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L’URGENTE RILANCIO DELL’OCCUPAZIONE? COL SALE IN ZUCCA (no “permeismo” allowed) di Luciano Barra Caracciolo

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Riceviamo dal Professor Luciano Barra Caracciolo e dal suo blog, Orizzonte48.

 

Avvertenza: commenti che affermino, o dimostrino per il loro contenuto, di non aver neppure letto con attenzione il post e i links che esso contiene, non verranno pubblicati.
Per i luoghi comuni e l’incompetenza “permeista” non c’è più tempo da perdere.

1. Repetita iuvant: secondo Eurostat, l’Istat dell’Unione europea, l’Italia ha una delle più basse spese pubbliche pro-capite in €uropa.

 

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2. Infatti, ciò è confermato dai dati sul numero dei pubblici impiegati.
E si tratta di quelli del 2011, a cui sono seguiti ulteriori accorpamenti di strutture e blocchi del turn over, sul fronte organizzativo pubblico (molti credono che la spending review non sia in corso, solo perchè il livore accecante non consente neppure la memoria a breve sulle leggi sfornate a getto continuo).
In questo numero dobbiamo pure conteggiare un precariato – nei settori dell’istruzione e della sanità, ma non solo-,che è un record UE e che ci pone in infrazione rispetto alle direttive europee sulla preferenza per il contratto a tempo indeterminato.
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3. Questo il dettaglio OCSE sui numeri del 2011 (ripetiamo ulteriormente ristretti dalle manovre degli anni successivi):
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Dall’esame dei dati OCSE 2011, quindi dalla fonte sopra linkata, prendiamo queste osservazioni:
Contrariamente a quanto ritiene gran parte dell’opinione pubblica, i dipendenti pubblici in Italia non sono troppi: sono troppo pochi. Nel 2011 (dati OECD) in Italia c’erano 3.435.000 dipendenti pubblici (di cui 320.000 precari, tra collaboratori e partite IVA), contro i 6.217.000 della Francia e i 5.785.000 del Regno Unito, paesi con una popolazione molto simile a quella dell’Italia e un pil non troppo superiore. Anche in Spagna e negli Stati Uniti i dipendenti pubblici pro capite sono più numerosi che in Italia (rispettivamente 65.6 e 71.1 per mille abitanti, contro i 56.9 dell’Italia). Solo il dato tedesco è apparentemente simile a quello italiano (54.7 per mille abitanti), ma esso è influenzato verso il basso dal regime privatistico del personale sanitario
Se consideriamo il solo personale amministrativo, per avere in Italia lo stesso numero di dipendenti pubblici pro capite che c’è in Germania bisognerebbe ricorrere a 417.000 nuove assunzioni, a fronte di uno stock attuale di 1.337.000: un incremento del 31%. E per avere lo stesso numero di impiegati amministrativi pro capite degli USA bisognerebbe assumerne addirittura 1.310.000.”
 
Non è il caso di ricordare in questa sede i divari di disoccupazione giovanile tra l’Italia e quelli di quasi tutti gli altri paesi europei, né che la quota di giovani laureati in Italia è la più bassa nell’Unione europea. Negli altri paesi il settore pubblico rappresenta una quota cospicua della domanda di laureati, sia grazie alle sue dimensioni, sia all’elevata scolarità della forza lavoro che vi è impiegata. Al contrario, in Italia, al sotto-dimensionamento della pubblica amministrazione si accompagna un livello di scolarità del personale particolarmente basso: solo il 26% degli addetti (dati ARAN 2012) è in possesso di laurea vecchio ordinamento o magistrale, cui si deve aggiungere un 4% con la laurea triennale, a fronte, per esempio, di una percentuale del 54% in Gran Bretagna. dove i civil servants laureati sono oltre 3.000.000 (i pubblici dipendenti laureati italiani sono soltanto 1.000.000). Se si volesse adeguare il settore pubblico agli standard europei si riassorbirebbe completamente la disoccupazione dei laureati, rendendo altresì urgenti politiche educative di tipo espansivo
 
…E’ indubitabile che a) l’impiego pubblico è sottodimensionato, b) esiste un’alta disoccupazione di giovani con elevato titolo di studio, c) il livello della domanda interna è insufficiente, con conseguente grave crisi dei settori produttivi. Questa nostra proposta si propone di affrontare in modo coerente i tre problemi mediante un aumento consistente del numero di dipendenti pubblici. Le proposte che avanziamo circa il finanziamento, le modalità e la gestione dell’iniziativa – dei quali siamo peraltro convinti – sono opinabili e probabilmente esistono soluzioni diverse. Ma le difficoltà su questo piano non possono in alcun modo esimere il potere politico dalla necessità di affrontare i problemi che abbiamo citato in un modo, ripetiamo, coerente“.
4. Secondo lo stesso studio fare assunzioni per 800.000-1.000.000 di unità costerebbe circa 15/20 miliardi: cioè da poco meno a poco più di un punto di PIL.
Questa semplice manovra, il cui finanziamento costerebbe meno di qualsiasi estensione seria del reddito di cittadinanza, riassorbirebbe completamente la disoccupazione dei laureati, rendendo automaticamente più dimensionata ed appetibile la domanda degli stessi laureati, e di personale qualificato, da parte del settore privato, punto non trascurabile quando si parla delle (presunte) esigenze di provvedere con urgenza, cui corrisponderebbe il reddito di cittadinanza
E l’effetto di rilancio della domanda (la disoccupazione calerebbe di circa il 27%, tornando…ad una cifra)porterebbe effetti occupazionali a cascata su tutti gli altri settori e tipologie di occupazione: ovviamente se ci calcola correttamente il moltiplicatore della spesa pubblica e non si sottraggono risorse utili mediante…il reddito di cittadinanza, deflattivo e esattamente contrario a questo processo.
5. Per chi abbia sale in zucca, è evidente che bisogna sforare il deficit strutturale imposto dall’€uropa (ma neanche di tanto,come insegnano Francia-Spagna purchè se magna, considerato l’effetto di aumento delle entrate del moltiplicatore fiscale).
O meglio, è evidente che il problema è lo stare in UEM, nulla più.
Il rilancio occupazionale pubblico, secondo l’assegnazione di compiti e funzioni non pretestuose ma necessarie, anzi indispensabili, per aumentare la produttività del settore pubblico (rinvio ancora allo studio linkato e a questo post), portebbe ad un rilancio della domanda e dell’intera occupazione, dunque.
Cosa ovvia (per chi ha sale in zucca): non altrettanto ovvio è che ciò influirebbe negativamente, – ed all’interno dell’euro in modo accentuato-, sul saldo delle partite correnti: consumi, ma anche investimenti, aggiuntivi avverrebbero con un aumento delle importazioni (che si sottraggono al PIL).
6. Ma attualmente, avremmo un margine di circa 2 punti di PIL (di attivo CAB) per assorbire questo effetto e graduarlo in un tempo ragionevole: l’effetto sarebbe inoltre transitorio se il rilancio degli investimenti, che indubbiamente ne conseguirebbe, fosse:
a) guidato da politiche industriali pubbliche che sapessero individuare i settori trainanti della nostra offerta idonei a sostituire beni di consumo e strumentali attualmente importati;
b) accompagnato dal recupero della flessibilità del cambio unito alle politiche di cui al punto a).
Rinviamo in tal senso alle indicazioni del “Ci facciamo buttare fuori? (nelle sue varie puntate).
7. Oltre all’invito a leggervi per intero lo studio sopra citato (eccetto per le fonti di finanziamento, che lo stesso studio ammette come materia opinabile), vi fornisco di un altro elemento di comprensione che non dovrebbe essere ignorato:
La PA arretra nei settori del Welfare. Diminuisce l’occupazione dipendente in settori di attività tradizionalmente pubblici e aumenta al contempo il numero degli addetti nelle imprese e nelle istituzioni non profit. Dall’indagine emerge quindi l’effetto “sostituzione” tra un settore e l’altro in termini di occupazione e unità economiche. Se, da una parte, rispetto al 2001 diminuisce l’occupazione dipendente nell’istruzione e nella sanità e assistenza sociale pubblica (rispettivamente –10,3 per cento e -8,6 per cento), dall’altra aumenta contestualmente nelle stesse attività economiche il numero degli addetti nel non profit (+78mila nell’istruzione, +123mila nella sanità e assistenza sociale) e nelle imprese (rispettivamente +13mila e +148mila). Una conferma del progressivo ampliamento dei servizi di mercato chiaramente misurato dal Censimento.”
8. In altri termini, l’allargamento del settore dei servizi privati, che è quello maggiormente incentivato dalle politiche attuali, com’è del tutto evidente dai recenti dati Istat, e che è anche quello a più agevole precarizzazione e deflazione salariale, corrisponde proprio alla privatizzazione delle funzioni e dei servizi pubblici di più stretto interesse generale, e dunque alla diminuzione del numero dei pubblici impiegati.
E’ il compito pubblico che diviene mercato privato del lavoro-merce. E porta dritti al reddito di cittadinanza.
Ma che volete che sia? L’importante è combattere sprechi e corruzzzzzzzzzzzzzzione abolendo lo Stato cattivo.
Rammentandosi che oltre ai delocalizzatori anche i colonizzatori, che ormai sono in procinto di controllare coi loro IDE l’intera offerta italiana (senza che abbiano dovuto aspettare altre “riforme” deflattive e la fine della “corruzione”), hanno interesse alla permanenza nell’euro e al reddito di cittadinanza: l’ulteriore deflazione salariale è condizione di favore per ESSI e di ulteriore rilancio delle acquisizioni.
Questo bisogna capirlo, ma non verrà capito…avanti così.
Senza chiedersi PERCHE’ ESISTE QUESTA PERCEZIONE MEDIATICA DELLA CORRUZIONE. Ma non bisogna chiederselo mai e poi mai. Intesi?

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