Cultura
L’UE e il fuoco incrociato di Cina e Stati Uniti
Riceviamo a pubblichiamo questo articolo da Gabriele Sarteanesi.
“Dai nemici mi guardo io, ma dagli amici mi guardi Iddio” (proverbio popolare)
Nel marasma delle reazioni sdegnate per la vicenda “datagate”, ne è stata registrata una che suona particolarmente emblematica, ed è quella della Vicepresidente della Commissione Europea, la lussemburghese Viviane Reding, la quale ha dichiarato: «I partner non si spiano l’uno con l’altro, non possiamo negoziare un grande mercato transatlantico se c’è anche il minimo dubbio che i nostri partner fanno attività di spionaggio negli uffici dei nostri negoziatori».
Dunque se i partner non si spiano l’uno con l’altro, la domanda diventa: “per quale motivo gli USA invece lo fanno?”
A sentir loro, la risposta è l’evergreen “lotta al terrorismo”, la quale dall’11 settembre è diventata la ragione universale per ogni azione più o meno lecita.
Per quanto, sorvolando sull’improbabilità che cellule islamiste si annidino tra i colletti bianchi delle ambasciate occidentali a Washington, risulta (anche agli atti del processo Abu Omar) che i servizi europei abbiano sempre collaborato, anche ai limiti della legalità, con quelli americani per la lotta al terrorismo.
Sia mai che gli Stati Uniti ci percepiscano come nemici?
Quando nel 2008 scoppiò la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, in casa nostra c’era chi, in palese malafede, rassicurava gli animi sul fatto che in Europa si poteva stare tranquilli, che la crisi non ci avrebbe toccato, e che se lo avesse fatto ci avrebbe comunque colpiti solo di striscio. Costoro forse ignoravano il fatto che in realtà dall’America era nuovamente decollato l’Enola Gay, e che questa volta Little Boy aveva per bersaglio Bruxelles. La cosa invece era già data per assodata in tre salotti buoni: quello degli economisti (la maggior parte), quello degli analisti geopolitici, e… quello dei teorici del complotto.
Una delle teorie bollate come “del complotto” (ne giudichi il lettore l’attendibilità), vorrebbe (il condizionale è d’obbligo) che tra Europa e Stati Uniti sia in atto una guerra finanziaria. Sempre la stessa teoria del complotto vorrebbe (il condizionale è d’obbligo anche in questo caso) che il casus belli sia riconducibile ad una notizia rilasciata da Chris Cook, ex direttore dell’International Petroleum Exchange, successivamente additata come una “bufala mediatica”.
Correva l’anno 2006, e gli attriti tra mondo musulmano e Stati Uniti erano ai massimi storici: in Iraq Saddam era stato impiccato, ma sciiti e sunniti erano ancora lungi dal trovare un’intesa (politica… e di qualsiasi altro tipo), mentre le celeberrime armi di distruzione di massa erano state evidentemente portate via dagli alieni. In Afghanistan poi il vespaio era ancora nel pieno della sua attività, gli attentati suicidi si susseguivano a cadenza giornaliera e il cellulare di Bin Laden risultava ancora non raggiungibile.
L’Europa invece si stava guadagnando una posizione sullo scacchiere internazionale, aveva un’economia che trainata da quella tedesca era nel complesso in moderata crescita, mentre cominciavano a palesarsi i primi tiepidi effetti benefici della moneta unica. L’appoggio politico e militare fornito agli Stati Uniti, se da un lato ci aveva messo nel mirino del terrorismo internazionale, dall’altro ci aveva aperto le porte del mondo arabo, e siccome il petrolio va comunque venduto a chi produce… tra i due mali d’occidente, eravamo percepiti come il male minore.
È in questo contesto che in Iran (il quale era già il prossimo nominativo sulla lista delle invasioni), cominciò a serpeggiare un’idea pericolosa: Chris Cook stava infatti raccogliendo proseliti progettando la creazione di una Borsa Valori Mediorientale nella quale il petrolio sarebbe stato quotato in Euro anziché in Dollari.[1]
Facile intuire in quale paese post comunista possa aver avuto origine l’idea, paese che ne sarebbe stato in ultimo il principale beneficiario. Allo stesso modo è anche facile intuire gli isterismi statunitensi: in un momento nel quale le svalutazioni competitive ancora non erano contemplate, rimuovere il dollaro dal suo ruolo di valuta di riferimento per la quotazione del petrolio avrebbe messo in discussione l’intera economia statunitense, la quale, come noto, vivendo di importazioni ha necessariamente bisogno di una moneta forte.[2]
In altri tempi il problema sarebbe stato facilmente risolto con i marines, ma in questo caso attaccare l’Iran (magari con il pretesto del nucleare) avrebbe avuto il solo effetto di spostare il progetto in altri paesi meno bombardabili (leggi Arabia Saudita), oltre ad inasprire ulteriormente le già tese relazioni con il mondo arabo.
L’unica soluzione prospettabile divenne allora quella di agire sull’Europa, indebolendone la moneta e, nella migliore delle ipotesi, portando alla disgregazione dell’Euro eliminando alla radice il problema.
Come la crisi dei subprime sia stata ammortizzata dagli USA in tempi relativamente brevi, come si sia trasferita al sistema economico europeo, e come abbia innescato la crisi dei debiti sovrani prospettando la fine dell’euro, è ancora tema d’attualità.
Se si assumesse allora che è un conflitto in atto c’è, che è tra Europa e Stati Uniti, e che costituisce un riflesso del conflitto più generale tra i campioni in carica delle potenze mondiali e lo sfidante cinese, allora tutto acquisterebbe un senso. Gli spionaggi al Palazzo di Vetro del 2009 firmati Hillary Clinton, la rete della CIA smantellata nei paesi scandinavi nel 2010, il caso Wikileaks e lo sputtanamento globale dell’intelligence USA Atto I, e il caso Datagate con lo sputtanamento globale dell’intelligence USA Atto II sarebbero così tutti eventi collegati da una “Sottile Linea Rossa” (The Thin Red Line).
Del resto, seguendo da vicino i casi citati, e sorvolando sulle dichiarazioni di facciata dei vari leader mondiali, è perfettamente intuibile come dietro gli Assange e gli Snowden debba necessariamente esserci un’organizzazione di supporto piuttosto strutturata, così come anche ipotizzato da Il Foglio.[3]
Curioso poi, è anche rilevare come i tempi cambino: 40 anni fa una talpa statunitense in fuga con documenti classificati sarebbe stata probabilmente oggetto di una caccia all’uomo planetaria, inseguita sia da chi quei documenti li rivoleva indietro, sia da chi li bramava per utilizzarli nelle segrete stanze. E comunque nessuno si sarebbe accorto di niente.
Oggi invece quella stessa talpa è si braccata, ma mentre qualcuno tenta di metterlo a tacere, c’è anche chi si cura che fugga solo in posti con copertura wi-fi e con account twitter funzionante, giacchè pare che il traffico web cinese ultimamente sia un tantino troppo controllato. [4]
In definitiva cosa può fare l’UE per non rimanere sotto il fuoco incrociato della “No Man’s Land” come i protagonisti del film in copertina?
Al di là delle ferme dichiarazioni di condanna in cui si stanno affannando i leader europei, bisogna per l’ennesima volta rilevare come la Comunità stia continuando a pagare lo scotto di essere unita monetariamente ma non politicamente. Se avessimo un soggetto politico unico, che non sia la consueta tavolinata domenicale tra paesi amici, ma un vero organo capace di indirizzare univocamente le istanze europee in ambito internazionale, potremmo, chissà, magari anche permetterci un servizio di controspionaggio che al di là della mera collaborazione formale tra i diversi paesi, possa tenerci al riparo dalle orecchie indiscrete dei nostri alleati troppo esuberanti.
Ci serva il caso Snowden a ricordarci una volta ancora che non tutti i mali d’Europa possono risolversi con l’EFSM.
Gabriele Sarteanesi
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