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L’IRRESPONSABILITA’ VENDICATIVA

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Per secoli c’è stata la rincorsa fra spada e scudo, con sempre nuove armi e sempre nuove difese, ora c’è la rincorsa fra sempre nuovi incidenti e sempre nuove responsabilità per chi non ha avuto abbastanza fantasia per evitarli. Trascurando magari l’incuria di chi non ha pensato a proteggere sé stesso. Forse nel Paradiso Terrestre, se mai c’è stato, il Male non esisteva. Ma nel mondo come lo conosciamo si può evitare qualche male, non il male. E tuttavia la tendenza contemporanea, anche per fatti “normali”, è a considerare l’evento dannoso come una colpa di cui qualcuno deve pagare il fio. Secondo molti, se nessuno commettesse mai un errore, una disattenzione, una piccola mancanza, il male sparirebbe. E questo rimbalzo fra male e responsabilità tocca oggi vette che nessuno avrebbe potuto immaginare.

Purtroppo, il massimo di protezioni deresponsabilizza. Chi ha visitato l’ovest della Bretagna conosce le maestose falesie delle sue coste, alte, a picco sul mare e senza alcuna protezione. I visitatori sanno che devono stare attenti. Se ci fossero delle ringhiere per centinaia di chilometri, se esse fossero interrotte in un punto e qualcuno cadesse, si direbbe subito che la colpa è di chi ha permesso che ci fosse quell’interruzione, mentre la situazione differirebbe da quella attuale soltanto perché la ringhiera mancherebbe solo in un punto, invece di essere totalmente assente. E questo creerebbe la condanna, mentre il fatto che oggi manchi dovunque manda assolti tutti. E poi, se anche la ringhiera non avesse interruzioni, qualcuno potrebbe ancora scavalcarla: e le autorità sarebbero accusate di non averla fatta abbastanza alta. Oppure un vandalo potrebbe staccare una sbarra, un bambino passare attraverso l’apertura, ed ecco la condanna per omicidio colposo di qualcuno.

Gli esempi sono infiniti. Se muore una persona importante per droga si cerca il pusher, come se fosse colpa sua. È il drogato che fa esistere il pusher, non il pusher che fa esistere il drogato. Ma qualcuno bisogna punire. È avvenuto quando è morto Marco Pantani. Per le class actions americane il principio è stato che il singolo può essere stupido, demente e imprudente, ma se subisce un danno la colpa è di chi gli ha permesso di essere stupido, demente e imprudente. Né noi italiani siamo esenti da questa mentalità. Deprechiamo il consumismo (deprecavamo, per la verità, ora siamo troppo poveri, per farlo) pur continuando a consumare, con la scusa che “il consumismo ci condiziona a consumare”. Noi siamo innocenti. La pompa di benzina di minaccia con la sua pistola: “O il pieno o la morte!”

Esemplare anche il caso della Protezione Civile. Prima, quando pioveva, si esclamava “Governo ladro!”. Ora la Protezione Civile, se non è colpevole di avere permesso che piovesse, è responsabile dei danni per non avere allertato in tempo. Cosa che avrebbe sbalordito i nostri nonni. E allora l’Ente ha imparato, alla prima previsione di acquazzone, a inviare messaggi ai comuni. Questi alla fine, ricevendone troppi, non se sono più curati ed ora sono accusati di non aver tenuto conto dell’allarme riguardante la Sardegna. Ma si sono difesi: gli avvisi arrivano via fax e gli uffici all’ora d’arrivo erano chiusi. Bisognerebbe lasciare qualcuno in Municipio ventiquattr’ore al giorno? Ed ecco si parla di inviare un avviso a tutti gli abitanti mediante sms sui cellulari. Ottimo. E chi ha le pile scariche? E chi ha spento il cellulare? Istituiremo il reato di telefonino spento? La verità è che il rimedio a un problema crea spesso altri problemi (e costi) a cascata. Forse non migliorando neppure la situazione complessiva. È anche notevole il fatto che in occasione dell’alluvione in Sardegna si sia parlato di “risarcire” i danneggiati. La terminologia è significativa: lo Stato è responsabile di tutto, e i responsabili sono chiamati a “risarcire”.

Il colmo in questo campo lo si è raggiunto all’Aquila: dei geologi sono stati condannati per avere affermato che di solito la scossa più forte è la prima. Hanno affermato un luogo comune statistico della sismologia, ma siccome all’Aquila è andata diversamente, sono stati condannati ad anni di carcere. Facendo ridere il mondo scientifico, costringendo in futuro tutti i sismologi a dichiarare indefinitamente pericolosissimo qualunque sisma e la gente a non tener conto dei loro allarmi. Ma all’Aquila c’erano stati dei morti, si poteva non condannare qualcuno?

Un’altra infinita solfa è quella per la quale “bisognerebbe mettere in sicurezza tutti i comuni a rischio terremoto, alluvioni o dissesto geologico”. Bellissimo programma. Ma l’Italia è fatta come è fatta e si tratta di migliaia di casi. Ce lo possiamo permettere? Per non parlare di casi emblematici. Cefalù sta sotto una falesia: che si fa, si sposta la falesia o la città?

In Italia si è arrivati a processare le agenzie di rating americane perché hanno osato dire la verità, che l’economia italiana va male: infatti ciò avrebbe potuto allarmare le Borse. Se un ragazzo si suicida per un brutto voto a scuola si parte subito alla ricerca del colpevole. La scuola è troppo stressante, non si è tenuto conto della fragilità di quel minore. E se quel professore aveva fama di severità, non ne parliamo. Forse si dovrebbero abolire i brutti voti. Del resto tanto assurda la proposta non è, se dopo il ’68 gli studenti di sinistra chiedevano il “sei politico” e all’università gli esami di gruppo, dove uno solo aveva studiato. Poi ci stupiamo se le nostre università sono assenti nelle classifiche di eccellenza.

La ricerca della perfezione è dannosa in tutti i campi, persino quello della compassione. È naturale che si abbia pietà di un poveretto affamato, malato e sprovvisto di mezzi e che si voglia soccorrerlo. Ma lo Stato non può farlo per un singolo: lo fa per tutti i poveri. Ma chi sono? Qui, stabilito il limite, la pietà si sposta sul primo escluso. Se il limite è a mille, che facciamo con chi è a milleuno? E come controlliamo il reale livello? Creiamo sorveglianti, e uffici dei sorveglianti, e sorveglianti dei sorveglianti, e uffici dei sorveglianti dei sorveglianti. Alla fine si crea un elefante che vive a carico dei contribuenti e finisce con lo spendere buona parte delle sue disponibilità per tenersi in piedi, concedendo sussidi a chi non li merita (le pensioni di invalidità in Italia sono uno scandalo nazionale) e a volte negandoli a chi li merita. La soluzione non è non soccorrere nessuno: ma bisognerebbe limitarsi ai casi estremi. La complessità è sempre in agguato, sempre costosa ed occasione di abusi.

Si potrebbe continuare all’infinito. Il serpente si morde la coda. Più deleghiamo allo Stato la nostra sicurezza, più ci costa lo Stato, senza per questo giungere alla sicurezza. Dunque sì alla pietà, alla prevenzione degli incidenti e al welfare, ma senza esagerare. Le controindicazioni potrebbero farci pentire della cura.

Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it

24 novembre 2013

 


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