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Politica

L’IS FRA GUERRA E RELIGIONE – 2

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Mancando delle conoscenze adeguate riguardo al territorio siriano e irakeno su cui insiste l’attuale potere dell’Is, si possono fare soltanto ipotesi ragionevoli. La prima, che la popolazione non accetti il califfato, e aspetti l’occasione per rovesciarlo. In questo caso il problema si risolverebbe da sé, e l’Occidente non avrebbe motivo di occuparsene. Paradossalmente, alla stessa conclusione si arriverebbe se, dopo le follie iniziali, questo Stato dovesse divenire accettabilmente pacifico. Più preoccupante è l’ipotesi che esso si confermi come un elemento di destabilizzazione della regione, o una fonte di terrorismo internazionale. In questo caso nascerebbe l’esigenza di contrastarlo, anche se non sarebbe facile.

Teoricamente, il califfato è una minaccia per tutti gli altri governi – che siano musulmani o che non siano musulmani – perché, dal punto di vista dell’Is – che per sua natura nasce universale – essi sono abusivi. Secondo la dottrina, sull’intero pianeta, dove vivono i musulmani (dar al-Islam, la terra dell’Islàm) non ci dovrebbero essere confini e tutti i musulmani dovrebbero sottomettersi al califfo. I confini del califfato coincidono dunque con quelli della Ummah, della comunità dei credenti. Mentre dove vivono i non musulmani (dar al-Harb) è la terra della guerra e bisognerebbe imporre l’Islàm. I confini sono comunque una cosa laica, da superare, e già questa idea suona come una minaccia per tutti gli Stati. L’Is può non avere la forza della conquista, certo non può non averne l’intenzione.

In concreto, la minaccia non è ugualmente grave per tutti. I più allarmati devono essere i vicini e viceversa gli Stati occidentali non temono minimamente un’invasione islamica. Dopo Poitiers, e la battaglia di Vienna del 1683, per l’Europa questo è un capitolo chiuso. Se dunque l’Is non li provocherà con attentati sanguinosi o in altro modo, da loro non avrà molto da temere. Essi chiedono soltanto di essere lasciati in pace.

Tra i possibili Paesi eventualmente interessati ad un’azione c’è in primo luogo la Siria, che si è vista sottrarre una parte del proprio territorio. In questo campo Damasco patisce però uno svantaggio religioso, in quanto una buona parte della popolazione è sunnita (e il “califfo” si presenta come il campione dei sunniti) mentre il regime è prevalentemente composto di musulmani alawiti, affini agli sciiti. Comunque, per conoscere il peso della Siria in questo scacchiere, bisognerà vedere se, quando e come si concluderà la guerra civile.

Anche nell’Iraq esistono fattori contraddittori. Il Paese ha tradizioni sufficientemente laiche, basti ricordare che il Baath, il partito di Saddam Hussein, a lungo al potere, era agnostico e socialista. E anche come religione c’è un contrasto fra la maggioranza sunnita e una forte minoranza sciita. Quest’ultima in passato è riuscita a dominare lo Stato, ed ha alle spalle un possente alleato, il grande Iran sciita. Qui, non si dimentichi, si è già realizzata una forma di teocrazia, sufficientemente sostenuta dalla popolazione per durare dal 1979. Tehran tuttavia non potrà che considerare con disprezzo le pretese del “califfo”, per gli sciiti più o meno un presuntuoso eretico. L’ostilità all’estremismo sunnita dell’Is d è indubbia: e infatti già oggi l’Iran contrasta militarmente il “califfo”. A costui conviene non provocare.

Va pure tenuto in considerazione il Kurdistan, che potremmo chiamare “la nazione negata”, nel senso che i bellicosi curdi non hanno un Paese loro, e si trovano nel nord dell’Iraq, nell’est della Turchia e nell’ovest dell’Iran. Da un lato essi sono tutt’altro che disposti a sottomettersi al “califfo”, dall’altro potrebbero approfittare dell’occasione per conquistare la loro indipendenza, soprattutto a spese dello Stato Islamico. E quanto al loro valore guerriero, se ne è visto un esempio a Kobaneh, dove hanno già battuto l’Is. Ma, riguardo a loro, molto dipenderebbe dagli armamenti che potrebbero ricevere. Infatti gli Stati in cui si trovano – in primissimo luogo la Turchia – non sono propensi ad aiutarli ed anzi li considerano sempre con allarmato sospetto.

La Turchia, è tempo di parlarne, è unanimemente sunnita ma in essa – seppure infinitamente meno che in passato – sussistono ancora tendenze laiche e kemaliste. È già la potenza regionale dominante e dal punto di vista militare per l’Is sarebbe soltanto un osso su cui rompersi i denti. Neanche pensarci, ad attaccarla. Fra l’altro per Ankara, se si dovesse concepire un califfato, non potrebbe che essere un califfato turco, col califfo di nuovo a Top Kapi, a Istanbul.

Salvo imprevisti, comunque, si può escludere la Turchia dal gioco. Da un lato essa è troppo forte, dall’altro non aspira ad una conquista militare ma ad una zona d’influenza nel Vicino e nel Medio Oriente, che si estende fino ad includere le ex repubbliche sovietiche musulmane, a sud della Russia.

Gianni Pardo, [email protected] 2 di tre. Continua.

23 febbraio 2015


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