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L’EUROPA DELL’AUSTERITY? ARRIVA SEMPRE IN RITARDO. E LA GRECIA COLLASSA. (di Francesco De Palo)

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10345115_10154027491449386_1590743615_nAncora una volta l’Unione Europea arriva in ritardo – dolosamente o colposamente – su fatti e circostanze.

Dopo tre anni d’implementazione di un memorandum suicida che ha incaprettato la Grecia condannandola all’alimentazione all’idratazione forzata dalla parte della troika, senza sanarne le piaghe, in questi giorni l’ennesima trattativa partorisce una boutade: quella del default controllato per Atene.

Peccato che la medesima strada fosse stata proposta nel 2012 dall’allora Nobel per l’economia, Christopher Pissarides, già docente alla London School of Economics. L’economista, mentre l’Europa tentava di capirci qualcosa dalle doppie elezioni elleniche che consacrarono Tsipras e Syriza, indicò a freddo l’opzione del default ammortizzato: ovvero con la preliminare certezza del cambio euro/dracma, con una serie di argini già piantati per dirigere “il fiume” del nuovo vecchio conio, come ad esempio la gestione dei contratti firmati, i debiti pregressi, gli interessi e soprattutto la possibilità di usare quella valuta per operare due macro cambi di passo: attirare investimenti stranieri in loco e avviare una politica industriale per stimolare la produzione interna limitando l’import, che in Grecia è altissimo (si importano persino cotone e olio, presenti nel Paese da centinaia di anni).

Nel giugno del 2012, però, le parole di Pissarides vennero bollate come spazzatura da quegli stessi soloni che per tre anni hanno attirato il vascello ellenico non in porti sicuri, ma nel marasma dell’austerità imposta da terzi: con il risultato che oggi un terzo dei nuovi poveri greci sono imprenditori, che il ceto medio è diventato o sta diventando quasi povero, che i dipendenti pubblici non sono diminuiti (né sotto la troika né con Tsipras), che le riforme sono ancora in alto mare, che le privatizzazioni sono in stand by proprio per capire come condurle, con chi e se in euro.

Se la proposta di Pissarides fosse stata messa in pratica quando le casse di Atene non erano in profondo rosso come oggi, tutti gli Stati membri avrebbero risparmiato alla voce aiuti da memorandum: l’Italia ad esempio è esposta per 40 miliardi. Ma si scelse, anziché la logica comunitaria e sociale, così come vergato dai padri fondatori dell’Ue, l’egoismo di chi a quell’epoca ha messo una seria ipoteca tanto sui conti greci che su quelli europei.

Ma commettendo un doppio errore: primo, una Grecia senza euro nel 2012 avrebbe potuto paradossalmente essere una cavia positiva anche per gli altri paesi piigs, mentre da Berlino lo evitarono accuratamente; secondo, permettere ad uno solo di avere in mano il comando di tutti, ha prodotto danni e non benefici, con la differenza che oggi regole uguali per paesi ancora diversi sta mettendo a repentaglio il senso stesso dell’Unione.

Un’Unione che rispetto a dieci anni fa ha visto dimezzarsi il suo pil rispetto al resto del mondo, che non ha una politica comune, che sceglie di non decidere come sulla Libia e le primavere arabe, che non riesce a dialogare con l’Eurasia, che fa pasticci diplomatici come la mancata presenza di lady Pesc Mogherini al vertice Putin-Merkel-Hollande.

In tutto ciò la portavoce del presidente della Commissione Juncker dice che alla Grecia “non daremo nuove soluzioni, registriamo progressi ma ancora non ci siamo”. Ottima notizia, forse a Bruxelles ignorano che Atene sta per fare richiesta di adesione alla Banca Brics, il concorrente euroasiatico del Fmi con Mosca e Pechino già in fase avanzata per le privatizzazioni elleniche. A largo di Creta, infatti, c’è gas per circa 400 miliardi di euro, come da stime tedesche. Capito?

Francesco De Palo

twitter@FDepalo


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