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L’ITALIA LUNARE E L’€UROPA NELLA NOTTE…(PRIMA DELLA TEMPESTA) (da Orizzonte48)

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Dopo un breve periodo di riposo torniamo a ripubblicare gli articoli del sempre ottimo Orizzonte48, che trovate al link originale QUI.
1. Proviamo a ricominciare, insieme, il discorso interrottosi per motivi di “opportunità” durante la mia esperienza di governo.
La situazione dinnanzi alla quale si trova la società italiana è abbastanza evidente; direi materialmente percettibile a ciascuno di noi.
Sintetizzando: a seguito dell’adesione alla moneta unica, – che, come abbiamo più volte detto, è la punta di diamante della globalizzazione, una colossale istituzione (= costruzione normativa che organizza e condiziona i comportamenti umani), derivante da trattati e fonti di diritto internazionale (privatizzato)-, e avendo subito la conseguente ristrutturazione del proprio modello industriale e sociale derivante dalla “correzione Monti” (in poi), l’Italia registra una crescita zero (ultimo dato Istat). Con lievi (per ora) sconfinamenti in una vera e propria recessione.
2. Questa attuale fase risulta susseguente a un lungo periodo di stagnazione – ovverosia di crescita bassa o di pochi decimali- che, a sua volta, è seguito a un periodo di doppia caduta in una fase recessiva.
La prima recessione va considerata globale, ed esauritasi peraltro alla fine del 2009; la seconda, invece, è stata fiscalmente indotta, a partire dalla fine del 2011: cioè determinata dall’unico modo di correzione del debito commerciale esterno predicato ab initio all’interno della moneta unica.
La stessa recessione (inesattamente definibile come double dip, dovendo essere considerata la seconda, e più distruttiva, fase, come il fisiologico ed indipendente agire normativo del regime della moneta unica a fronte di prevedibili shock esogeni), seguiva peraltro alla debole crescita, accompagnata da perdita di competitività, – e quindi dalla trasformazione del surplus delle partite correnti in un prolungato deficit -, che si è accompagnata all’introduzione della moneta unica e del suo vincolo di cambio. Questa nuova è più intensa forma di “vincolo esterno” aveva infatti simultaneamente imposto il venir meno della domanda estera, – a causa di un tasso di cambio reale inevitabilmente sfavorevole e non correggibile nel breve periodo, se non a costi sociali e politici insostenibili per qualsiasi governo-, e della domanda pubblica, repressa fin dall’era della “convergenza” verso la stessa moneta unica, come conferma l’impressionante serie di avanzi primari di bilancio che l’Italia, più di ogni altro paese al mondo, ha registrato a partire dal 1992.
2.1. Riporto, qui sotto, i grafici rappresentativi della serie storica del PIL e del saldo Bdp elaborati dal Dipartimento apposito della Presidenza del Consiglio dei ministri, con l’avvertenza che dal dicembre 2018 non risultano aggiornati:
3. L’intreccio tra globalizzazione destatualizzatrice, – cioè il free-trade istituzionalizzato, che determina una spinta, più o meno intensa (dipende dai tempi e dai modi di adesione a trattati come il WTO e dalle riserve che in questa o altre sedi vengono imposte dai negoziatori nazionali), verso la piena libertà della circolazione dei capitali, dei beni e servizi, e anche della forza lavoro-, e moneta unica – che, ancor più intensamente, obbliga, nella macroregione economica denominata Eurozona, a tale libertà di movimento (di capitali, lavoro, merci e servizi) -, ha trasformato l’Italia in un paese export-led e vincolato a un incessante “rigore fiscale”, indipendente da qualsiasi considerazione ciclica: un rigore essenzialmente finalizzato alla “stabilità monetaria“.
Quest’ultima, vera e propria Grund-Norm dell’intera eurozona, non tollera scostamenti, se non discrezionali e circondati da moniti “minacciosi”.
La stabilità monetaria (id est; l’autoconservazione della moneta unica, a vantaggio di chi ne trae un beneficio tutt’altro che cooperativo, in quanto a scapito delle controparti del trattato),  è divenuta, a sua volta, il perno di un inestricabile assetto normativo (molto rigido) che considera il “lato dell’offerta” come l’unico ad avere una qualsiasi rilevanza per la (modesta e sempre più aleatoria) crescita.
4. Ed infatti, per vincolare e monitorare le politiche economico-fiscali degli Stati dell’eurozona, ci si fonda su un’idea, anzi un’ideologia, in cui l’equilibrio macroeconomico si rapporta alla mera funzione della produzione: tutt’al più, integrata dal mito dello spontaneo e costante progresso tecnologico, (molto) ipoteticamente generato (esclusivamente) dalle forze del mercato (c.d. residuo di Solow).
Ogni altra interferenza dell’intervento pubblico viene normativamente vista come un danno, un’inefficiente allocazione del capitale e della forza lavoro. E ogni deviazione viene duramente sanzionata dalle istituzioni dell’EZ e dai “mercati”…il che introdurrebbe al tema del ruolo della banca centrale e dei limiti “antisolidali” che deliberatamente gli impone il trattato, conferendogli una discrezionalità tanto assoluta, quanto ormai giunta alla quasi-impotenza…come evidenzia, ex multis, Larry Summers.
Tutto questo assetto normativo, internazionale e proprio dell’eurozona, per definizione, può ascriversi a un modello di crescita profit-led, in cui le politiche distributive sono utilmente svolgibili solo a favore del capitale (come argomentano Marc Lavoie e Engelbert Stockhammer in questo approfondito lavoro), risultando invece controproducenti politiche non solo di incremento, ma anche di mantenimento, del welfare (cioè di redistribuzione del prodotto a favore del lavoro, attraverso salario indiretto, cioè sanità, assistenza e istruzione pubbliche, e salario differito, cioè il sistema pensionistico pubblico).
5. Ora, già l’aver fatto questo schematico riassunto in premessa (essendo però, in base ai links, svolgibili gli opportuni approfondimenti), fa comprendere come, a voler essere benevoli, a partire dal Trattato di Maastricht, il modello costituzionale non sia stato rispettato: per espressa previsione delle norme inviolabili, e non soggette a revisione, della nostra Costituzione (artt.1, 4, 36, 38, 32, 33…quantomeno), l’economia italiana segue un modello keynesiano che sarebbe, evidentemente, wage-led, come direbbero Lavoie e Stockhammer sopra citati, perché “fondato sul lavoro”; sicchè esso non tollererebbe (cioè, non contemplerebbe come costituzionalmente legittime) politiche che, sempre per attenersi alle classificazioni e schematizzazioni di questi ultimi, implichino apertamente la (ormai estrema) flessibilizzazione del mercato del lavoro, la moderazione salariale, la conseguente discesa della quota salari su PIL, la riduzione (sia pure graduale ma inesorabile) dello Stato sociale, il costante indebolimento della contrattazione collettiva e l’aumento della dispersione salariale (che, tra l’altro, come abbiamo spiegato, si accompagnano, e non a caso, a misure complementari, e di loro “cristallizzazione”, come il reddito di cittadinanza e il salario minimo).
6. Ora che l’Italia registri una fase, abbastanza prolungata da risultare allarmante, di crescita zero, è manifestamente dovuto al congiurare di queste due condizioni, appena tratteggiate:
a) la crisi strutturale della stessa globalizzazione (rinviamo ancora all’analisi di Summers per la sua tempestività e completezza), –  non dovuta alle contingenze politiche del commercio internazionale che sono la conseguenza inevitabile del problema strutturale-;
 b) l’impedimento sempre più stringente, all’interno dell’eurozona, allo svolgimento di quelle politiche della crescita e dello sviluppo che sono dettate dalle norme fondamentali della nostra Costituzione. Tali politiche, a livello strutturale, sono preventivamente volte a limitare il fallimento del mercato determinato dalla creazione di monopoli e posizioni di rendita private; mentre, a livello anti-ciclico, conducono all’oculato intervento diretto dello Stato nell’investimento industriale, secondo le linee dell’effetto “sostituzione” (ci produciamo ciò che siamo capaci di produrre e che altrimenti saremmo costretti a importare in misura squilibrata), e della “rimozione delle strozzature” (investiamo “su” e potenziamo ciò che oggi costituisce una filiera in cui ancora si dispone di un vantaggio competitivo, aumentandone le capacità di consolidarsi sul mercato interno e internazionale).  
Ciò che è l’esatto opposto delle privatizzazioni che, dopo una funesta stagione impostaci negli anni ’90 (qui, p.5), per la “convergenza”, si vorrebbe proseguire fino allo sfacelo di ogni vitalità, e possibilità di ripresa, dell’economia industriale di un paese il cui “successo” dipende dall’abilità nella creazione di valore nel settore manifatturiero.
7. Ebbene, per quanto ci siano molte cose da aggiungere e da approfondire (avrei voluto parlarvi di come e perché non “funzioni” più la Curva di Phillips, problema strettamente connesso alla crisi strutturale della globalizzazione…ma lo farò), mi limito a segnalarvi l’aspetto più eclatante che, come si suol dire, “a contrario”, emerge da queste riflessioni: tutta la problematica, – così importante, così annosa, così drammatica per la vita dei cittadini italiani -, che vi ho segnalato, e che per la verità agita in modo sempre più evidente il dibattito mediatico-economico di tutto l’Occidente a capitalismo “maturo”, è completamente assente dalle dichiarazioni programmatiche e dal dibattito politico attuale…Si ha come l’impressione di essere in una realtà parallela, fatta di miopi polemiche di parte e di slogan ripetuti senza comprenderne appieno il significato.
8. L’Italia, questo grande paese democratico (in ragione della sua Costituzione, sempre attualissima e viva nelle soluzioni che offre a chi…la studia, specialmente dal punto di vista politico-economico) e industriale, non sta sulla Luna…e l’eurozona, peraltro, non è l’astro della notte, tutt’altro (al limite è nella “notte” della Ragione…). E l’Italia non può permettersi di essere raccontata e guidata ignorando la sua natura, la sua vocazione, ben collocata in questa Terra, interconnessa con i problemi di una globalizzazione che è stata guidata dai progettisti di Elysium, da spietati Malthusiani, e che ora, nella sua fase discendente, rischia di trascinarci nel suo “cupio dissolvi”…
Parliamone: non lasciamo che discorsi “lunari”, ipostatizzati su un pensiero unico e irresponsabile verso il popolo sovrano, ci facciano suonare, come comprimari, nell’orchestra del Titanic…

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