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LINEAMENTI DI UNA RIFORMA CHE TUTELI IL RISPARMIO IN ITALIA (di Paolo Savona)

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Le recenti vicende bancarie riguardanti le Banche Venete, Monte dei Paschi di Siena e Carige hanno posto al centro del dibattito politico ed economico il problema della tutela del risparmio, o meglio la partecipazione dei risparmiatori alle perdite del sistema bancario. Vi proponiamo uno studio sulla materia del Professor Paolo Savona che mette in luce come la partecipazione alle perdite sia corretta se lo Stato mettesse a disposizione una struttura informativa completa ed adeguata per il pubblico, in assenza della quale non è possibile per lo stesso estraniarsi dalla proprie responsabilità. Lo studio è inserito in un rapporto edito a cura di CESIFIN.

Grazie

 

 

In Italia esistono seri problemi di tutela del risparmio che si spera trovino soluzione
nell’utilizzo libero, pieno e sicuro dei mezzi di pagamento e in una ragionevole
certezza del rimborso delle attività finanziarie da parte degli intermediari e del
mercato dei titoli di credito, che oggi mancano. Ciò richiede la messa a punto di
una nuova architettura normativa che possa poggiare su una ripresa dell’attività
produttiva. La problematica è molto ampia; tuttavia, questa memoria si concentra
sulla definizione dei lineamenti di una nuova architettura monetaria e finanziaria
da porre al servizio della stabilità e della crescita produttiva.
L’assetto istituzionale dei mezzi di pagamento ereditato dal passato, basato
su un sistema bancario per lungo tempo in mani prevalentemente pubbliche, è
stato sconvolto dalla cessione della sovranità monetaria all’Eurosistema decisa
nel 1992 e realizzata in pratica nel 2002 con l’entrata in circolazione dell’euro
al posto della lira. Questa modifica ha costretto gli italiani a usare una moneta
non più sotto controllo della sovranità del loro Stato, di fatto una moneta che i
giuristi definiscono “adesposta”, ossia non imputabile a nessuna entità sovrana in
senso proprio1. La Banca Centrale Europea che ha sostituito la Banca d’Italia è una
figura giuridica simile a quella degli istituti di emissione che crearono una serie di
problemi culminati alla fine dell’Ottocento con la loro scomparsa.
Questo mutamento epocale era stato preceduto dalla decisione del 1990 di
sottrarre le banche italiane all’influenza diretta dei partiti; e da quella del 1993
di approvare una nuova legge bancaria che ha consentito ogni forma di attività
creditizia (detta appunto “universale”) rispetto alla legge bancaria del 1936, che
imponeva la “specializzazione” del credito. Lo scopo della riforma era quello di
spingere il sistema creditizio a servire meglio le esigenze della crescita economica di
quanto non facesse nel precedente assetto normativo, trascurando implicitamente
i problemi di protezione del risparmio, anche se, in precedenza, nel 1974 era stata
creata la Consob e nel 1987 il FITD, un consorzio volontario di tutela dei depositi
di tipo mutualistico affiancato dall’impegno dello Stato in caso di necessità (il c.d.
Decreto Ventriglia). L’obiettivo di un maggiore e più efficiente sistema del credito
non è stato però raggiunto, anche perché sono sopraggiunti nuovi mutamenti e
relativi problemi a livello esterno e interno.
A seguito della cessione della sovranità monetaria, al risparmio sono venuti a
mancare i pochi riferimenti interni che aveva, in primis la Banca d’Italia, ma anche
il Governo e il Parlamento. Queste istituzioni hanno caldeggiato e approvato le
direttive europee in materia di stabilità monetaria e finanziaria senza sufficiente
valutazione delle reali conseguenze. Il coinvolgimento del risparmio nella crisi
finanziaria mondiale iniziata nel 2008 e la trasmissione degli effetti all’economia
reale hanno causato molti timori nei risparmiatori, prima a causa delle difficoltà
di mercato incontrate dai titoli di Stato e, di seguito, dai depositi bancari e dalle
altre forme di raccolta.
Le decisioni prese a livello europeo per fronteggiare la difficile situazione
finanziaria e reale, ancorché allontanare i pericoli sui debiti sovrani, li hanno resi
più difficili da affrontare e hanno aggravato i rischi incombenti sulle banche e
le società finanziarie. In particolare i termini di risoluzione delle crisi bancarie,
applicate su situazioni pregresse come quelle della Banca dell’Etruria, hanno
minato la fiducia dei risparmiatori, trasmettendo le incertezze all’intero sistema del
risparmio/credito. La crisi dell’economia reale ha incrementato i non performing
loan, le sofferenze bancarie, sollecitando aumenti di capitale in un momento di
profitti quasi nulli e sfiducia, costringendo il Governo ad assumere nuovamente
partecipazioni nelle banche in crisi. I risultati raggiunti con la nuova normativa si
sono rivelati opposti a quelli attesi. Il razionamento del credito ha creato ulteriori
problemi alla crescita del prodotto e dell’occupazione, e i risparmiatori si sentono
oggi meno sicuri di prima.
Le autorità hanno approvato la nascita di un’unione bancaria europea basata
sui vincoli e non sulle opportunità, come qualsiasi architettura europea, e il
Parlamento italiano ha approvato la normativa indicata dalle direttive europee,
senza valutare correttamente le gravi implicazioni3. La nuova architettura
non migliora la protezione del risparmio e la concessione del credito, anche
perché complica o impedisce l’intervento complementare dello Stato. Questo
cambiamento è stato presentato con l’intento encomiabile di voler proteggere il
cittadino dal dover pagare maggiori tributi per salvare le banche che hanno mal
gestito il credito e i risparmiatori che hanno mal curato i propri interessi. Il risultato
tuttavia è che i cittadini direttamente o indirettamente pagano una più ampia
“tassa” occulta, per via degli interessi quasi nulli che ottiene, decisi per tentare di
fronteggiare la deflazione produttiva, e degli oneri crescenti che deve pagare per
la tenuta dei depositi, fissati a livelli tali da assorbire anche parte delle perdite
sui crediti che le banche non sono in condizione di coprire con altri incassi. Lo
Stato, inoltre, è comunque chiamato a intervenire ed è intervenuto ripetutamente,
nonostante il divieto europeo. Il meccanismo di tutela del risparmio è divenuto
più complesso, gestibile con difficoltà in quanto richiede più tempo e maggiori
oneri, come accade per ogni aspetto della politica economica europea. Anche per
la gestione del risparmio, nell’efficacia ed efficienza delle decisioni pubbliche di
intervento, a livello nazionale ed europeo, sono state snaturate.
Nel nuovo regime giuridico di tutela dei depositi, divenuto nel mentre
obbligatorio, solo quelli pari o inferiori ai 100 mila euro sono garantiti, mentre
ogni altra forma di raccolta bancaria concorre alla soluzione delle crisi secondo
una graduatoria predeterminata dei titoli posseduti dalla clientela (nell’ordine
azioni, obbligazioni, obbligazioni subordinate, depositi superiori al limite di
tutela). Per giunta, le autorità italiane competenti hanno applicato la normativa in
anticipo rispetto al momento di inizio della sua validità, non rimborsando alcune
obbligazioni subordinate senza valutare le conseguenze negative che avrebbe
avuto sulla fiducia riposta nelle banche e, più in generale, nel mercato finanziario
da parte dei risparmiatori. Ciò è accaduto in un momento in cui era già in atto una
crisi reale e finanziaria di ampie proporzioni per l’economia italiana che concorreva
a peggiorare le aspettative degli operatori di mercato, riducendo investimenti e
consumi; sono perciò peggiorate le basi per garantire non solo il rimborso dei
crediti in essere, ma anche la concessione di nuovi.
La tesi di questa memoria è che, per uscire dalla situazione che si è venuta
a creare, occorre scindere la simbiosi (“idiosincrasia” secondo i termini usati da
Hyman Minsky) tra sistema dei pagamenti e sistema del credito, affidando il
servizio del primo alle nuove catene tecnologiche (tipo blockchain) sotto la diretta
responsabilità dello Stato, anche se non necessariamente prestando il servizio
materiale; e quello del secondo attribuendo alle banche maggiori responsabilità
nella valutazione del merito di credito e a una sola autorità la vigilanza sull’uso del
risparmio per finalità di finanziamento delle imprese e delle famiglie.
Il sistema dei pagamenti deve poter essere usato solo su iniziativa di ciascuno
dei titolari della moneta, senza che altri possano ingerirsi nel circuito telematico
per attingere alle disponibilità depositate per motivi di transazione, speculativi e
precauzionali. Solo così il titolare sarebbe veramente al sicuro da ogni rischio. La
telematica oggi lo permette.
Il risparmio in forme non monetarie va affidato a gestioni responsabili delle
banche e delle società finanziarie sotto controllo di una sola autorità che abbia una
visione complessiva del problema della sua tutela e dell’uso per concedere credito.
Ciò costringerebbe le banche a svolgere il compito di magistrati del credito che
legittima la loro esistenza. Affinché ciò si possa realizzare è necessario un sistema
informativo che raggiunga lo scopo di rendere edotto il risparmiatore, senza
implicare ciò che in letteratura viene chiamata “selezione avversa”, individuata
dal Nobel George Akerlof; ossia che il prodotto finanziario cattivo scacci il buono,
come accadeva per la moneta metallica secondo la legge di Gresham4. Non basta
però produrre corrette informazioni, ma occorre che vengano messe interamente
a disposizione dei risparmiatori in forme comprensibili, sostenendolo con un
sistema di vigilanza ispettiva, entrambi dotati di risorse adeguate.
La situazione delle due grandi componenti di questo mercato in Italia è la
seguente: la moneta è oggi pari a circa 1.100 miliardi di euro (di cui 150 miliardi
stimati di circolante) e le altre forme a circa 3.000 miliardi di euro. L’indebitamento
complessivo (o il credito totale ricevuto) delle imprese e delle famiglie è pari
a circa 2.000 miliardi di euro, pertanto il resto si indirizza verso forme non
direttamente creditizie, di pura contrattazione dei titoli in circolazione che
forniscono un servizio indispensabile al risparmiatore, quello della liquidabilità
del suo portafoglio. Il risparmio italiano ha anche una importante componente di
patrimonio immobiliare stimabile in 6.300 miliardi di euro, di cui una larga parte
è posseduta dalle famiglie5.
In un momento in cui i cittadini sono esposti ai venti della crisi e devono
affrontare l’impatto di un ridimensionamento della rete di assistenza pubblica
il risparmio è ancor più socialmente rilevante. Per definire questa importanza
si può calcolare un indicatore un po’ rozzo, ma significativo, per le famiglie
italiane: esse possono infatti vivere 10 anni usando il loro risparmio, ovviamente
se potessero cederlo senza incorrere in perdite. Lo Stato, tuttavia, riflettendo gli
appetiti della politica, si va irresponsabilmente e disordinatamente sostituendo
ai cittadini, con la tassazione, non solo nei benefici attesi dai loro risparmi, ma
anche incidendo sul loro livello in essere; tutto ciò in contrasto con le ragioni
sottostanti alle scelte di risparmio così ben espresse dalla life cycle hypothesis of
savings del Nobel Franco Modigliani e violando l’art. 47 della Costituzione, che
prevede la tutela del risparmio6. Un ultimo esempio del meccanismo che la politica
innesta nel sistema economico è quello del bilancio pubblico 2017: dopo avere
proposto e fatto approvare un bilancio espansivo sul cui deficit la Commissione
europea aveva già annunciato riserve, il Governo, su sollecitazione delle autorità
europee, ha preannunciato nuove tasse per consentire il rientro nei parametri
comunitari, senza ridurre le spese che esso stesso aveva deliberato e continuando
a programmarne altre. Non vi è dichiarazione di politica economica che non
sottolinei l’orientamento favorevole all’assistenza diretta e non alla creazione di
opportunità; la stessa popolare proposta di una salario di cittadinanza prescinde
dalla disponibilità di risorse, coltivando l’arrière pensée che sarà la ricchezza a
dover essere sacrificata. Ciò spiega la trascuratezza con cui viene affrontata la
tutela del risparmio in Italia, che invece è un obiettivo il cui perseguimento non è
più rinviabile.
La soluzione del problema presenta tre aspetti parimenti rilevanti che
andrebbero tenuti distinti, ma risolti in un quadro coerente: le istituzioni giuridiche
che gestiscono il risparmio e gli strumenti che lo tutelano.

Nell’affrontare questo compito va tenuto presente che l’architettura istituzionale
italiana del sistema del risparmio è di fatto collocata nell’ambito europeo
comunitario, ma mantiene però aspetti legati a normative interne:

1. La moneta metallica circolante è in euro ed è creata dagli Stati-membri
dell’eurosistema; quella cartacea è emessa dall’eurosistema tramite la BCE
e quella fiduciaria (depositi a vista) dalle banche.

2. Il sistema bancario raccoglie depositi a vista e a tempo, nonché attraverso
l’emissione di proprie obbligazioni, usando le risorse così ottenute per
concedere credito direttamente o acquistando titoli.

3. Gli intermediari finanziari curano il collocamento dei titoli di debito/credito
nelle loro diverse forme primarie e in quelle derivate, dividendosi in gestori
puri dei portafogli dei risparmiatori (fondi comuni, assicurazioni, altre
società finanziarie) e in concedenti direttamente credito (banche, fondi di
investimento e altre forme).

4. Le borse valori curano la negoziazione dei titoli quotati, garantendo la
liquidità degli investimenti finanziari.

A protezione della massa monetaria e finanziaria vi sono:

i. La rete informativa privata e pubblica.

ii. Le autorità di regolazione europee e interne, con al vertice i Parlamenti che
danno validità legale alle une e alle altre.

iii. Le autorità di vigilanza e controllo (Ministero dell’Economia e della Finanze,
Vigilanza Banca d’Italia e European Banking Authority, Consob).

iv. I Fondi obbligatori di Tutela dei Depositi bancari e quelli volontari per la
tutela di altre passività bancarie e di mercato.

v. I consulenti finanziari indipendenti e le società di rating.

In questo quadro istituzionale, la tesi delle autorità che solo i possessori di
depositi inferiori ai 100 mila euro sono protetti in quanto chi li possiede è per
convenzione “sprovveduto” di informazioni, ha valore pragmatico; ma ha contenuti
deboli perché (a) le risorse destinabili non sono adeguate, (b) proibisce ogni
intervento integrativo dello Stato e (c) alla BCE è stato negato il pieno e libero
esercizio della funzione di lender of last resort indispensabile per garantire la
stabilità del sistema bancario.
L’onere degli interventi ricade obbligatoriamente sulle banche secondo un
regime mutualistico e non assicurativo come negli Stati Uniti con il FDIC, le cui
risorse sono integrabili da interventi dello Stato nel caso di un suo fallimento.
Le statistiche del FITD, risalenti al giugno 2016, indicano che i depositi tutelati
sono 818 miliardi di euro, di cui 551 rimborsabili. L’impegno massimo delle
banche per dotare il Fondo delle risorse necessarie a tal fine è pari allo 0,8%
dei depositi complessivi, misura largamente insufficiente che, peraltro, richiede
tempi lunghi per essere attuata. Con queste risorse non è possibile effettuare
salvataggi di banche di grande e anche media dimensione senza metterne in
crisi altre. Inoltre, se utilizzate, le risorse del Fondo devono essere ricostituite,
divenendo un “fondo di San Patrizio” che crea condizioni per il realizzarsi di una
crisi “sistemica”. Il recente caso del Monte dei Paschi è un chiaro esempio: se
le banche fossero state costrette a intervenire per rimborsare i depositi, come
vorrebbe la logica della direttiva europea, la crisi avrebbe trascinato altre banche,
trasformando il singolo dissesto in uno dell’intero sistema bancario. Infine i vincoli
introdotti nell’uso delle risorse da parte del Fondo sono tali da aver costretto le
banche a creare soluzioni alternative, con ulteriori effetti sui conti delle banche e
sulla fiducia dei risparmiatori.
Le due direttive europee sono state impartite dalla Commissione e approvate
dal Parlamento italiano, senza una sufficiente opposizione da parte del MEF, della
Banca d’Italia e della stessa Associazione Bancaria Italiana. Non sono state tenute
presenti le obiezioni mosse dai vertici del FITD che operava su Bruxelles tramite
l’Associazione Europea dei Fondi Tutela di cui aveva la Presidenza. Il Presidente del
FITD ha inoltre reso una testimonianza alla Commissione Senato competente. Le
debolezze e controindicazioni della normativa erano quindi ben conosciute, come
ha confermato tempo dopo il Governatore della Banca d’Italia rivelando di essere
stato contrario a taluni modi in cui le direttive erano formulate. Tutti i responsabili
sono ancora al loro posto o godono di considerazione o continuano a sentenziare
sulla bontà del meccanismo approvato, mentre chi si è opposto è stato escluso,
senza il minimo gesto riparatorio.

Se veramente si volesse proteggere i mezzi di pagamento, il principio ordinatore
dovrebbe essere quello di non metterli a rischio usandoli per concedere credito.
Il sistema dei pagamenti è il cuore del sistema economico, un “bene pubblico”
che lo Stato ha il dovere costituzionale di proteggere da ogni avversità (perdita di
potere di acquisto con l’inflazione e mancato rimborso dei depositi per default del
sistema bancario). Le soluzioni possono essere due: fornire una garanzia pubblica
sul totale “protetto” dei mezzi di pagamento oppure affidare la diretta gestione
a un ente di Stato, lasciando alle banche il compito di rendere il servizio tecnico,
ma con entità completamente separate dal sistema del credito e tariffe d’uso che
rispecchino il solo costo industriale del servizio reso8. Se fosse scelto l’ente di
Stato e la moneta diventasse una semplice unità di conto telematica nel circuito
blockchain o altri canali che vanno affermandosi sul piano tecnico9, si avrebbero
implicazioni altamente positive sulla contabilizzazione del debito pubblico, sulle
quali questa Nota si limita a richiamare l’attenzione, senza dedicare a esse una
specifica analisi.
In passato la simbiosi tra il sistema dei pagamenti e quello del credito era
necessaria per consentire alle banche di pervenire a quella asimmetria delle
conoscenze che legittima sul piano etico i loro profitti. Era quindi una parte
rilevante del sistema informativo delle banche, potendo ricavare da esso indicatori
per conoscere l’attività del cliente affidato. La molteplicità delle banche usate dai
clienti ha inaridito questa fonte, solo in parte colmata dalla centrale dei rischi
Banca d’Italia. Poiché le banche italiane non sono oggi propense a concedere
credito in presenza di rischi elevati a causa della crisi economica, data anche
l’esistenza di leggi sull’usura che pongono vincoli inadeguati ai tassi dell’interesse,
il controllo del rischio passa necessariamente dal razionamento del credito, con
effetti pro-ciclici. Per produrre profitti che remunerino il capitale e ne consentano
l’aumento come richiesto dalle autorità, l’attività delle banche si va concentrando
sul sistema dei pagamenti, per la cui gestione si fanno lautamente pagare in varie
forme. Gli investimenti attuali delle banche sono quasi interamente concentrati
sul miglioramento tecnologico del loro sistema dei pagamenti, con duplicazioni
di strumenti e di costo per la collettività. La chiusura delle filiali e la riduzione
del personale è la conferma che il sistema del credito è entrato in una fase di
obsolescenza quantitativa e, soprattutto, qualitativa e a cui va sostituendosi,
nell’attività bancaria, il sistema dei pagamenti. Concorre a questa situazione la
politica dell’adeguamento di capitale voluta dalla BRI e dalla Vigilanza europea
nell’illusione di proteggere in questo modo il depositante o l’obbligazionista,
producendo anch’essa effetti pro-ciclici. Questo sbocco operativo delle banche
conferma l’interpretazione del Nobel Ronald Coase che i costi di transazione
nascono dalla non coincidenza tra gli obiettivi dell’organizzazione delle imprese,
ovviamente banche incluse, e quelli del mercato.

La conclusione è quella tratta da tempo da Hyman Minsky: i depositi bancari
sono “servi di due padroni”. Da un lato, soddisfare le istanze di stabilità e sicurezza
del sistema dei pagamenti e, dall’altro, propiziare le intraprese produttive attraverso
il credito, ma così facendo si trasferiscono sui depositi i rischi accettati11. Se si
vuole la protezione dei depositi si deve rompere questa simbiosi, attribuendo a
ciascun strumento il suo padrone. I mezzi di pagamento all’obiettivo degli scambi
e della liberazione dei debiti; il risparmio vero e proprio al sostegno dell’attività
produttiva, l’unica in condizione di garantire la loro funzione di store of value nel
tempo.

Anche il risparmio in forma non monetaria, ossia a fini di finanziamento, è servo
di due padroni: ottenere il rimborso e concedere credito per l’attività produttiva,
i problemi che maggiormente preoccupavano Minsky. Il raggiungimento dei due
obiettivi dipende dalla valutazione del merito di credito, da cui consegue che
il principio ordinatore è una corretta concessione e gestione dei finanziamenti
da parte degli intermediari di mercato, banche incluse. Anche in questo caso
occorre stabilire una netta distinzione tra istituzioni che gestiscono il risparmio,
ma concedono credito solo indirettamente attraverso l’acquisto di titoli per conto
della clientela, e quelle che lo raccolgono per concedere direttamente credito.
Nel primo caso i gestori sono prevalentemente market taker, seguono la volontà
del mercato con maggiore o minore perizia; ma possono anche essere market
maker, se la loro dimensione e il loro prestigio come gestori e valutatori li accredita
in pratica. I gravi ritardi nei sistemi telematici delle imprese finanziarie italiane –
facilmente accertabili entrando nei siti dei grandi operatori esteri del settore – non
consentono al risparmiatore di verificare le gestioni in tempo reale, rafforzando
la natura oligopolistica degli intermediari puri di risparmio, i quali percepiscono
commissioni qualunque sia il risultato della loro prestazione. Sarebbe necessario
affiancare i risparmiatori con consulenti indipendenti che abbiano caratteristiche
di competenza adeguate.
Nel secondo caso i risparmiatori devono essere coscienti che corrono rischi
affidando i risparmi agli enti che concedono credito (banche e borsa), e hanno
l’obbligo di valutare la capacità degli intermediari di calcolare correttamente il
merito di credito, chiedendo un rendimento adeguato al rischio corso. Le carenze
o reticenze di informazioni pubbliche in materia sarebbero potute essere colmate
dalle società private di rating, le quali, tuttavia, hanno mostrato gravissime
debolezze, anche a seguito di conflitti di interesse nascenti dallo svolgimento di
altre attività di consulenza a fini di lucro con le imprese valutate. La loro influenza,
anche a seguito dei gravi errori commessi che hanno condotto alla crisi finanziaria
mondiale del 2008, pare concentrarsi sulle valutazioni che esse danno del merito
di credito degli Stati, un giudizio che resta coinvolto negli effetti delle lotte politiche.
Insistiamo sul fatto che la quantità e qualità delle informazioni non sono
attualmente sufficienti12. È assolutamente necessario che le autorità le raccolgano
e le diffondano, ma diviene sempre più urgente il riconoscimento legale
dell’operatività di consulenti indipendenti, la cui nascita di un albo in Italia viene
sistematicamente respinta dal Parlamento su pressioni delle banche, sostenendo
che sono loro a curare gli interessi della clientela. Insistiamo anche nell’evidenziare
il contributo di analisi dato dal Nobel Ronald Coase, che ha ben illustrato come
l’organizzazione delle imprese abbia regole diverse da quelle del mercato,
generando costi di transazione che aumentano le imperfezioni del mercato. Il
caso è simile a quello illustrato per la gestione del sistema dei pagamenti, sul
quale vengono riversati rischi e oneri derivanti dallo svolgimento di altre funzioni
finanziarie. Solo uno Stato ben organizzato e consulenti indipendenti preparati
possono attenuare queste condizioni in cui si trova il risparmio.

La funzione di tutela del risparmio attraverso l’erogazione di informazioni
dovrebbe ricadere maggiormente sugli organi di vigilanza, riunendo le attuali
funzioni svolte dalla Banca d’Italia e dalla Consob, rafforzando e riqualificando il
corpo ispettivo. Lo scopo non è solo quello di verificare la compliance delle gestioni
del risparmio alle norme, procurandosi informazioni da rendere pubbliche, ma
anche individuare i comportamenti di arbitraggio che migliorano la performance
del mercato, da quelli speculativi che la distorcono. Il compito è oggettivamente
difficile, ma non impossibile se si parte dalla coscienza della distinzione
del duplice obiettivo che si persegue: la tutela del risparmio e lo stimolo alla
crescita. Tutto ciò che non rientra nel perseguimento di questo duplice obiettivo
dovrebbe essere proibito, impedendo l’uso del risparmio di terzi, o scoraggiato,
permettendo operazioni solo con capitale proprio, a condizione che non si alteri
il funzionamento dell’economia.
A questo proposito una particolare attenzione va posta all’attività di contratti
derivati, che si sono diffusi nell’intento di gestire meglio i rischi (di interesse, di
cambio, di credito e altri), ma che a loro volta li hanno creati. Avendo raggiunto
dimensioni rilevanti, essi si sono tramutati in una fonte di reddito significativo delle
banche che li stipulano o fanno stipulare da operatori specializzati, incassando
una commissione e non assumendo responsabilità sul buon esito. Il principale
problema è dovuto al fatto che la valutazione del valore di mercato del contratto
è possibile solo ipotizzando a priori una configurazione matematica del rischio
coperto; se l’ipotesi non si verifica, si può anche guadagnare, ma i costi possono
anche essere proibitivi, come accaduto per i contratti derivati stipulati dallo Stato
italiano, per i quali sono stati pagati cifre che violano il principio costituzionale che
le spese vanno deliberate dal Parlamento e dovrebbero coinvolgere i funzionari
che hanno contribuito alle perdite. Anche in questo caso, nessuno è stato reso
responsabile delle conseguenze e gli autori godono della considerazione pubblica.
La soluzione ovvia è che i gestori di risparmio nelle diverse forme non possono
operare in derivati e chi vuole farli è libero se usa propri mezzi e le relative
responsabilità ricadono sulle parti stipulanti.
In conclusione, se si intende prendere seriamente l’attuazione del dettato
dell’art. 47 della nostra Costituzione, occorre una grande riforma per uscire da un
sistema in cui si illude sia il possessore di mezzi di pagamento d’essere garantito
da meccanismi che non hanno questa capacità, sia il risparmiatore che sia protetto
facendogli firmare una pila di documenti illeggibili, creati al solo scopo di trasferire
su di lui le responsabilità di emittenti titoli o autorità di controllo.
La grande riforma è quindi prima di tutto culturale.

Riassumendo, le relazioni tra risparmiatori e gestori del risparmio vanno dotate di
una diversa architettura istituzionale rispetto a quella vigente, secondo le seguenti
indicazioni:
1. Il sistema dei pagamenti va gestito direttamente su bande telematiche
utilizzabili dai soli possessori dei mezzi, sotto diretto controllo dello Stato,
staccandolo dal sistema del credito. Verrebbe meno l’esigenza di avere i
Fondi di garanzia depositi (e il relativo costo).
2. Il sistema del credito in forme primarie va gestito facendo leva sulla raccolta
e diffusione di informazioni ottenute da un’unica autorità di vigilanza su
base documentale e attraverso ispezioni, da utilizzare per migliorare la
valutazione del merito di credito al fine di ridurre il rischio corso e, pertanto,
assicurare il rimborso dei finanziamenti concessi.
3. Il sistema dei contratti derivati va tenuto anch’esso distinto dal sistema dei
titoli primari e deve operare con mezzi propri. Le autorità devono solo vigilare
per evitare un impatto negativo sull’attività finanziaria ed economica, senza
assumersi responsabilità dirette nel comparto.
4. Il mercato, in gran parte di borsa, beneficia del servizio informativo pubblico
e privato, svolgendo la funzione importante di rendere liquidi gli investimenti
a ogni scadenza. Nel settore la vigilanza dovrebbe avere il carattere di mera
verifica della compliance delle operazioni alla normativa.
5. I consulenti indipendenti e le società di rating veramente indipendenti
(problema analogo alle società di gestione del risparmio che gravitano sulle
banche) possono fornire un utile supporto al successo della riforma.
6. Più in generale, occorre liberalizzare e completare lo svolgimento delle
funzioni di lender of last resort della BCE e
7. avere una politica, non solo economica, che contribuisca alla crescita reale.
La protezione del risparmio passa necessariamente dai progressi delle
imprese e della società.

Paolo Savona


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