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L’INUTILITA’ DEGLI EUROBOND

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 Articolo di Paolo Cardena’ di Vincitori e Vintieurobond

Negli ultimi tempi si è fatto un gran discutere di eurobond, lo strumento di debito europeo evocato da molti personaggi illustri -dall’economista Alberto Quadro Curzio a Romano Prodi e molti altri- che si si dicono favorevoli all’introduzione di uno strumento di questo genere per la soluzione della crisi dei debiti sovrani, che nel frattempo, almeno apparentemente, “non è più crisi”, grazie all’azione delle banche centrali che hanno fatto precipitare i rendimenti offerti da quei paesi alle prese con debiti che ballano pericolosamente sulla soglia della sostenibilità.

Secondo la proposta originaria di Quadro Curzio e Prodi, risalente ormai al 2011, l’idea sarebbe quella di creare un “agenzia europea del debito” che possa emettere titoli di debito garantiti da asset (riserve auree, partecipazioni in società strategiche ecc ) di ogni singolo paese partecipante all’unione monetaria.

Questo debito “centralizzato”, che dovrebbe godere di elevato merito creditizio e quindi essere meno oneroso rispetto al debito dei singoli stati (PIIGS) alle prese elevati stock di debito pubblico, dovrebbe da un lato finanziare grandi progetti infrastrutturali dei singoli paesi e dall’altro acquistare parte dei singoli debiti nazionali, migliorandone la spesa per interessi e “risolvere” eventuali problemi di accesso ai mercati che dovessero presentarsi.

Al netto del fatto che gli eurobond non potrebbero mai risolvere le asimmetrie esistenti all’interno dell’eurozona, andrebbe osservato che l’eventuale mutualizzazione dei debiti sovrani dell’eurozona, non riuscirebbe ad evitare il collasso di quei paesi (Italia in primis), che, perdurando simili condizioni, presto o tardi arriverà, che piaccia o meno.
Gli Eurobond che vengono proposti da Prodi e Quadro Curzio avrebbero senso se l’Italia avesse difficoltà di accesso ai mercati e si finanziasse quindi a tassi elevati. In questo caso, emettere debito in comune, verosimilmente, avrebbe il vantaggio di poter godere di costi sul debito più bassi, per via del fatto che il debito dovrebbe essere garantito anche dai paesi più virtuosi, e quindi godere di maggior merito creditizio. Al netto di quanto appena scritto e del costo del debito relativo alle emissioni degli ultimi periodi (assai contenuto), c’è da dire che il debito pubblico italiano, mediamente, costa intorno al 3.5%-4% e ha una vita residua di circa 7 anni. Ciò equivale a dire che se l’italia dovesse continuare ad emettere debito pubblico ai tassi attuali (circostanza assai improbabile), il massimo del beneficio lo si otterrebbe solamente nel momento in cui sarà giunto a scadenza l’intero flottante di debito pubblico, e lo si sarà rinnovato a tassi più bassi. Cioè in tempi lunghissimi.
Nel caso degli eurobond il ragionamento è esattamente lo stesso, poiché ammesso che possano essere superate le resistenze politiche delle varie cancellerie europee e ammesso anche che attraverso gli eurobond possa essere emesso debito comune a tassi più bassi rispetto agli attuali, il massimo dei benefici li si otterrebbero solo nel lungo periodo in virtù del ragionamento di cui sopra. Cioè in tempi non conciliabili con quelli della crisi di cui è vittima l’Italia.
A meno che non si voglia fare uno swap sul debito esistente (cioè su quello emesso a tassi alti), sostituendolo con debito di nuova emissione a tassi più contenuti.
Domanda: chi, di propria spontanea volontà, aderirebbe a uno swap fortemente penalizzante, tale da indurre l’investitore ad accettare rendimenti inferiori a quelli in essere?
Senza poi considerare il fatto che gli eurobond non avrebbero nessun effetto in termini di convergenza delle asimmetrie economiche esistenti nell’eurozona. Anzi, rischierebbe addirittura di aggravarle per via del fatto che migliorerebbero anche le condizioni di accesso al credito di quei paesi più virtuosi che già scontano livelli bassissimi di spesa per interessi.

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