Attualità
Lorenzo Fioramonti: un bravo ministro che non ha capito la questione fondamentale.
L’attuale ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca è certamente una persona preparata e adatta al suo ruolo.
Laureato in filosofia, dottore di ricerca in Politica Comparata ed Europea. Docente all’Università di Pretoria, in Sudafrica, con altri incarichi professionali all’estero (Università di Heidelberg, Hertie School di Berlino, Università delle Nazioni Unite).
Autore di pubblicazioni accademiche.
Dopo esserci ritrovati come ministro dell’Istruzione personaggi del calibro di Valeria Fedeli (del PD)
che mancavano persino della competenza minima di un diploma di scuola secondaria, possiamo certamente dire di avere fatto molti passi avanti.
Fioramonti è persona che ha molto chiaro il ruolo della scuola, dell’università e della ricerca in un paese moderno come l’Italia, quali fattori di traino per lo sviluppo del paese.
Ambientalista convinto, rispecchia appieno i “buoni valori” della politica che ci vengono proposti dai mass-media: ricerca, sviluppo, ambiente, green economy…
E’ un ministro coraggioso e coerente.
A settembre 2019, prima delle discussioni sulla manovra finanziaria per il 2020, ha dichiarato che si sarebbe dimesso se non avesse avuto a disposizione del suo ministero almeno 3 miliardi di euro. Ora che nella legge finanziaria sono stati previsti a malapena 2 miliardi per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, imponendo al Parlamento il voto di fiducia sulla legge, ovvero impedendo eventuali miglioramenti nel corso della discussione parlamentare, trapelano voci sulle effettive dimissioni del ministro, per coerenza con quanto aveva precedentemente affermato e con la serietà con cui ha svolto il proprio mandato in questi primi mesi di governo Conte II.
Fioramonti è un ministro “giusto”, ma al posto sbagliato.
Ci stupisce come nonostante la sua esperienza professionale di docente di economia politica Fioramonti non si sia reso conto di far parte di un governo votato alle politiche di austerità.
Quando a giugno 2019 la Commissione Europea impose all’Italia un limite al rapporto deficit/PIL al 2,04%
Fioramonti avrebbe dovuto sapere che la “coperta” a disposizione del governo si sarebbe ancora di più accorciata.
Il calcolo è semplice: l’Italia paga il 3,5% di PIL di interessi sul debito pubblico. Un deficit del 2,04% significa che l’Italia riceverà in cambio dei nuovi titoli di stato emessi il 2,04% di PIL di denaro in più rispetto all’anno precedente. Ma, dovendo pagare il 3,5% di PIL ai detentori dei titoli di stato, il bilancio netto sarà pari a 2,04-3,5 = -1,46% del PIL, pari a circa 25 miliardi di euro in meno a disposizione rispetto all’anno precedente.
Questo in una manovra finanziaria che ha coinvolto un budget di 32 miliardi di euro.
Caro Fioramonte, nonostante il suo ottimo curriculum, le è probabilmente sfuggita la questione fondamentale. Lei avrebbe dovuto sapere, prima di diventare ministro di questo governo, che con la manovra finanziaria si sarebbe dovuto necessariamente far saltare fuori quei 25 miliardi di euro mancanti, facendo aumenti di tasse (anche se questo governo, come tutti i governi precedenti, dice che non le ha aumentate) e facendo tagli al bilancio ovvero riducendo i fondi a disposizione dei vari ministeri.
Passare da 2 miliardi di euro (0,11% del PIL: una miseria) per Istruzione, Università e Ricerca a 3 miliardi di eurp (0,17% del PIL, sempre una miseria) significa tirare la coperta più forte di tutti coloro che, a ragione o a torto, chiedono di aumentare i fondi per un particolare indirizzo. A partire da Donald Trump, che chiede di aumentare gli stanziamenti per la Difesa e i contributi alla NATO, fino ai fondi per contrastare la povertà in Italia.
Se la coperta si accorcia ogni anno, probabilmente solo chi “tira pìù forte” potrà aumentare la propria quota di coperta, mentre tutti gli altri dovranno restare “meno coperti”.
D’altra parte era difficile attendersi un esito diverso da parte dell’Italia, che da molti anni occupa gli ultimi posti fra i paesi occidentali per investimenti pubblici (e privati) in Scuola e Istruzione:
e da un paese che dal 2009 continua a tagliare ogni tipo di investimento pubblico.
Caro ministro Fioramonti, se lei rassegna le dimissioni metteranno al suo posto un altro ministro dell’Istruzione che non alzerà la voce chiedendo più fondi, ma per l’Italia non cambierà nulla.
Gli italiani formati e competenti continueranno ad emigrare all’estero per lavorare, nonostante gli investimenti (pur miseri) in Istruzione ed Università. In assenza di un piano serio di aumento degli investimenti pubblici, i maggiori investimenti in Istruzione e Università serviranno solo a preparare meglio coloro che saranno poi costretti a lasciare il paese per lavorare.
Qualcosa potrebbe cambiare solo se l’Italia troverà il modo di disporre di maggiori finanziamenti pubblici, in modo da aumentare i finanziamenti non solo per Istruzione, Università e Ricerca, ma anche per: controllare la sicurezza dei ponti, ricostruire gi edifici nelle zone terremotare, far funzionare la giustizia, aumentare gli stipendi ai dipendenti pubblici, aumentare gli assegni familiari, ridurre il livello di tassazione sulle imprese, investire per la sua “amata” Green Economy, ecc.
Non deve fare molta strada per trovare la soluzione. Un suo collega di partito, lo stimato onorevole Pino Cabras, è il primo firmatario di una proposta di legge (quella sui Certificati di Compensazione Fiscale) che consentirebbe al governo di disporre sostanzialmente di 100 miliardi di euro in più a bilancio l’anno.
Con 100 miliardi di euro in più a disposizione, considerando che l’attuale manovra finanziaria di tagli e tasse vale “solo” 32 miliardi, è molto probabile che saltino fuori magari 4 miliardi per Istruzione, Università e Ricerca ed altri miliardi per la Green Economy e quant’altro necessario per la ripresa economica del paese.
Questa proposta di legge sarà sottoposta al Governo di cui lei fa parte.
La invitiamo, quindi, a non dimettersi da ministro, impegnandosi invece ad approfondire lei stesso questa proposta di legge ed a cogliere ogni occasione (su tv e giornali, ad esempio) per spiegarla agli italiani e per fare in modo che diventi una legge esecutiva per il bene dell’Italia.
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