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L’illusione di Bruxelles: perché le ricette mainstream contro i Sovranisti sono destinate a fallire

L’establishment UE (PPE e S&D) tenta di fermare i populisti usando le ricette sbagliate: pompieri piromani sulla crisi abitativa (creata da Green Deal e migrazione) e analfabeti economici sulla difesa, scambiata per un motore di crescita. Un fallimento annunciato.

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Un recente articolo di POLITICO  dipinge la confusione politica che governa in Europa: i leader mainstream dell’UE, dal centro-destra (PPE) al centro-sinistra (S&D) fino ai liberali, si riuniscono a Bruxelles per quello che viene definito il “primo Consiglio europeo anti-estrema destra”. L’obiettivo, secondo l’articolo, è “reclamare il territorio” perso a favore dei populisti, affrontando temi caldi come la crisi abitativa, la migrazione, la regolamentazione dei social media e la spesa per la difesa.

L’articolo coglie accuratamente il senso di panico che serpeggia tra le élite di Bruxelles, Parigi e Berlino. Essi vedono il loro controllo, consolidato dalla Seconda Guerra Mondiale, erodersi di fronte all’ascesa di forze nazionaliste e populiste, da Wilders nei Paesi Bassi a Chega in Portogallo, fino alla minacciosa popolarità di Bardella in Francia e dell’AfD in Germania.

Tuttavia, l’analisi di POLITICO, pur identificando correttamente i sintomi, non riesce a cogliere la malattia di fondo. Il problema  è che i partiti mainstream non hanno alcuna soluzione credibile per i problemi che alimentano l’estrema destra. Peggio ancora, sono stati proprio loro, il Partito Popolare Europeo e l’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici, a creare le condizioni per queste crisi. Il vertice di Bruxelles non è un tentativo di soluzione; è la messa in scena di un fallimento annunciato, mascherato da azione politica.

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La crisi abitativa: I pompieri piromani

POLITICO sottolinea come la crisi abitativa sia diventata un motore primario per l’estrema destra. Geert Wilders ha vinto nei Paesi Bassi cavalcando la carenza di alloggi, attribuita ai migranti, o il loro prezzo ormai superiore ai redditi medi; Chega in Portogallo è cresciuto denunciando l’incapacità dell’establishment di affrontare l’impennata dei prezzi delle case. In Francia il Rassemblement National gioca su uguali fattori.

Ora la politica centrista mainstream arriva sul problema, ma ci arriva tardi e senza soluzioni. Il Presidente del Consiglio Europeo, António Costa, l’ha definita una “crisi sociale” pressante quanto l’invasione russa. Ma questa tardiva presa di coscienza nasconde una verità tossica: la crisi abitativa è la diretta conseguenza delle politiche volute e implementate proprio da PPE e Socialisti.

  • In primo luogo, è una conseguenza dell’incapacità di gestire i flussi migratori. Per decenni, le politiche di gestione dell’immigrazione, sia essa regolare o irregolare, sono state un pilastro del consenso di Bruxelles. Indipendentemente dai meriti umanitari o economici di tali politiche, un fatto è innegabile: l’aumento della domanda di alloggi nelle aree urbane e suburbane non è stato accompagnato da un adeguato aumento dell’offerta. Questa pressione sulla domanda, in un mercato già rigido, ha matematicamente portato all’aumento dei prezzi, colpendo le fasce più deboli della popolazione nativa e degli stessi migranti già integrati.
  • In secondo luogo, gli standard energetici abitativi. La spinta del “Green Deal”, sebbene nobile negli intenti, si è tradotta in una valanga di regolamentazioni, obblighi di ristrutturazione e standard costruttivi che hanno fatto lievitare i costi di costruzione e di mantenimento degli immobili. Rendere le case “più verdi” le ha rese, inevitabilmente, “più costose”, un prezzo aggiuntivo che è ricaduto sui cittadini.

PPE e Socialisti si trovano ora nella posizione assurda del pompiere piromane: cercano di spegnere un incendio che loro stessi hanno appiccato e alimentato. Le “soluzioni” discusse a Bruxelles, che l’articolo definisce già “divisive” (speculazione, affitti brevi, edilizia pubblica), sono palliativi che non osano toccare le due cause profonde, perché significherebbe ammettere il fallimento delle proprie politiche faro degli ultimi vent’anni.

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L’analfabetismo economico: l’equivoco della difesa come motore di crescita

Il secondo pilastro della “riconquista” mainstream, secondo POLITICO, è la difesa. Si parla di investimenti sbalorditivi: 2.400 miliardi di euro in quattro anni. Un diplomatico UE, citato anonimamente, arriva ad affermare che “La difesa è la chiave per prevenire un’ondata di estrema destra: crea posti di lavoro”. I politici addirittura ipotizzano che questo boom possa “sostituire la vacillante industria automobilistica europea”, e parliamo di politici anche di sinistra.

Questa affermazione  non è solo ottimistica; è la prova di un profondo analfabetismo economico dei politici.

Pensare che la produzione di armi, il bene meno produttivo al mondo, possa sostituire l’industria automobilistica è un’idea poco razionale. Un’automobile, comunque, anche quelle pessime prodotte ora, è un bene che genera valore multiplo:

  1. Valore d’uso: Fornisce mobilità personale, un pilastro della libertà e dell’economia moderna.
  2. Valore produttivo: È uno strumento di lavoro per milioni di persone.
  3. Efficienza e Sicurezza: Un’auto nuova, rispetto a una vecchia, risparmia carburante (valore economico e ambientale), salva vite (valore sociale) ed è più efficiente.
  4. Valore psicologico: Genera soddisfazione personale, status e un senso di realizzazione.

Un carro armato, un missile o un proiettile d’artiglieria, al contrario, non fa nulla di tutto ciò. È un puro costo. Non produce valore economico; lo consuma. La sua unica funzione è la deterrenza (un bene pubblico necessario, ma non produttivo) o la distruzione (la negazione stessa del valore). Inoltre, come Lei giustamente nota, un carro armato “costa di manutenzione”: è un asset che deprezza valore e assorbe risorse per tutta la sua vita utile senza mai generare un ritorno economico diretto.

L’industria automobilistica è un ecosistema complesso che guida l’innovazione tecnologica (dalla chimica delle batterie all’IA), sostiene una filiera immensa e risponde a una domanda di mercato reale. L’industria della difesa è un’economia sussidiata, che risponde a una domanda politica (lo Stato) e drena risorse (ingegneri, materie prime, capitali) da settori potenzialmente più produttivi.

Pensare di salvare l’Europa con le fabbriche d’armi

 Scavare buche è più utile che costruire carri armati

Sarebbe meglio, piuttosto che armi, far scavae e riempire buche ai lavoratori. L’atto di scavare e riempire buche è intrinsecamente inutile, ma i salari pagati ai lavoratori verrebbero spesi in beni di consumo (pane, vestiti, affitto), stimolando così la domanda in altri settori dell’economia (l’effetto “moltiplicatore”) e rimettendo in moto la macchina.

L’establishment di Bruxelles sembra aver frainteso questo paradosso. La spesa per la difesa, infatti, è peggio che scavare e riempire buche. Scavare buche è (economicamente parlando) neutrale: si sprecano ore di lavoro, ma non si sottraggono materiali preziosi alla produzione civile. Costruire un carro armato, invece, sottrae acciaio, semiconduttori, ingegneri qualificati e terre rare che avrebbero potuto essere utilizzati per costruire un’auto elettrica, un treno ad alta velocità, un impianto di pannelli solari o un dispositivo medico.

È una distorsione allocativa delle risorse. In un momento in cui l’Europa lamenta la carenza di manodopera qualificata e la dipendenza da materie prime critiche, decidere di dirottare queste scarse risorse verso il bene meno produttivo immaginabile è una strategia suicida. Il fatto che i leader europei non lo capiscano, e che i diplomatici lo vendano come una soluzione alla disoccupazione, dimostra la loro totale disconnessione dalla realtà economica.

Conclusione: L’Abbraccio Mortale

L’idea dei politici mainstrea per battere i populisti in Europa è quello di rubarne i temi, senza però sapere, o volere, risolverli. Un colpo di genio perfettamene in linea con l’Europa di oggi.

Sulla migrazione, come nota l’articolo, leader socialisti come Mette Frederiksen adottano ora idee un tempo tabù (processare i richiedenti asilo fuori dall’UE), riecheggiando il “Schengen 2.0” di Viktor Orbán del 2016. Sull’agenda verde,  si cerca di annacquarla sotto la pressione della destra, senza avere il coraggio di dire che era completamente sbagliata. Sulla casa e la difesa, tentano di proporre soluzioni che, come abbiamo visto, sono o ipocrite o economicamente disastrose.

Il vertice di Bruxelles non è una controffensiva. È un’ammissione di sconfitta intellettuale. I partiti mainstream (PPE e S&D) hanno fallito. Hanno creato una crisi abitativa attraverso politiche energetiche e migratorie sconsiderate. Ora, per “salvare” l’economia, propongono di investire trilioni nel settore economicamente più sterile, sottraendo risorse vitali all’industria civile.

Non hanno soluzioni ai problemi che hanno creato. La loro unica strategia rimasta è una brutta copia delle politiche nazionaliste, svuotata di qualsiasi coerenza ideologica e, soprattutto, di qualsiasi competenza economica.

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