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I pessimisti – forse poco informati – sostengono che per l’Italia non ci sono speranze. Si tratta soltanto di sapere quando ci sarà il crac. Gli ottimisti – forse poco informati – pensano che ne usciremo ma non sanno dire con quale rimedio né ad opera di chi. Facendo parte dei primi, ci affrettiamo a studiare le idee di Alesina e Giavazzi(1), perché non sono disinformati e non appartengono né ai pessimisti né agli ottimisti, né ai governativi  né agli antigovernativi. Nell’articolo infatti aprono grandi crediti al Primo Ministro ma cominciano dandogli torto quando sostiene che “non esiste un caso Italia”: fatto 100 il Pil del 2008, quello italiano è oggi al 91%, mentre quello della Francia è salito a 101% e quello della Germania addirittura al 104%.

Reso omaggio al loro sforzo di obiettività, rimane lecito discutere le loro proposte per uscire dal pantano. La prima sarebbe “un taglio simultaneo delle tasse in tutti i Paesi”, e corrispondenti graduali  riduzioni di spesa, ma loro stessi ammettono che il progetto è di difficile attuazione. Non foss’altro, aggiungiamo, perché richiederebbe l’accordo di tutti.

La strategia alternativa è un taglio delle tasse sul lavoro e una liberalizzazione del suo mercato (costo 33 miliardi l’anno), naturalmente con riduzioni delle uscite della medesima entità. Le idee su dove reperire i risparmi sulla spesa abbondano e basta seguire i suggerimenti di Carlo Cottarelli o, prima di lui, dello stesso Giavazzi. Ma qui casca l’asino: innanzi tutto si sono allineate due riforme di cui fino ad oggi nessun governo si è mostrato capace. È come dire che si batterebbe il campionato del mondo di salto, superando l’asticella a due metri e mezzo. Ma siamo sicuri che rientri nelle capacità umane? Inoltre una liberalizzazione del mercato del lavoro trova ostili moltissimi italiani e soprattutto il partito del Primo Ministro. Infine trentatré miliardi sono una somma sbalorditiva: ricordiamo che il Governo non ne ha trovati quattro e mezzo per abolire la tassa sulla casa e non sa dove sbattere la testa per coprire il regalo degli ottanta euro.

Tagli di spesa? Non scherziamo. Se fossero stati facili, tutti i governi li avrebbero già attuati. Avrebbero fatto felici gli italiani e avrebbero acquisito imperitura gloria. In realtà non siamo ancora riusciti a far sì che per gli ospedali le siringhe abbiano lo stesso costo in tutta l’Italia, altro che risparmiare decine di miliardi. Poi, per dimostrare all’Europa che siamo finalmente cambiati (ma lo siamo?) a questi miracoli bisognerebbe aggiungere le grandi riforme. Soprattutto quella dello Statuto dei lavoratori, quella della giustizia civile e quella della P.A. E che ci vuole.

Nelle previsioni, le spese sarebbero immediate e i benefici futuri. Dunque a breve l’Italia sforerebbe i parametri e tornerebbe ad essere “sorvegliata”. Ma, ci consolano gli editorialisti, “più riforme variamo prima di violare le regole, più tenue, o addirittura irrilevante, sarà la sorveglianza”. Ora, della sorveglianza uno potrebbe anche disinteressarsi: il punto è che se l’Italia fosse in grado di riformarsi non si troverebbe nella situazione attuale. E invece c’è fino al collo.

Naturalmente ciò che non è mai avvenuto potrebbe avvenire domani ma noi italiani siamo purtroppo noti per essere prodighi di promesse. Ormai tutti, per credere alle nostre grandi riforme, vorrebbero prima vederle. È dunque difficile pensare che l’Europa allenti i lacci dei trattati sulla fiducia. Col fiscal compact abbiamo avuto la faccia tosta di impegnarci a rimborsare ogni anno il 5% della parte del debito pubblico eccedente il 60% del Pil (secondo Wikipedia). Ora il debito è di oltre 2100 mdl  e corrisponde a oltre il 130% del Pil;  130-60 fa 70 e il 70% di 2.100 mld fa 1.533 mld. Divisi per venti (5%), oltre settanta miliardi l’anno. Potremmo mai pagarli, rimborsando nel contempo i titoli in scadenza?

Gli editorialisti si rendono conto dell’inverosimiglianza di ciò che hanno proposto e ipotizzano una terza soluzione: rimanere al di sotto del 3% del rapporto deficit-Pil, “con tagli marginali e qualche aumento nascosto della pressione fiscale”. Purtroppo ciò ci manterrebbe nell’attuale stagnazione e le previsioni degli osservatori continuerebbero a peggiorare. Essi arrivano dunque ad una conclusione non win-win (positiva in ogni caso), ma loose-loose: è molto difficile che riusciamo a muoverci, ma  rimanendo immobili avremo un altro anno di “crescita negativa”, con possibili effetti devastanti sullo spread, sulle tasse e sul rapporto debito-Pil. E questo potrebbe salire al 150%, “sollevando dubbi sulla sostenibilità del nostro debito”, per chi ne avesse. I pessimisti non ne hanno.

I rischi maggiori, dicono,  sono comunque quelli legati all’inerzia. Purtroppo i nostri connazionali, lo abbiamo scritto tante volte, sono dei ferventi dell’immobilismo. La speranza è sempre che il Futuro risolva da solo tutti i problemi. E in fondo è vero, li risolverà. Tutto sta a vedere come.

Gianni Pardo, [email protected]

18 agosto 2014

(1) http://www.corriere.it/editoriali/14_agosto_17/terapia-coraggiosa-b52dfb04-25d5-11e4-9b50-a2d822bcfb19.shtml


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