopolitico fortemente voluto da Bruxelles e da quei “servizi di intelligence” così attivi nei Balcani, proprio a causa dello scarsissimo appeal di un’unione europea a guida franco-tedesca.


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