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LO SCETTICO

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La verità è consolante, quando si crede di averla. Il dubbio invece lascia orfani e sperduti. Dunque lo scettico è un guastafeste. E tuttavia è inutile prendersela con lui: sarebbe come rimproverare il termometro perché indica che fa freddo. Il problema è generale: è preferibile avere certezze ingiustificate, magari confortanti, o avere coscienza della propria ignoranza e non arrivare a conclusioni azzardate?

Di solito dello scetticismo si parla in campo filosofico. Molti credono che questo atteggiamento vada attribuito solo a Pirrone o a un epigono come Michel de Montaigne. In realtà esso ha molte più occasioni di esercitarsi di quanto non si pensi. Chi prende un raffreddore troverà sempre qualcuno che gli dirà che si è attirato quel malanno uscendo quando non si sentiva bene; oppure perché non ha indossato la sciarpa, dopo il mal di gola. Il fatto che tante altre volte egli abbia fatto queste cose senza raffreddarsi non basterà a smontare la tesi. Ché anzi l’interlocutore gli dirà : “Tu comunque hai fatto il possibile per raffreddarti, anche se non sempre ti è riuscito”. E dire che qualcuno che non credeva alla teoria della sciarpa ha dimostrato che il raffreddore dipende da un virus. Ciò non basta a smontare la teoria.

Lo scetticismo metodico si dimostra utilissimo quando il comportamento del prossimo ci disorienta. Se un amico si comporta in modo strano, come se si fosse stancato di noi, come se qualcosa gli impedisse di frequentarci, o anche come se si fosse offeso, è inutile stare a diagnosticare: “Deve essere successo questo”. Il prossimo è imprevedibile: o perché è più stupido del previsto, o perché è più intelligente (caso più raro) o più semplicemente perché ragiona con la sua testa e non con la nostra. Di fatto, quando il mistero si chiarisce, nove volte su dieci la ragione del comportamento incomprensibile non fa parte di quelle che avevamo ipotizzate.

Questo ragionevole agnosticismo, finché non si dispone di dati certi, se induce alla diffidenza riguardo alle proprie conclusioni, ovviamente non è più benevolo con le conclusioni altrui. Indubbiamente i medici ne sanno più degli altri, sul corpo umano: dunque anche lo scettico, se sta male, va umilmente va a consultarli. Ma dove si differenza dagli altri è nel momento in cui non prende per oro colato ciò che dicono. Il gergo tecnico non l’impressiona e mentalmente pensa: “Speriamo che abbia fortuna. Speriamo che ci abbia azzeccato. Speriamo”. La medicina è una scienza per così dire “probabilistica”, in tanti casi.

La conseguenza di questo atteggiamento, che molti giudicano irrispettosa nei confronti dei professionisti, di fatto è più benevola nei confronti della loro categoria di chi la reputa infallibile. Lo scettico è più disposto di altri a perdonare l’errore del medico, del promotore finanziario, dell’avvocato, in fondo di chiunque, perché non considera nessuno un oracolo. Spesso, dinanzi alla disinvolta certezza del tecnico, si chiede se non serva soltanto a giustificare l’onorario richiesto.

Le certezze infondate sono innumerevoli. Quanto meno, sono infondate se le si prende troppo sul serio. È normale che ciò che costa di più sia migliore di ciò che costa di meno, ma “normale” non significa “certo”. A volte ciò che costa di più di migliore ha soltanto la pubblicità che riesce a farsi. Sarà pure fastidioso che l’incertezza ci assedi da ogni parte, ma lo fa a fin di bene. È vero che i vecchi hanno maggiore probabilità dei giovani di morire entro l’anno, ma i giovani farebbero bene a guidare con prudenza.

Né può dirsi che la diffidenza rispetto al sorriso delle certezze sia priva di vantaggi. A forza di scremare la realtà per distinguere ciò che è ragionevole credere da ciò che è una mera ipotesi, si ottengono a volte solidi punti di riferimento. Chi crede di potere abbracciare l’intero problema, includendovi sia le cause di ciò che è avvenuto, sia gli inevitabili sviluppi futuri, si condanna a frequenti delusioni. Viceversa, chi ragiona sulle poche cose sicure, può giungere a conclusioni scarne ma fondate. È ciò che ha fatto la grandezza di un grande giornalista del passato, Augusto Guerriero, che su “Epoca” si firmava con lo pseudonimo di “Ricciardetto”. I suoi articoli non contenevano né grandi indiscrezioni né grandi rivelazioni.  Partivano dai dati elementari ed indiscutibili, noti anche al lettore, e spesso illuminavano le situazioni internazionali con una chiarezza abbagliante, che quasi faceva sentire uno sciocco il lettore. Il genio di quel grande commentatore consisteva infatti nella capacità di eliminare tutto l’inutile dal materiale indistinto dei dati per far apparire il grammo d’oro della verità.

Gianni Pardo, [email protected]

18 marzo 2015


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