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Libano: fallisce l’elezione del presidente, paese nel caos

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Giovedì il Parlamento libanese ha fallito per l’ottava volta consecutiva l’elezione di un nuovo presidente, dato che la maggioranza parlamentare non trova un accordo su nessuno dei candidati

Durante il primo turno di votazioni di giovedì, nel Parlamento di 128 seggi sono stati espressi 111 voti, con 52 legislatori che hanno votato scheda bianca, mentre 37 hanno votato a favore di Michel Moawad, figlio del defunto presidente René Moawad.

I 37 voti espressi a favore di Moawad sono un calo rispetto alla sessione della scorsa settimana, quando 42 legislatori avevano votato per il candidato, sostenuto dal blocco anti-Hezbollah composto dal partito Forze Libanesi (LF), dal Partito Socialista Progressista (PSP), dal partito Kataeb e da alcuni legislatori “indipendenti”. Alcuni deputati hanno anche scritto nomi farlocchi, con un voto espresso per il presidente socialista eletto del Brasile Luiz Inacio Lula da Silva. Dopo la sessione di voto, il presidente del Parlamento Nabih Berri ha annunciato che la prossima settimana si terrà il nono tentativo di elezione.

La presidenza libanese, riservata alla religione cristiano-maronita del Paese dal Patto nazionale del 1943, è rimasta vuota dalla fine del mandato di Michel Aoun a settembre, dopo sei anni di potere. Il partito “Fedeltà alla Resistenza” di Hezbollah, insieme ai suoi alleati del Movimento Amal e del Movimento Patriottico Libero (FPM), si oppongono alla candidatura di Moawad. I legislatori di Hezbollah, in particolare, hanno sostenuto che il loro candidato preferito alla presidenza è il leader del Movimento Marada, Suleiman Frangieh.

Si è cercato allora di eleggere  un candidato che fosse almeno compatibile a tutto il  blocco vicino a Hezbollah, ma i partiti vicini agli Stati Uniti e ai sauditi, come l’LF, si sono opposti. Il leader politico cristiano Samir Geagea ha dichiarato all’inizio della settimana che “il dialogo con [Hezbollah e i suoi alleati] è una perdita di tempo”. In risposta a questa posizione divisiva, il leader del PSP Walid Jumblat ha definito “assurde” le osservazioni di Geagea e ha affermato che “parlare con tutti i partiti è necessario per eleggere un nuovo presidente”.

Secondo l’articolo 49 della Costituzione libanese, un candidato alla presidenza viene eletto conquistando la maggioranza dei due terzi del Parlamento al primo scrutinio – 86 membri, lo stesso numero richiesto per il quorum legale – o con una maggioranza semplice di 65 voti nei turni successivi.

Finora, nessun candidato è stato in grado di assicurarsi il sostegno di un numero sufficiente di legislatori, né al primo né ai successivi turni di votazione. L’elezione dell’ex presidente Aoun nel 2016 è avvenuta dopo più di due anni di vuoto al palazzo presidenziale, quando i legislatori hanno fatto 45 tentativi falliti prima di raggiungere un consenso sulla sua candidatura.

A confondere ulteriormente le acque, Stati Uniti, Francia, Qatar e Arabia Saudita hanno espresso il desiderio di vedere il comandante delle Forze armate libanesi (LAF), Joseph Aoun, nominato nuovo presidente del Libano.

Dal 2019, la nazione levantina sta affrontando quella che la Banca Mondiale descrive come la peggiore crisi economica degli ultimi 150 anni, causata dalla corruzione dilagante nel settore finanziario. Un vuoto di potere prolungato non farebbe che aggravare la situazione, dal momento che Beirut non è attualmente in grado di attuare le riforme radicali richieste dai finanziatori internazionali come condizione per il rilascio di prestiti per miliardi di dollari.

In occasione di un forum organizzato il 4 novembre presso il Wilson Center, l’assistente del Segretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente, Barbara Leaf, ha avvertito che l’attuale situazione in Libano potrebbe portare a una “completa disintegrazione dello Stato e al collasso delle sue forze di sicurezza”.

Leaf ha aggiunto che, man mano che la crisi diventa più insostenibile, si aspetta che i legislatori libanesi facciano le valigie e partano per l’Europa, abbandonando il Paese come “insalvabile”. “Stiamo facendo pressione sui leader politici affinché facciano il loro lavoro, ma niente è efficace quanto la pressione popolare. Prima o poi, la gente si ribellerà”, ha sottolineato Leaf.

Ha aggiunto che il crollo permetterà al Libano “di essere in qualche modo ricostruito dalle ceneri, liberato dalla maledizione di Hezbollah”. Il funzionario statunitense ha concluso che gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita condividono la stessa visione per il Libano e stanno cooperando per realizzarla, ammettendo di essere alla base di una strategia che vuole, oggettivamente, condurre al caos.


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