Attualità
L’Indice dell’infelicità economica USA ai massimi. Nonostante le illusioni stiamo entrando in recessione
L’indice di infelicità di giugno (composto da disoccupazione e inflazione CPI) è salito a 12,5. Si tratta del valore più alto dal settembre 2011, quando l’economia statunitense stava attraversando un periodo di andamento occupazionale ed economico molto debole dopo la Grande Recessione. All’epoca, la curva dei rendimenti era quasi invertita e si temeva una nuova recessione.
L’indice di infelicità di giugno è anche superiore a quello della recessione del 2007-2009, quando l’indice raggiunse un picco dell’11,4%. L’indice è anche circa uguale a quello della recessione del 1990-1991:
Quindi, anche se il NBER, l’ufficio per gli studi economici americani, non si è ancora espresso sull’opportunità di applicare la parola “recessione” all’economia attuale, è chiaro che l’economia non è in buone condizioni. Chiamarla recessione o non chiamarla.
Sebbene la Casa Bianca stia cercando di convincere gli elettori che tutto va bene, il sentimento dei consumatori suggerisce che la gente comune non se la beve. Inoltre, se stiamo cercando di capire se la disoccupazione e l’inflazione influenzino o meno il sentimento dei consumatori, non dobbiamo guardare oltre al fatto che l’indice di infelicità segue piuttosto da vicino il sentimento dei consumatori. Se invertiamo il trend del Michigan Consumer Sentiment, che misura il mood dei consumatori, e lo abbiniamo all’indice di infelicità, otteniamo questo risultato:
Il sentimento dei consumatori è crollato insieme all’aumento dell’indice di infelicità, come spesso è accaduto negli ultimi decenni. Quindi, nonostante molte fonti negli USA continuino a negare che si sia una recessione, e affermino invece che tutto va bene, tutto è perfetto, in realtà non è esattamente così, anzi. Il sentire è molto negativo.
Del resto le cattive notizie continuano ad accumularsi. La Fed si è a lungo aggrappata ai dati sulle aperture di posti di lavoro nel rapporto JOLTS, sostenendo che l’economia deve essere in crescita perché l’occupazione (un indicatore in ritardo) suggerisce forza. Ebbene, il rapporto JOLTS di questa mattina mostra una chiara inversione di tendenza rispetto alla sua spinta verso l’alto, con un calo delle aperture di posti di lavoro mese su mese che è il maggiore dalla recessione del 2020. Le aperture di posti di lavoro sono diminuite del 9,8% rispetto al picco di marzo.
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