Energia
Lo Zimbabwe sull’orlo del collasso energetico: ora tenta la carta della liberalizzazione
Lo Zimbabwe ha un piano da 9 miliardi per sconfiggere i blackout: porte aperte ai privati e un mix di carbone, gas e idroelettrico per colmare il deficit energetico.

Lo Zimbabwe, alle prese con una domanda di elettricità che supera di gran lunga la sua capacità produttiva, ha finalmente deciso di aprire le porte ai produttori di energia indipendenti (IPP). Un cambio di rotta significativo per un paese impantanato in un deficit energetico cronico, che spera così di attrarre capitali privati per evitare il buio totale.
Il governo ha annunciato un piano ambizioso per liberalizzare ulteriormente il settore, con l’avvio di un processo di gare d’appalto competitivo previsto per il 2026.
L’obiettivo dichiarato dall’Autorità di Regolamentazione dell’Energia dello Zimbabwe (ZERA) è quello di attrarre investimenti freschi, migliorare l’efficienza e, forse con un pizzico di ottimismo, garantire l’accesso universale all’elettricità entro il 2030.
Il baratro energetico da colmare
I numeri, come sempre, sono più eloquenti delle dichiarazioni politiche. Il fabbisogno giornaliero di picco dello Zimbabwe è stimato in 1900 megawatt. La produzione massima combinata delle sue due principali centrali, Hwange (carbone) e Kariba (idroelettrica), non supera i 1200 megawatt.
Il risultato? Un deficit strutturale che lascia il paese al buio e frena ogni prospettiva di sviluppo. L’elettrificazione nazionale è ferma a un misero 40%, che crolla ad appena il 16% nelle aree rurali.
Per colmare questo divario, il governo punta a raccogliere 9 miliardi di dollari di nuovi investimenti nel settore, sperando che circa 4,4 miliardi provengano direttamente da investitori privati, ora che la porta è (socchiusa) aperta.
Un piano “multivettore”: Carbone, Idro, Gas e un pizzico di Green
Il piano di rilancio non punta su una sola tecnologia, ma su un mix pragmatico che sfrutta le risorse esistenti e le nuove scoperte.
- Il vecchio Carbone: La dipendenza dal carbone, che oggi fornisce il 68% dell’energia, non finirà presto. La centrale termica di Hwange, la più grande del paese, è in fase di espansione e ristrutturazione (con l’aggiunta di due unità da 300MW nel 2023). Le unità più vecchie, afflitte da guasti continui, saranno rimesse a nuovo grazie a un accordo con l’indiana Jindal Power. Lo Zimbabwe, dopotutto, siede su riserve stimate di 502 milioni di tonnellate di carbone.
- La scommessa sull’Idroelettrico: La centrale idroelettrica di Kariba (27,5% della produzione) vedrà un aumento della sua capacità. L’Autorità del fiume Zambesi (ZRA) ha aumentato l’allocazione di acqua per la generazione di energia, portandola a 27 miliardi di metri cubi per il 2025 (dai 16 del 2024) e a 30 miliardi per il 2026. Un incremento che dovrebbe aumentare la produzione di Kariba del 70%.
- La novità del Gas Naturale: La vera svolta potrebbe venire dal sottosuolo. Invictus Energy ha confermato la prima scoperta di gas commerciale nel bacino di Cabora Bassa. Questo posiziona lo Zimbabwe tra i nuovi produttori di gas africani. È già in fase di sviluppo un progetto “gas-to-power” per fornire energia alla miniera d’oro Eureka e contribuire alla rete nazionale.
- Le Rinnovabili (per non sfigurare): Sebbene ancora marginale, anche il settore green riceve attenzione. Il governo ha lanciato lo Zimbabwe Renewable Energy Fund (ZimREF) in collaborazione con l’ONU e Old Mutual Zimbabwe. Il fondo mira a raccogliere 50 milioni di dollari entro il 2026, con l’obiettivo di portare la capacità rinnovabile (escluso il grande idroelettrico) al 29% entro il 2030.
La strada per lo Zimbabwe è in salita e richiede ingenti capitali. La liberalizzazione è un passo necessario, ma la vera sfida sarà trasformare questi piani in megawatt funzionanti e accessibili alla popolazione.
Domande e risposte
Perché lo Zimbabwe sta aprendo ai privati proprio ora?
La decisione è dettata dalla necessità. Il deficit energetico cronico, con una domanda di 1900 MW contro una produzione massima di 1200 MW, sta paralizzando l’economia. Il tasso di elettrificazione è bassissimo (40%) e il governo non dispone dei 9 miliardi di dollari necessari per modernizzare la rete. L’apertura ai produttori indipendenti (IPP) non è più una scelta ideologica, ma l’unica via praticabile per attrarre capitali stranieri e competenze tecniche per evitare il collasso della rete e cercare di raggiungere l’accesso universale entro il 2030.
Questo piano risolverà davvero i problemi di blackout del paese?
È un piano ambizioso, ma il successo non è garantito. Dipenderà dalla reale capacità del governo di attrarre i 4,4 miliardi di dollari previsti dagli investitori privati. Il piano diversifica le fonti (carbone, idro, gas e rinnovabili), il che è positivo per la sicurezza energetica. Tuttavia, la modernizzazione delle vecchie centrali a carbone (come Hwange) e lo sviluppo di nuovi giacimenti di gas richiedono tempo e stabilità politica. Se i capitali arriveranno e i progetti saranno gestiti in modo efficiente, la situazione migliorerà, ma i blackout non spariranno da un giorno all’altro.
Che ruolo avranno le energie fossili nel futuro dello Zimbabwe?
Un ruolo centrale, nonostante la transizione verde globale. Lo Zimbabwe sta, di fatto, raddoppiando l’uso del carbone, ristrutturando la sua principale centrale (Hwange) con l’aiuto dell’India e proponendo nuovi impianti. Le riserve di carbone del paese sono enormi. Inoltre, la recente scoperta commerciale di gas naturale da parte di Invictus Energy ha aperto un fronte completamente nuovo. Sebbene ci sia un fondo per le rinnovabili, la strategia a breve e medio termine per uscire dalla crisi energetica si basa palesemente sul potenziamento delle fonti fossili e dell’idroelettrico.









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