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Altro che Libia, dopo i Marò i soldati italiani hanno paura di sparare! (di Antonio Maria Rinaldi)

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Diciamolo chiaramente: dopo la nota vicenda indiana dei nostri Marò i soldati italiani hanno paura di dover usare le armi anche in operazioni di semplice difesa e tantomeno di peace-keeping sotto l’egida dell’ONU. Perciò non ci meravigliamo se si ripeteranno episodi come quello avvenuto recentemente, dove una nostra motovedetta della Guardia Costiera disarmata è stata costretta, da una banda di criminali scafisti in acque internazionali, a riconsegnare il barcone appena sequestrato sotto la minaccia dei Kalashnikov. In questo episodio quanto ha pesato la vergognosa vicenda dei Marò? Inviamo in teatri di guerra motovedette delle nostre forze armate prive di armamento di difesa e non perché i nostri comandi militari siano degli sprovveduti, ma solo perché NON HANNO IL SUPPORTO E LE AUTORIZZAZIONI DELLE ISTITUZIONI POLITICHE ITALIANE!

Figuriamoci se dovessimo solo immaginare una spedizione militare in Libia in piena regola con l’invio iniziale di non meno 5.000 soldati per “mettere sotto controllo” e neutralizzare l’esplosiva situazione che si è creata per mano dell’ISIS su un territorio grande quasi 6 volte l’Italia! Non abbiamo nessuna regola d’ingaggio certa e codificata e la magistratura nostrana sempre pronta ad aprire un fascicolo da tempistica biblica dagli esiti più che incerti, appena si usano le armi anche per sparare con una cerbottana in aria. Chi si azzarderebbe a sparare un solo mortaretto nella certezza di sollevare un putiferio nella madrepatria ad iniziare da una stampa complice e supina che li farebbe passare subito dalla parte del torto?

Per non parlare poi se ci scappa il morto: basta sfogliare la cronaca di un qualsiasi giornale e leggere dell’odissea del povero benzinaio Stacchio, reo di aver esercitato una più che legittima difesa rischiando la propria pelle per salvare quella della giovane commessa, ed invece incriminato per eccesso colposo di legittima difesa, per capire come siamo combinati. In altri paesi, anche a noi vicini, avrebbe invece ricevuto certamente onorificenze dalla comunità e dalle istituzioni e non costretto a passare il resto della propria vita a difendersi nelle aule dei Tribunali. Cosa succederebbe in caso di scontri armati con i ribelli? Magari ci sarebbe anche qualche politico disponibile a far pagare a spese dello Stato italiano i funerali al “povero” terrorista caduto perché il nostro soldato (per fortuna) è riuscito a sparare per primo!

I nostri militari ormai sono affetti dal complesso di sparare perché non c’è dietro uno Stato pronto a “coprirgli” le spalle, anzi per un certo aspetto lo Stato è considerato il loro primo nemico, disponibile ad abbandonarli al loro destino all’insorgere del più piccolo problema. E questa vera e propria inspiegabile “perversione”  autolesionista è perfettamente percepita dai nostri potenziali avversari che se approfittano a loro vantaggio che non perdono l’occasione per sbeffeggiarci. Pensate che i soldati inglesi, francesi, per non parlare di quelli americani, non si avvalgono a supporto tutta la propria nazione e con essa anche quella incondizionata delle istituzioni? Se quei Marò fossero stati di questi paesi come si sarebbe comportata l’India nei loro confronti?

Ogni volta che d’ora in poi si presenterà l’occasione di dover usare le armi, state pur certi che i nostri soldati ci penseranno cento volte, giusto il tempo per concedere all’avversario di prendere meglio la mira per consentirgli di centrare un colpo piazzato in mezzo alla fronte e tutto questo grazie a dei politici cialtroni e mezze tacche che non hanno saputo difendere i propri uomini in prima linea nel pieno svolgimento della missione assegnata. La vergognosa decisione di riconsegnare alle autorità indiane i nostri Marò, già tornati in Italia, rimarrà indelebile negli annali come uno Stato abbandona i propri uomini. Ma d’altronde cosa avremmo dovuto aspettarci da personaggi che non hanno mai perso l’occasione per svendere il proprio Paese su ogni fronte invece di tutelarlo?

Certo se avessimo almeno una diplomazia domestica all’altezza della situazione o quella europea non neutralizzata dall’improvvida scelta del governo Renzi di affidare il ruolo alla “dilettante” (chiedo scusa ai dilettanti!) Federica Mogherini, neanche presente nelle cucine al delicatissimo summit di Minsk dove in ballo c’era la stabilità e la sicurezza dell’Europa, forse avremmo potuto sperare in una soluzione negoziale e pacifica. Resta pertanto l’opzione militare, ma con le incognite di uno Stato cialtrone che invia i propri uomini allo sbaraglio senza le più che minime certezze e garanzie. Un po’ come quando inviammo i nostri Alpini in Russia equipaggiati con le scarpe di cartone o l’eroica Folgore a combattere i carri inglesi ad Al Alamein armati solo di coraggio e  bottiglie di benzina!

Nel frattempo che il nostro Paese si interroghi sul da farsi in Libia e soprattutto capisca che sono necessarie prima di tutto regole certe su come comportarsi sul campo delle operazioni, il funambolo Renzi, affinchè l’Italia stessa non si trasformi in un campo di battaglia con l’assenza assordante dell’Europa, provveda almeno a un blocco navale nel Mediterraneo a tutela delle nostre coste per evitare non più un’invasione di poveri disperati profughi migranti, a cui va tutta la nostra solidarietà, ma da parte di orde di pazzi fanatici invasati tagliateste che non aspettano altro di farci rinnegare 3000 anni di nostra civiltà!

Dei 4000 e passa migranti tratti in salvo dalla nostra Marina nelle ultime 48 ore, siamo certi che non ci siano cellule di terroristi addestrati a qualche atto terroristico? O dobbiamo attendere che succeda qualche strage anche da noi per poi prendere delle decisioni in tal senso? 

Ma forse è già troppo tardi per colpa di un governicchio prepotente e arrogante che preferisce mostrare i muscoli dopati da una legge elettorale, dichiarata illegittima, per stravolgere la carta Costituzionale in sedute notturne che per preservare da pericoli immani e irreversibili il nostro Paese!

 

Antonio Maria Rinaldi


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