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L’OGGETTIVAZIONE MERCEOLOGICA
“Venne un tempo in cui tutto divenne alienabile”. Anzi, per meglio interpretare la filosofia eraclitea, venne un tempo in cui tutto divenne divenibile, dove il divenuto è merce. Di fatto, fu la miseria della filosofia. Ed anche di tutto il resto.
Miseria della filosofia è il titolo di un’opera di Karl Marx pubblicata nel 1847. Il virgolettato è tratto liberamente da un passo del primo capitolo dove viene criticato Proudhon, “socialista borghese” ispiratore di Gesell, che definisce la proprietà come un furto e fonda la sua teoria del “credito gratuito” basato sulla “Banca del Popolo”, un credito cooperativo dove lo Stato non ha ingerenze significative. Il passo completo è questo:
“Venne infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico, e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtú, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”.
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Da più di duemila anni la definizione di moneta corrisponde a quella del metallismo, in cui il metallo, tipicamente oro e argento, per la sua caratteristica sociale universale di essere riconosciuto come prezioso, viene usato come merce particolare (cit. Karl Marx, Il Capitale) il cui valore di scambio determina quello della moneta stessa. Tale convenzionalità universalmente accettata giunge presto a formare la convinzione, anch’essa universalmente accettata senza alcun tipo di “contrattualismo”, che il valore di questo metallo fosse “intrinseco”, cioè legato alla natura del materiale di cui la moneta è fatta. Da tale consuetudine plurimillenaria deriva la regola di politica economica secondo cui la moneta cartacea deve avere una copertura, un sottostante metallico (oro), ed essere in questo liberamente convertibile. Questo fino al termine degli accordi di Bretton Woods, avvenuto nel 1971 e che sospese, ma tale “sospensione” è ancora in atto, la convertibilità del dollaro in oro. Con l’introduzione della moneta nominale, in corrispondenza della fondazione della Banca d’Inghilterra, a cui lo stesso Marx fa riferimento, il paradigma metallistico venne di fatto associato alla banconota, e con il cartalismo di Georg Friedrich Knapp, economista tedesco che nel 1905 pubblica la “Teoria Statale della moneta”, le cui teorie vengono ora riprese dall’economista statunitense Warren Mosler, in riferimento alla moneta a corso legale, la concezione di sottostante e riserva di valore sono associate alla teoria statale di Knapp, che riservano allo Stato l’emissione “fiduciaria”. Schumpeter osserva che “ci sono solo due teorie della moneta: la teoria della moneta-merce e quella sui diritti di credito” (Schumpeter, cit. Ellis, 1934), quest’ultima basata su una concezione di moneta di conto astratta e intesa come debito trasferibile. Per la teoria moderna non è importante dare una definizione precisa della moneta, dà per scontato che sia una merce al di là del fatto che con la fine del sistema aureo questa non possa più dirsi avere un valore di tipo “intrinseco”, e viene spiegata come qualunque altra merce utilizzando i concetti ortodossi di utilità marginale, incontro tra domanda ed offerta e via dicendo. Il premio Nobel John Hicks (1924-1989) se la cavava con un “la moneta è ciò che la moneta fa”.
Le teorie economiche e monetarie si riferiscono, tutte, alla concezione aristotelica secondo cui la moneta è merce di scambio perché ha valore. Secondo questa concezione se anche il “contante” scomparisse continuerebbe comunque ad esistere uno “stock” di “cose” che continua a circolare con velocità variabile. Paradossalmente, Shumpeter, nel 1972 osservava che la velocità della moneta può elevarsi tanto da trovarsi in due posti allo stesso tempo (cfr. Geoffrey Ingham, La natura della moneta, Fazi, 2016).
Tuttavia, la moneta non è merce, e nemmeno denaro. Questa è una separazione squisitamente semantica, ma che significa voler separare nettamente l’emissione monetaria dalla sua circolazione. È denaro solo in fase di circolazione, ma è moneta anche prima della sua emissione. Molti usano il termine denaro nell’equivoco di considerare l’emissione monetaria come già provvista del valore economico che invece viene attribuito solo successivamente, dal fenomeno dell’induzione, esclusivamente in fase di circolazione.
Troppa gente parla di moneta ma intende solo denaro. In senso giuridico un bene è qualunque entità materiale o immateriale giuridicamente rilevante e giuridicamente tutelata. La nozione di bene in senso giuridico va distinta dalla quella in senso economico. Infatti, giuridicamente sono da tutelarsi non solo i beni in senso economico ma ogni bene giuridicamente tutelabile.
L’Art. 810 del Codice Civile definisce il concetto di bene giuridico e di bene economico, quest’ultimo suscettibile di valore di scambio:
Art. 810 cc
“Sono beni le cose (1) che possono formare oggetto di diritti [Art.832cc].
Note
(1) Bene giuridico è una cosa caratterizzata dall’utilità, cioè idoneità a soddisfare una necessità dell’uomo; dall’accessibilità, intesa come possibilità di subire espropriazione; dalla limitatezza, quale disponibilità limitata in natura. Questa definizione si distingue, perciò, da quella naturalistica di cosa: è possibile, infatti, che vi siano cose non beni giuridici, basti citare a questo proposito l’aria, e beni giuridici che non siano allo stesso tempo cose. Basti pensare, a tale riguardo, alle opere dell’ingegno.”
Le opere dell’ingegno, se brevettate, sono suscettibili di valutazione, ma per esempio acqua, aria, sole, natura, ecologia, sono beni di proprietà dell’umanità. Vanno pertanto tutelati giuridicamente ma non possono essere suscettibili di valutazione in quanto inalienabili.
La moneta, dunque, è un bene immateriale e giuridicamente tutelato, inalienabile e non suscettibile di valutazione economica, quindi priva di valore di scambio, finché non entra in circolazione tramite l’accettazione del relativo simbolo econometrico. Con la sua accettazione il portatore induce nella moneta quel valore che consente di riconoscerla anche come bene economico, ovvero denaro, a contenuto patrimoniale e ad utilità ripetuta in quanto ne rappresenta il potere d’acquisto.
Se prima che diventi anche denaro circolando la moneta non è suscettibile di valutazione economica allora la sua emissione non può essere posta a bilancio. Se lo si facesse (e lo si fa) sarebbe una truffa ai danni dell’intera umanità. La moneta, essendo uno strumento scaturente da un’idea, dall’intelletto dell’uomo, della comunità, prima che entri in circolazione non ha valore economico perché il suo sottostante consiste semplicemente ed esclusivamente nell’oggetto sociale, nella convenzione il cui valore economico è il rapporto intersoggettivo tra fasi di tempo che si instaura mentre circola e non prima o durante l’emissione.
Al contrario, proprio nel tentativo di iscriverla all’attivo o al passivo del bilancio economico-patrimoniale, la famigerata moneta creata dal nulla presta il fianco a quella precisa cosa a cui le tesi sulla proprietà del portatore della moneta si oppongono: l’emissione di moneta tramite il prestito a interesse. È importante conoscere bene le ragioni per cui si avversa la sua dematerializzazione. Quel che succede, con questa, è il tentativo di rendere sempre meno evidente, fino a farla scomparire, la differenza tra moneta a corso legale e moneta bancaria. Con la moneta digitale scompare anche la sensazione fisica di essere portatore del suo accidente materiale, ma trattasi di confronto/scontro tra due concezioni entrambe biasimevoli della moneta, entrambe merceologiche ed entrambe frutto di un’astrazione trascendentale del soggetto, dell’io. Infatti, ogni organismo di diritto pubblico è un non-io: sia la cosiddetta pubblica amministrazione che la banca, che sia centrale o commerciale. In questo momento storico siamo di fronte al confronto/scontro giunto ad una provvisoria resa dei conti tra due modi contrapposti di concepire la stessa cosa. Da una parte la scuola mercantilista/protezionista di Chicago e dall’altra quella della società aperta popperiana. Entrambe con origini austriache. Quel che sorprende è come non ci si accorga che questa falsa “tensione degli opposti” non possa che produrre una sintesi dello stesso tipo.
Sostenere che la moneta non deve essere emessa come prestito significa che essa non è soggetta a valutazione prima che entri in circolazione, e quindi il suo valore non può essere iscritto a bilancio di una banca o qualunque entità la emetta perché semplicemente questo valore non esiste finché la moneta non entra in circolazione. Qui è bene specificare che il fenomeno dell’induzione immediatamente conseguente all’accettazione non avviene all’atto dell’emissione con una funzione di tipo impulsivo che assomiglia alla delta di Dirac, ma ogniqualvolta la moneta viene scambiata contro merce mentre circola (la moneta che sia cartacea o immateriale, la merce che sia bene mobile o immobile ma comunque soggetto a valutazione secondo quanto menzionato all’Art.810 cc). Inoltre, essendo la moneta scaturente da un’idea non c’è necessità di accumulo e quindi di creare una riserva o uno stock. Le riserve si creano quando c’è rarità, ma con una moneta emessa come proprietà giuridicamente tutelata del portatore non sussiste il bisogno di accumularla nemmeno marginalisticamente parlando.
Sostenere che l’emissione monetaria va iscritta a bilancio è del tutto equivalente a sostenere la moneta merce, ovvero, l’emissione creditizia. Invece, l’emissione monetaria non va contabilizzata in modo merceologico; il segno del denaro (la moneta) deve essere riportato su appositi libri del Ministero del Tesoro che lo emette come proprietà del portatore, che non sono contabili nel senso abacista o algorista del termine, ma libri che servono a mantenere memoria giuridica dell’emissione da utilizzare solo successivamente, nella contabilizzazione questa volta sì, del valore patrimoniale di opere pubbliche e beni economicamente rilevanti scaturenti dalla circolazione della moneta sia in ambito privato che di cosa pubblica.
In riferimento al discusso reddito di cittadinanza universale, la distribuzione di questo a “fine ciclo produttivo” è reminiscenza che proviene dal pensiero steineriano con la sua moneta di dono, che come Gesell aveva della moneta una concezione merceologica e organicistica, basata sulla teoria del valore-lavoro smithiana con la variante di distinguere il valore lavoro tra terra e capitale. Per reddito monetario si intende quel che ora appare nelle voci di bilancio della Banca Centrale Europea e delle Banche Centrali nazionali, dovuto all’emissione del corso legale e non al rendimento di un ciclo produttivo. L’idea di un impegno dello Stato a concedere un RDC non sotto forma di denaro ma, “cradle-to-the-grave”, con istruzione ed altri beni di tipo umanistico e spirituale a “fine ciclo produttivo”, è precisamente quella steineriana di finanziare con moneta vecchia, moneta di dono che diventa tale dopo aver subito un processo di decumulo, istituzioni come il ministero dell’istruzione ed il welfare in generale, e non ha alcuna delle caratteristiche della proprietà del portatore ma è legata alla concezione merceologica marxista e ancor prima smithiana secondo cui il valore della moneta incorpora quello della merce e del plusvalore accumulato durante il processo produttivo.
Applicare la proprietà del portatore, però, non vuol dire limitarsi alla moneta a corso legale ma significa applicarla all’emissione monetaria comunque questa avvenga, sic et simpliciter, che la si chiami esogena o endogena in riferimento al sistema bancario centrale e/o allo Stato o a quello commerciale. Dunque, per tutta la teoria classica e anche nell’ambito delle politiche economiche keinesiane c’è convivenza tra moneta esogena ed endogena, mentre per l’anarco liberismo alla Mises ma anche per Steiner e pure per Gesell, è solo endogena ad un sistema di free-bank e comunque emessa come cosa da restituire o da tassare (demurrage) fino al suo esaurimento, quindi certamente non come proprietà del portatore.
La moneta è sia misura del valore che valore della misura, e sarebbe contraddittorio considerarla come mezzo di scambio non riservando alcun valore economico, come sostiene invece chi riporta una formazione di tipo geselliano. La critica che Georg Simmel nel suo “The Philosophy of Money” pubblicato nel 1900 (pag. 131) rivolge alle teorie della moneta-merce, secondo cui l’unità di misura deve possedere la stessa qualità dell’oggetto misurato, ad esempio, le unità di misura delle lunghezze sono lunghe ed è in lunghezza che si esprime quel valore perché sia l’oggetto che l’unità di misura condividono la stessa qualità, si riferisce al valore “intrinseco” che la moneta-merce rappresenta nella concezione ortodossa. “The significance of money as expressing the relative value of commodities is, according to our earlier discussion, quite independent of any intrinsic value. Just as it is irrelevant whether a scale to measure space consists of iron, wood or glass, since only the relation of its parts to each other or to another measure concerns us, so the scale that money provides for the determination of values has nothing to do with the nature of its substance. This ideal significance of money as a standard and an expression of the value of goods has remained completely unchanged, whereas its character as an intermediary, as a means to store and to transport values, has changed in some degree and is still in the process of changing. Money passes from the form of directness and substantiality in which it first carried out these functions to the ideal form; that is, it exercises its effects merely as an idea which is embodied in a representative symbol.” (pag.146) (il testo è consultabile al seguente link:
(http://www.eddiejackson.net/web_documents/Philosophy%20of%20Money.pdf).
Le definizioni date finora della moneta, riprendendo le osservazioni di Schumpeter riportate all’inizio, si riconducono alle due ipotesi di valore creditizio e valore convenzionale, dove, come detto, convenzionale era anche il valore del materiale usato come moneta in epoca patriarcale. Entrambi, sia il credito che la convenzione, sono fattispecie giuridiche e risulta chiaro quindi che lo è anche la moneta così come è chiaro che la moneta, una volta in circolazione, sia oggetto anche di valutazione economica e quindi di applicazione delle relative teorie. Tuttavia, la definizione di valore creditizio non è accettabile perché la moneta serve ad estinguere i crediti ma continua a circolare dopo averlo fatto a seguito di ogni transazione, e sarebbe contraddittorio definirla contemporaneamente sia come credito che come oggetto del credito, anche se usata come mezzo di pagamento surrogato della moneta. La moneta quindi non può essere che un bene immateriale di valore convenzionale, che ha valore perché misura il valore dei beni, ed è valore della misura perché, misurandolo, assume l’attributo misurato nel bene. Se così non fosse, non sarebbe utilizzabile come mezzo di scambio. Successivamente alla sua emissione, quindi, la moneta è suscettibile di valutazione economica, ma è oggetto di diritto sempre, anche in precedenza, in quanto oggetto sociale. Con la moneta scritturale ed il suo progressivo utilizzo per l’estinzione di debiti in modo parificato alla moneta legale, insorge il problema contabile segnalato da Saba e Galloni di cui parla anche Storelli a pag. 316 del suo Alchemy Moneta, Valore, Rapporto tra le parti, Sovera, 2015. La moneta scritturale, ugualmente a quella fisica, non è annullata nel momento in cui estingue il debito ma continua a circolare producendo una duplicazione dei valori ponendo al passivo del bilancio patrimoniale i relativi depositi. La questione posta riguarda il fatto che la moneta è tuttora trattata come titolo di debito nonostante dalla soppressione degli accordi di Bretton Woods non sia più una fede di deposito, un titolo di debito, ma da banco-nota si è trasformata in vera e propria carta-moneta. Questo cambiamento, radicale e sostanziale, non è stato recepito dalle banche centrali né da quelle commerciali e né dal diritto, e introduce la discussione tuttora in corso per cui se la moneta è titolo di debito, di valore creditizio, allora deve necessariamente annullarsi al termine della transazione, anziché essere posta al passivo di bilancio producendo una duplicazione dei valori così “sterilizzata”.
La moneta che non circola è un mero simbolo, non è moneta, diceva Giacinto Auriti, e con questa affermazione intendeva unicamente esprimere la necessità di separare la fase dell’emissione da quella della circolazione perché è proprio non facendolo che avviene la truffa planetaria. Quello per cui le tesi auritiane si limitano al cosiddetto signoraggio primario è il classico luogo comune che espone chi nel criticarle (ma anche chi vi si identifica affermandolo) manifesta, nel non conoscerle, la solita concezione merceologica della moneta.
La circolazione forzata dall’imposizione fiscale è concetto oggi ripreso dal moslerismo e diventato cavallo di battaglia dei suoi sostenitori diretti e indiretti, ed è lo stesso usato da Gesell. Come vedremo più avanti, al processo di identificazione e controidentificazione proiettiva, assunzione e contrapposizione dialettica, consegue l’oggettivazione dell’idea discussa, che nel caso della teoria statale del cartalismo di Georg Friedrich Knapp consiste nell’oggetto della sovranità statale e nell’oggettivazione dell’idea di politica fiscale come elemento su cui identificare, o controidentificare, l’origine del valore della moneta. In definitiva, lo stesso termine “cartalismo” rappresenta in sé l’oggettivazione della “charta” come elemento sensibile su cui esercitare un processo mentale di induzione di valore economico di tipo merceologico. “La moneta è peculiarmente una creazione dello stato” (Keynes, 1979), che però contraddice affermando, nel suo Trattato sulla moneta, che “le banche creano la moneta e possono farlo senza limiti”, manifestando sia l’influenza di Knapp, “è assurdo tentare di capire la moneta -senza l’idea dello Stato-“ (Knapp, 1924) e sia lo sviluppo di un modello economico che fa a meno della teoria statalista (cfr. David Graeber, Debito. I primi 5000 anni, IlSaggiatore, 2012, pag.57). “La moneta è la più pura reificazione del mezzo, uno strumento concreto che è assolutamente identico al suo concetto astratto; è uno strumento puro” (Georg Simmel, The Philosophy of Money, 1900, pag.211).
Copiare dall’oro non significa ambire al ritorno del sistema aureo né utilizzare come moneta una sostanza fisica e/o intrinsecamente rara. La metafora serve unicamente a indicare l’universalità dell’accettazione di quella moneta al di là di qualunque possibile interpretazione contrattualistica della convenzione sociale. Ad Ajaccio, nel Museé Fesch è esposto un dipinto di Monsù Nicolas Poussin, datato 1626-1631, che rappresenta Mida che fa abluzioni nel Pattolo per liberarsi dal maledetto tocco magico, con altra figurina ignuda, certamente Creso, che già inizia a trovar pagliuzze della sua proverbiale ricchezza. La mitologia greca e iranica trovano terreno intellettualmente fertile in Asia Minore, sulle coste ioniche della Turchia occidentale nel quinto/sesto secolo avanti Cristo. In quelle lande, tra città come Mileto ed Efeso, nascono e si sviluppano le concezioni fondanti di quel che con Diderot, duemila anni più tardi, identifichiamo con il termine materialismo. “Il quattrino deturpa, abbrutisce tutto ciò che cade sotto la sua legge implacabilmente feroce. La vita, tutta la vita, non solo l’attività meccanica degli arti, ma la stessa sorgente fisiologica dell’attività, si distacca dall’anima, e diventa merce da baratto; è il destino di Mida, dalle mani fatate, simbolo del capitalismo moderno.” (Gramsci, 6 Giugno 1918).
L’associazione delle tesi sul valore indotto a quelle della teoria austriaca sono il classico luogo comune che manifesta chi, come la scuola marginalista e soggettivista di Vienna e sostanzialmente tutti gli altri compreso Gesell, a cui come agli altri non è chiara la natura esclusivamente spirituale del valore, ha della moneta una concezione merceologica, ovvero, materialista. Infatti, la concezione merceologica della moneta concepisce l’esistenza della stessa solo in fase di circolazione proprio perché è solo in questa fase che la moneta assume la forma fenomenica del denaro, che non è sostanza ma accidente sensibile. Per “magia del numero” Auriti intende la convenzione sociale, l’induzione di valore nel simbolo attraverso la sua accettazione. Con il valore indotto si supera il problema della rarità non controllabile, non si ripropone il sistema aureo. L’esperimento di Guardiagrele aveva come unico scopo, pienamente raggiunto, di evidenziare al pubblico con metodo galileiano il funzionamento del fenomeno dell’induzione anche su un simbolo econometrico non emesso in regime di circolazione forzosa.
Il credito, come ad es. la cambiale, si estingue col pagamento. La moneta continua a circolare dopo ogni transazione perché, come ogni unità di misura, è un bene a utilità ripetuta, e non è qui oggetto di critica la cambiale ma di spiegazione la concezione di moneta, che perfino nel sistema geselliano, fino a tempo scaduto, è un bene ad utilità ripetuta la cui ripetizione è, eufemisticamente, fortemente incentivata.
Bisogna fare molta attenzione nel proporre analogie con il funzionamento di organismi viventi emulando pedissequamente l’organicismo forte di origine platonica e poi illuminista. Il freigeld geselliano, e con esso quello steineriano, è emesso da un sistema di free-bank seguendo uno schema direi senz’altro ripreso dalla teoria austriaca, che fa capo a Carl Menger ed il suo marginalismo soggettivista. Oltre al concetto di free-bank, il concetto di moneta deperibile è lo stesso che accomuna Gesell alla concezione steineriana e l’origine di tale concezione è senza dubbio nell’organicismo, una corrente di pensiero che prende nome nell’ambito dell’illuminismo e post illuminismo, ovvero l’idea con cui si immagina la società funzionare come un organismo vivente e riprendendo il tripartizionismo platonico, che però riguardava l’anima, e continuando con Aristotele che definisce l’uomo come animale sociale, arriva per esempio con Steiner a tripartizionare lo Stato, con Hobbes a immaginare il Leviatano come costituito da tanti individui e con Hegel a definire il suo Stato Etico, dove la persona giuridica è l’ente, mentre la persona fisica, l’uomo, è il non-ente, l’oggetto giuridico. Nella sua forma forte l’organicismo concepisce la società e lo Stato come un vero e proprio organismo vivente ed è proprio questa la concezione geselliana e steineriana, che rende deperibile anche la moneta al pari di un organismo biologico. Per l’organicismo, l’uomo è funzionale ed organico allo Stato, non il contrario. Nell’ontologia hegeliana l’Essere trapassa, trascende nel divenire, l’essere e il non essere coincidono per sintesi dialettica e il principio creativo svanisce mentre viene associato all’uomo concependo l’essere come volontà di potenza, come oltreuomo di un uomo ridotto al nulla, al non-ente (cit. Heidegger).
Lo Stato etico hegeliano in definitiva fa riferimento all’etica laica, alla morale che i filosofi da sempre ricercavano; fin dai tempi di Socrate, a cui per questo era toccato bere la cicuta. Una morale che facesse a meno del teismo, ovvero di una teologia naturale, ma che non poté rinunciare al deismo, ovvero alla teologia trascendentale, quel famoso ego trascendentale a cui anche Giovanni Gentile e tutto il neoidealismo fanno riferimento e di cui è parte fondante tutto l’idealismo assoluto tedesco, il quale fonda, appunto, sull’oltreuomo nicciano, che è precisamente l’ego che trascende da sé a formare l’oltre-entità. Etica laica che è stata teorizzata dal barone d’Holbach, filosofo illuminista tedesco naturalizzato francese che immaginava un mondo governato da una morale politica universale e materialista a cui dà un nome preciso: Etocrazia.
La società organica di Giacinto Auriti è invece l’esatto opposto, ovvero è la società, lo Stato, che è organico, funzionale, strumento dei bisogni umani così come lo è il diritto. L’organicismo che esprime Auriti è assimilabile alla forma debole espressa dalla scolastica. Si ferma alla semplice metafora, utile a spiegare la moneta a chi di questa ha una millenaria concezione merceologica e materiale, agisce in modo diametralmente opposto all’organicismo forte e soprattutto non potrebbe concepire moneta e valore d’acquisto come deperibili a tempo determinato e da entità diversa da chi accetta quel simbolo, per questo inducendone valore monetario in alcun modo alienabile dalla sua proprietà diretta ed esclusiva.
Influenzato da pensatori come Loche, Hobbes e Adam Smith, è Montesquieu l’ideatore della tripartizione dei poteri dello Stato presa a prestito da Platone e così cara all’organicismo forte del suo tempo, e con questo ed il suo “Spirito delle leggi” influenza Hegel, Hume, Durkheim, Rousseau e parecchi altri. A proposito di spirito delle leggi, positivismo (il concetto di Stato era appena sorto) e democrazia delegata dice: “Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da se medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé. Si conoscono molto meglio i bisogni della propria città che quelli delle altre città, e si giudica meglio la capacità dei propri vicini che quella degli altri compatrioti. Non bisogna dunque, che i membri del corpo legislativo siano tratti in generale dal corpo della nazione, ma conviene che in ogni luogo principale gli abitanti si scelgano un rappresentante. Il grande vantaggio dei rappresentanti è che sono capaci di discutere gli affari. Il popolo non vi è per nulla adatto, il che costituisce uno dei grandi inconvenienti della democrazia”. Sono, in definitiva, gli effetti di un organicismo che assurge al trascendentale riprendendo quel come in alto così in basso delle tradizioni ermetiche.
Sostenere come facevano Pound e Schacht con i suoi MEFO bill, che il denaro è un certificato di lavoro compiuto significa precisamente rifiutare la tesi del valore indotto e invece sostenere la teoria del valore-lavoro di Ricardo e Adam Smith. La stessa cosa nel sostenere che la moneta è misura del valore ma non valore della misura.
Va da sé che la proprietà del portatore è oggetto di indignazione, tifo, sospetto e trastullo da parte di chiunque per moneta intenda solo il denaro e cioè, come detto, quel bene suscettibile di valutazione ed appropriazione solo quando la moneta è in circolazione, ma il valore più grande da tutelare giuridicamente è quello che descrive l’Art. 810 cc. Esso riguarda la proprietà, non solamente intellettuale ma ancor di più spirituale, non già del simbolo ma della convenzione sociale, la qual cosa è ben precedente all’emissione, continua ad essere tale anche durante la circolazione e in ogni caso non ha nulla a che fare con la registrazione di un marchio o di un brevetto, perché trattasi di un bene sociale, e il suo valore è giuridicamente, moralmente ed eticamente inestimabile.
Non è suscettibile di valutazione economica la capacità di pensiero umana, la capacità di concepire e percepire un rapporto intersoggettivo tra fasi di tempo: quello della previsione e quello del godimento. Soprattutto, non è suscettibile di appropriazione e non esiste in quantità limitata.
Ora, che ipostasi sia sinonimo di sottostante mi sembra almeno etimologicamente chiaro e il sottostante della moneta è solo e totalmente lo spirito, il Geist della comunità -direbbero gli idealisti di scuola tedesca o neoidealisti come Gentile- che qualifica quel segno, quell’accidente, come moneta, come oggetto sociale. Invece, nel sottostante della moneta di concezione merceologica, ovvero emessa in modo creditizio, si mischia la sostanza, l’ipostasi della merce, con la sussistenza ideale della moneta, creando a tutti gli effetti una chimera (Cfr. Di Karl Marx, La moneta e il credito. Raccolta di scritti, Feltrinelli, 1981, pag. 216). Il significato di sottostante, di cui ipostasi è mero sinonimo, è ben noto anche a chiunque abbia sottoscritto un fondo di investimento, e tutto ciò ha a molto che fare con lo sbandierato ex-nihilo, la famigerata “creazione dal nulla”, capacità riservata alle divinità. Non c’è ex-nihilo nella creazione monetaria. Il valore monetario è esclusivamente spirituale, dove per spirito si intende quello umano, certamente non divino, ed è questo il sottostante della moneta. Non c’è alcuna creazione di materia, ed ex-nihilo significa invece precisamente creazione di materia dal nulla. Il sottostante della moneta non è una categoria divina o deistica né lo è il lavoro e nemmeno una concezione merceologica della stessa.
Così come il valore della moneta non attiene in alcun modo alle qualità della materia ed è per questo che la moneta non può essere una merce a meno che non si abbia della stessa una concezione classica, marxista, neoliberista, in una parola, materialista, lo stesso si può dire del debito. Infatti, anch’esso non esiste in natura e si può ben materialisticamente comprendere che un oggetto non esistente perfino quando immateriale -ed è proprio il caso della moneta- non può essere dato/restituito a nessuno in quanto, appunto, inesistente. La questione della restituzione riguarda l’altrettanto celebre enunciato “Tutti possono prestare denaro, tranne chi lo emette”. Infatti, visto che il valore monetario è creato per induzione attraverso l’accettazione del segno del denaro (la moneta) esclusivamente in fase di circolazione, allora il valore appartiene esclusivamente al popolo e non a chi emette il simbolo econometrico, chiunque lo faccia, financo fosse un sistema di free-bank, e gli appartiene a tempo indeterminato e incondizionato. Quindi è per questa ragione che la banca, pubblica o privata che sia ma vale anche per lo Stato inteso come persona giuridica, non può prestare ciò che non gli appartiene proprio perché quella di prestare è prerogativa del proprietario e anche così, il valore economico della moneta fino alla sua entrata in circolazione è comunque nullo.
Quando qualcuno diceva che la moneta, che è un oggetto sociale, immateriale e di proprietà del portatore perché è solo il portatore che ne conferisce il valore, viene invece emessa prestando alla collettività ciò che già le appartiene caricando il costo del denaro del 200% più gli interessi e le pressioni fiscali perché “viene trasformato un credito (+100) in un debito (-100)” e la differenza tra questo credito e questo debito è 200 (100-(-100)=100+100=200), non intendeva fare un’analisi contabile di partita doppia, “perché non è vero che il banco si arricchisce solo dell’interesse, ma anche ed innanzitutto della stessa moneta, il cui valore – come abbiamo visto – non è creato dalla banca, ma dalla collettività.”.
Come nella differenza tra denaro e moneta anche il termine “collettività” è usato oculatamente perché introdotto da Max Weber che la definisce come insieme di individui ricordando la concezione hobbesiana e organicista tipica anche del soggettivismo mengeriano, altrimenti il termine corretto sarebbe stato “società”, che secondo la definizione data da Durkheim riconoscerebbe nella moneta un oggetto sociale a cui la comunità, intesa come communitas e non come collettività, attribuisce una funzione rappresentata da un segno che qualifica quell’oggetto come moneta. E se proprio volessi assumere un atteggiamento critico sosterrei che non ha senso affermare che tutto ciò viene fatto “senza contropartita”, perché non c’è e non può esserci contropartita a fronte dell’enormità di questa truffa a danno di una “collettività” che non è mai stata “società”.
Molte delle teorie economiche e monetarie, tra cui senz’altro il marginalismo soggettivista della scuola austriaca, il demurrage di Gesell col suo tasso di sconto negativo e il decumulo steineriano, non rilevano differenze tra denaro e moneta, il primo attenendo alla fase della circolazione in cui acquista valore, e la seconda attenendo all’oggetto sociale che lo precede, definito dalla convenzione, dall’accettazione del simbolo econometrico, che non è ancora denaro.
La non distinzione tra moneta e denaro, ovvero la non distinzione dell’emissione dalla circolazione, porta all’equivoco di considerare l’emissione monetaria come già provvista del valore di scambio che invece viene attribuito dal fenomeno dell’induzione esclusivamente in fase di circolazione, portando quindi a ritenere che “pertanto lo Stato, stampando denaro, avrebbe prodotto tutta la ricchezza necessaria per tutti”. È in ragione di questa concezione merceologica della moneta, che moltissimi si interrogano sull’eventualità di segnare l’emissione monetaria al passivo o all’attivo di bilancio.
Il distribuzionismo del denaro è precisamente la concezione di Milton Friedman con il suo helicopter money, che è una politica fiscale esattamente come lo è il demurrage geselliano, e non potrebbe essere più lontana dalle tesi sulla proprietà popolare della moneta: detto per inciso, della moneta, non del solo denaro. L’asserzione secondo cui “il valore è soggettivo” corrisponde precisamente a quella di Carl Menger, anch’egli intendendo per popolo un insieme di individui, una “collettività” e non una “società”. L’equazione marxiana secondo cui lavoro=denaro è il risultato di una sostanziale assimilazione della relativa teoria del valore comune a sostanzialmente tutte le teorie economiche e monetarie, ortodosse ed eterodosse, che come quella di Gesell si occupano esclusivamente di circolazione, ovvero denaro, assumendo che questo abbia la stessa caratteristica di deperibilità delle merci, risolvendo il cruccio fondamentale che era stato di Marx con la tesaurizzazione e di Keynes con la preferenza per la liquidità, con la sua suddivisione del lavoro anch’essa prelevata da Adam Smith ed il suo denaro di ghiaccio. Gesell risolve il problema della tesaurizzazione con un controllo totale da parte dello Stato del valore monetario attraverso il demurrage, il tasso di sconto negativo, ma il potere coercitivo del denaro così come finora è stato concepito non risiede nel fatto che questo debba avere una proprietà, un valore d’uso e un valore di scambio, ma nel controllo della sua rarità in modo non organico ai bisogni della comunità. Aristotele condanna l’uso della crematistica, quando concepita come mira alla ricchezza come ricchezza e non a soddisfare i bisogni della comunità. La preoccupazione di Gesell è quella di costruire un sistema monetario che permetta a chiunque di mantenersi col proprio lavoro garantendo al lavoratore la possibilità di appropriarsi del maggior quantità possibile del provento. Come in Keynes (e in Mosler e nello statuto del Federal Reserve System), l’obiettivo è quello della massima occupazione, oltre alla disincentivazione della preferenza per la liquidità, ovvero la tesaurizzazione di cui parlava Marx, che non si accorge di come la sua teoria del capitale inteso come relazione sociale si applichi allo stesso modo sulla moneta.
Il concetto di lavoro
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L’oggettivazione, l’idealizzazione del lavoro è il tipico “errore” della scolastica marxista. Lo commette nello scambiare l’astrazione spirituale che Hegel intende per lavoro con l’espropriazione e annichilimento dell’operaio che invece intende Marx. Nell’ontologia hegeliana Repubblica è Nazione, soggetto giuridico, è spirito del popolo che, finché circola, è suscettibile di valutazione economica. La fede si riversa quindi nell’ego trascendentale, nel volksgeist. “L’ente al quale appartiene il lavoro e il prodotto del lavoro, al servizio del quale sta il lavoro e per il godimento del quale sta il prodotto del lavoro, può essere soltanto l’uomo stesso. Quando il prodotto del lavoro non appartiene all’operaio, e gli sta di fronte come una potenza estranea, ciò è solo possibile in quanto esso appartiene ad un altro ente estraneo all’operaio” (Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici, 1844).
Con ciò è primario osservare come il contrapporsi all’idea di lavoro, come questa ci giunge dal mainstream, è farlo rispetto all’oggettivizzazione dell’idea, è farlo rispetto all’astrazione spirituale delle attività umane, rispetto allo stesso oggetto, di cui però è importante notare come nel farlo implicitamente si ammette e riconosce l’esistenza, di fatto rendendola consistente. Prendersela con il lavoro è consolidare una dialettica delle identità, un rapporto dialettico che ha come centro sempre e comunque l’oggetto, l’oggettivazione del lavoro.
Allo stesso modo, e per diretta conseguenza ovvero sintesi del rapporto dialettico instaurato, la contrapposizione rispetto all’idea di moneta intesa come “ente onnipotente” (cit. Marx) corrisponde al riconoscere ed approvare questa stessa concezione mentre si maledice il suo sottostante: l’uomo stesso. Invece, sarebbe semplice e talmente ovvio da risultare, ahimé, banale, capovolgere semplicemente il paradigma e considerare il lavoro come una semplice astrazione che è impossibile possa assurgere al ruolo di ente, di sostante, perché semplicemente e banalmente sostanza non è.
L’idealismo produce quindi un’inversione di paradigma ma, ancora una volta, il nemico non è l’idealismo in sé ma l’uso, l’intenzione. Infatti, è idealismo anche concepire il valore come rapporto intersoggettivo tra fasi di tempo, come prodotto dell’attività mentale. Se la fattispecie giuridica è risultato del pensiero allora anche questa si configura in un monismo dialettico autocreativo e quindi proprio per questo non criticabile da chi, con la stessa logica riconduce, sussume la moneta ad elemento merceologico, a solo fattore economico.
È, banalmente, una questione di princìpi. L’induzione è una delle tre forme classiche di ragionamento giuridico (induttivo, deduttivo, abduttivo) che portano alla formazione delle leggi. Non è l’induzione ad avvenire in modo positivo, provocata dall’atto normativo, da una legge in senso materiale, ma è invece la legge a formarsi per induzione giuridica. È il princìpio che forma lo strumento del diritto, non il contrario. L’induzione giuridica è dunque un Princìpio, certamente non l’enunciato deontico del kantiano dover essere di un ragionamento basato su proposizioni normative.
Shelling introduce nell’idealismo assoluto tedesco, che attraverso Nice ne definisce lo spirito, un organicismo forte, finalistico e immanentistico che del popolo permette di definirne la comunità. Questa, si pone rispetto al popolo come soggetto giuridico che hobbesianamente sovrasta il popolo stesso, realizzando quella teologia trascendentale di cui al panteismo dialettico hegeliano/fitchiano e con la nascita del concetto di nazione, da cui il nazionalismo ma anche il comunismo, che più universalisticamente mappa questa tensione verso la trascendenza nell’identità di classe sociale, tenta di realizzare l’ideale nicciano acquisito dall’idealismo tedesco con posizioni organicistiche finalistiche.
Soviet e teoria austriaca si pongono rispetto questa concezione organicistica in modo dialetticamente opposto. Il sistema sovietico, mappando la tensione verso l’ego trascendentale nel conflitto di classe, e quindi accettando ed assecondando Shelling ed il suo organicismo forte che si manifesta nella comunità del popolo. Menger ed il suo marginalismo soggettivista invece negando ed opponendosi ad ogni forma di statalismo ma anch’egli accettando la definizione weberiana, di derivazione però anch’essa hobbesiana, di collettività come mero insieme di individui.
Sia la posizione austriaca che quella idealista e neoidealista, accettano e adottano la teoria del valore smithiana, che per prima oggettivizza il lavoro e rende trascendentale l’attività umana, riflettendo tutte rispetto al tema una dialettica di tipo materialista. Del resto perfino Pound, nel chiedersi cosa fosse la moneta, considerava il denaro come un certificato di lavoro compiuto.
Si parla di volksgeist, che pare sia suscettibile di valutazione economica, e di volksgemeinschaft, per il quale vale la stessa cosa. Trattasi della “ricchezza delle nazioni” e infatti è proprio Adam Smith, che introduce la definizione di PIL, insieme a quella di lavoro come sottostante del valore monetario.
La sinistra hegeliana è una corrente di pensiero che si forma tra molti intellettuali prussiani alla morte del pensatore di Stoccarda. Feuerbach è il maggiore esponente di questa corrente ed è lui ad affermare per primo che la religione è l’alienazione dell’uomo, avendo estratto dall’uomo, proiettandoli nella divinità, i propri attributi, per poi pensare che è questa divinità ad aver creato l’uomo. Questo concetto verrà ripreso da Engels a proposito della creazione dell’uomo da parte del lavoro, infatti sempre Feuerbach sostiene che compito dell’uomo è invertire questo rapporto. La sinistra hegeliana sostiene che lo spirito del popolo, il wolksgeist, ha la stessa forma mitica della religione rispetto ai propri contenuti e credo che in questo fosse d’accordo con la destra fitchiana. Sia per Hegel che per Marx, lo Stato è una realtà idealistica fondata sulla divisione del lavoro, concepita per primo da Adam Smith così come il concetto di prodotto interno lordo, di lavoro come sottostante del denaro e di valore come elemento soggettivo della psicologia del homo oeconomicus. Il concetto di popolo in Hegel è organicistico e i popoli si pongono fra loro in un rapporto dialettico e conflittuale che sviluppa l’idealismo assoluto che è alla radice intellettuale del concetto. In Marx, invece, pur permanendo la concezione idealista assolutista, la tensione trascendentale nell’identificazione in un ideale che si contrappone allo stesso processo intellettuale avvenuto altrove, non è esterna allo Stato, al “popolo” così inteso, ma rimappata sulla “lotta di classe”, che è interna al popolo stesso. Sia in Marx che in Hegel è presente l’idea di spirito del popolo ma vissuta dialetticamente in modo diverso: esterna per l’uno, interna per l’altro. Nietzsche comincia a scrivere negli ultimi anni di vita di Marx e sebbene per questo non si possa parlare di influenza dell’ubermensch nicciano in Marx, se ne notano effetti e similitudini a posteriori.
Spirito del popolo che da manifestazione di un senso di comunità trascende a entità vera e propria, ontologica, estratta e separata e che proprio per Adam Smith (finché circola) diventa ricchezza delle nazioni e teoria del valore a cui tutti da allora hanno fatto riferimento nessuno escluso. Nemmeno i pensatori eterodossi contemporanei.
Il sottostante della moneta dunque è sì, spirito del popolo, ma non si tratta di entità ontologica a sé stante, risultante da una fenomenologia trascendentale che trasmuta in personalità giuridica collettiva -questa sì, è un’astrazione organicistica-, ma di un insieme organico -e non organicistico nel senso classico-, di soggetti giuridici: persone fisiche. Non è lo spirito di ogni soggetto ad aver valore -sarebbe un oggetto giuridico- ma il rapporto intersoggettivo tra questi ad assegnarlo, dove per intersoggettività si intende precisamente ciò che esplicita Husserl nelle opere: Idee per una fenomenologia pura e Meditazioni cartesiane.
Volksgeist e volksgemeinschaft sono il fondamento intellettuale romantico della persona giuridica, dell’Ente privo di contenuto umano che solo così avrebbe potuto aggirare l’antinomia russelliana. Senza volksgeist, Fichte non avrebbe saputo come demolire l’ultimo residuo di dualismo rimasto in Kant, non avrebbe potuto ridurre l’io al non-io. Senza volksgeist Adam Smith non avrebbe potuto scrivere la sua opera principale e nemmeno la teoria del valore da cui tutti hanno scopiazzato bellamente, compresi Marx e Pound, che come Lutero non avevano la più pallida idea di cosa fosse, in sostanza, un accidente. Quest’ultimo, che di categorie dell’essere almeno per tradizione stoica avrebbe potuto perlomeno averne sentito dire.
Sostenere che non è il lavoro a dar valore alla moneta non è affatto contrapporsi al lavoro o voler campare di assistenzialismo, al netto di volerlo invece sostenere. È l’uomo ad aver creato il lavoro, non viceversa. Ed è sempre l’uomo a dar valore al lavoro e non il contrario. Il legame tra lavoro e valore è concezione che discende da Adam Smith e adottata da Engels quando definisce il lavoro come creatore dell’uomo. Gesell, anch’egli prussiano, riprende questo concetto nella divisione del lavoro, anche questo mediato da Smith, come mezzo attraverso il quale raggiungere la prosperità e attraverso cui nasce persino la civiltà. In Gesell, come in Marx e tutti gli altri, la moneta è merce. In Auriti, il valore non ha alcuna affinità con la concezione materialistica dello stesso, che pervade tutte le teorie, classica, neoclassica ed eterodosse. Neppure il valore della moneta.
Giovanni Moretti
Fonte: Scuola di Studi Giuridici e Monetari “Giacinto Auriti”
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