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L’Europa va ricostruita (con meno egoismo e lo spirito dei padri fondatori) per riprendere a crescere

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Pubblichiamo questo articolo nella nostra Rassegna Stampa di Guido Gentili, per il Sole 24 Ore, L’Europa va ricostruita (con meno egoismo e lo spirito dei padri fondatori) per riprendere a crescere

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Europa da rivedere, se non da ricostruire daccapo. Dietro i timidi segnali di ripresa, s’affaccia prepotente il confronto sull’adeguatezza delle politiche “rigoriste” e sulla stessa costruzione dell’euro. Certezze considerate fin qui considerate granitiche evaporano di fronte alla constatazione che la “crescita”, quella vera, stenta. Era “rigorista” l’Olanda, quinta maggiore economia dell’eurozona, ora scopertasi ai livelli italiani, con il Pil che scenderà dell’1,8% nel 2013. E proprio il premier Enrico Letta, europeista a tutto tondo, accelera ora sulla revisione critica. Non lo convince l’eurorigorismo dei “compiti a casa”, afferma che bisogna cambiare strada, mentre la Cancelliera tedesca Angela Merkel, a un passo delle elezioni politiche, difende la sua ricetta e spiega che l’eurocrisi non è finita. Ma sul Sole 24 Ore un altro tedesco, il consulente strategico Roland Berger, parla dell’introduzione “precoce” dell’euro come di un “tragico errore”. Col risultato che la moneta unica, strumento principale di integrazione europea, “sta dividendo i paesi membri e spaccando le società nazionali“.

Ma dove ricominciare? In uno studio recentissimo (“Il debito dell’Europa con se stessa, analisi e riforma della governance europea di fronte alla crisi”) che compare sul sito, Luca Fantacci, docente di scenari economici e di storia delle crisi finanziarie all’Università Bocconi, e Andrea Papetti spiegano che il tracollo è stato evitato ma che non si riesce ad innescare la ripresa. Perché è sbagliata la diagnosi che imputa la crisi alla fragilità dei conti pubblici dei paesi “periferici” senza “riconoscere la radice del problema, che sta negli squilibri dei conti esteri che dividono l’Europa tra creditori e debitori”.

L’errore non è stato insomma nella creazione della moneta unica, ma nell’aver affidato ai mercati finanziari il compito di una “unificazione europea che ha imposto di pensarla ed attuarla in termini di una uniformazione”. La nuova governance (Six pack, Fiscal compact e Two pack) è lo specchio regolatorio di questa scelta, che non sembra poterci condurre molto lontano. Il problema è di struttura, come si dice. Fantacci e Papetti spiegano che dalla nascita dell’euro è sorta una divergenza tra paesi membri in termini economici reali proprio mentre non sembrava esistere alcuna differenza tra loro in termini finanziari. “Quando anche i mercati finanziari hanno iniziato a distinguere tra paesi, lì è emerso con forza il problema delle bilance dei pagamenti che già si era palesato nella parte corrente, disincantando dalle narrazioni sulla convergenza e soprattutto dall’assunto che le bilance dei pagamenti all’interno dell’unione monetaria non contassero”. Risultato: ora l’Europa si trova a fronteggiare uno squilibrio interno, una stàsis, che è insieme stagnazione e guerra intestina. Per non aver saputo guardare in faccia la realtà per quella che è, potremmo aggiungere.

L’analisi di Fantacci si inserisce a pieno titolo nel dibattito sulle riforme di struttura del modello di costruzione europea dimostratosi insufficiente e divisivo. In Italia resta attuale anche l’appello lanciato pochi mesi mesi fa da diverse personalità tra cui i professori Paolo Savona, Mario Sarcinelli e Pellegrino Capaldo per un nuovo Trattato europeo che riformi l’architettura istituzionale di un’Europa che rischia, in assenza di correzioni profonde, la “dissoluzione”.

In concreto, lo studio di Fantacci e Papetti –mentre la Fed americana e la Bank of England si sono spinte fino al punto di legare la politica monetaria all’andamento dell’occupazione- guarda alla BCE come possibile leva di ulteriore innovazione dopo il programma OMT voluto da Mario Draghi (su cui tra poco si esprimerà però la Corte Costituzionale tedesca) giudicato positivamente visto che così anche l’Europa “ha qualcosa che assomiglia a un prestatore di ultima istanza che le consente, all’occorrenza, di rifinanziare debitori in difficoltà semplicemente stampando moneta”.

La proposta per la BCE viene definita “moderata” e non “radicale”. Si tratterebbe di creare presso la banca centrale una nuova fonte di finanziamento (Target 3) ispirata alla Clearing Union di Keynes capace di fornire alle banche “gli incentivi adatti per convogliare il denaro creato ad hoc dalla BCE all’economia reale”.
Nulla di dirigistico, nelle intenzioni dei proponenti. Piuttosto “un semplice cambiamento nelle operazioni di rifinanziamento effettuate dalla BCE in modo da distinguere i costi di rifinanziamento per le banche a seconda delle destinazioni d’uso: un costo più alto per gli investimenti di portafoglio, uno più basso per scambi commerciali e investimenti diretti all’interno dell’UEM”. Un modo, in definitiva, per agevolare (all’interno) il riequilibrio tra i paesi membri cosi che possano tornare a farsi credito a vicenda responsabilmente. Una nuova, vera casa comune contro quella “paura dell’ignoto” che ha finito per scatenare il rigorismo inefficiente e divisivo.

 

Nota di Gpg: reputo che la proposta di cui sopra non sia in grado di eliminare i cosidetti “squilibri” che gli stessi autori individuano come causa primaria della crisi, ma solo di attenuarne le dinamiche. Come noto (a pochi a dire il vero, e neanche a me fino ad un paio di anni fa), in un area valutaria ottimale gli squilibri vengono gestiti attraverso: 1) Mercato del Lavoro unitari  2) Sistema di Trasferimenti interni compensativo  3) Sistemi fiscali, legislativi e giudiziari armonizzati. La proposta di cui sopra non “aggiusta” nessuno dei 3 punti di cui sopra, per cui non e’ risolutiva. E’ comunque una “pezza”. La cosa positiva e’ che dell’argomento “squilibri” ormai se ne parla a viso scoperto anche negli ambienti “Euroentusiasti”, il che e’ un bene.

 

By GPG Imperatrice

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