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Ma chissenefrega di Mahmood di Massimiliano Lenzi.

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Ma chissenefrega di Mahmood che vince il Festival di Sanremo, non è certo attorno al suo nome medio orientale che si origina la questione politica (e non artistica) contemporanea che emerge dallultimo evento nazionalpopolare rimasto in questo nostro simpatico Paese, il Festival appunto con la sua cinque giorni di diretta Rai e di agonismi ad uso degli spettatori, da Bolzano a Lampedusa. 

Era bella o era brutta la canzone di Mahmood? Dettagli, in una gara dove son riusciti, in passato, a fare arrivare tra i perdenti persino un rocker come Vasco Rossi o un talento come Zucchero, questi sono davvero lateralismi da bar. Questioni che attengono allestetica, soggettive come la bellezza. Ci sono infatti donne belle che piacciano e donne altrettanto belle che non piacciono. No, il punto vero – mentre tutti, dai commentatori ai politici passando per la gente normale, sui social, non fanno altro che chiosare laspetto etnico e religioso di Mahmood, che noia! – è un altro: decide il popolo chi far vincere al Festival oppure lo decidono le giurie di qualità?

Lasciando da parte per un attimo linterrogativo e la ricerca di una risposta, guardiamo alla sostanza. Il Festival di Sanremo si è rivelato, in questa edizione 2019, un vero specchio non solo dellItalia ma dei conflitti politici di oggi. Da una parte il televoto, ovvero la scelta della gente, il popolo, che avrebbe fatto vincere il cantante Ultimo e dallaltra parte le giurie di qualità che hanno invece indicato come il migliore Mahmood. Popolo contro élite, siamo alle solite. Alle fondamenta del patto sociale che investe il nostro stare insieme, sia come pubblico che come popolo. Per gli show, si tratta di uscire dalla transessualità che vede mischiarsi giurie di qualità e voto popolare. Se decide il televoto così sia. Se invece della gente non vi fidate e volete far scegliere le giurie di qualità, che almeno sia chiaro. Ma evitare dora in avanti di imbastardire le scelte sarebbe cosa buona e giusta, oltreché un modo semplice di chiarire le cose.

Perché se c’è un aspetto che questi anni che viviamo – che in troppi definiscono unepoca populista – ci rendono chiaro è che non si possono mischiare i pareri differenti di élite e popolo. Si tratta di scegliere. O luna o laltro. Far finta di non vedere questo conflitto di comando e di Potere sarebbe stupido prima ancora che antistorico. Per cui smettetela con le battute sul vincitore Mahmood, perché è un poegiziano e perché comunque non ricorda nei refrain della sua canzone la nostra Nilla Pizzi. Non siamo davanti ad una questione religiosa, ma di sostanza: comandano i populisti o comandano i migliori, le élite (che poi, migliori, ma secondo chi?)? Metterla sul religioso o sul conflitto culturale sarebbe da bischeri.

Sarebbe un pocome aver criticato negli anni Ottanta Madonna perché aveva scelto di chiamarsi come la Vergine Maria e intonava una canzone il cui ritornello era like a Virgin, come una Vergine. No, stavolta la partita è più tragica. Attiene al Potere e non alle fedi secolarizzate. Si tratta di capire chi comandi. Anche a Sanremo, ridente località di mare, in Liguria, dove una volta allanno si canta per un Festival. Una volta sola. Una ragione in più per non stonare,

Massimiliano Lenzi, Il Tempo 11.2.19


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