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Lettera aperta a Giovanni Floris

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Egregio Giovanni Floris,

che il Paese si trovi sull’orlo di un precipizio non è una novità, quello che però sconcerta è che a ricordarcelo siano i partiti della Seconda Repubblica, PD e Forza Italia, e gli euroburocrati, tutti omologati alle visioni economiche della destra liberale e liberista e che ci hanno portato a questa situazione.

Per non parlare poi dell’accusa di scarsa esperienza al duo Di Maio – Salvini fatte da chi, come Carfagna e Gelmini oppure Boschi e Madia per esempio, prima di entrare in politica non mi sembra abbia fatto mirabilie.

Questi signori, nonostante le loro politiche suicide, non fanno altro che dire che l’esperienza giusta per guidare l’Italia è la loro.

Prima che la memoria degli italiani svanisca del tutto provo però a ricordare cosa ci hanno lasciato in eredità gli ultimi cinque governi: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.

A dire il vero dovrebbe farlo lei.

Diamo quindi una rapida occhiata all’ultimo rapporto annuale Istat.

Il PIL dal 2010 a oggi è cresciuto dello zero virgola qualcosa, nello stesso periodo in Germania è cresciuto quasi del 20%.

I timidi incrementi di PIL degli ultimi tempi ci vedono fanalino di coda nell’area euro.

Il divario nord – sud è aumentato.

L’occupazione in agricoltura, manifattura e costruzioni è diminuita, nei servizi è stabile.

Il reddito medio pro-capite nel 2018 è lo stesso del 2008.

L’indice di disuguaglianza sociale è aumentato e l’indice di povertà assoluta è raddoppiato.

L’indice di criminalità è aumentato del 40% e l’indice di abusivismo edilizio è quasi raddoppiato.

Alla relazione ISTAT aggiungiamo che Il debito pubblico era nel 2010 1.843 miliardi di euro e oggi supera i 2.330 miliardi, in sintesi il rapporto debito/PIL è peggiorato di quasi il 25% dal 2010 ad oggi, diminuendo la nostra capacità di rimborsare il debito.

Quasi il 51% dei dipendenti pubblici ha più di 55 anni, contro il 20% della Germania, e gli occupati sono circa il 58% contro una media OCSE del 70% e il 75% della Germania.

In altri termini tutti gli indicatori mostrano che il Paese è messo peggio di come era messo nel 2010, alla vigilia del governo Monti e dello spread alle stelle. Quello che maschera la triste realtà è il quantitative easing di Draghi, ma a breve la ricreazione sarà finita.

Nel corso delle sue innumerevoli puntate ha mai posto qualche domanda a Monti, Cottarelli o uno dei tanti alfieri del pensiero unico europeo in economia come mai nonostante le loro cure l’economia e la coesione sociale peggiorino allontanandoci sempre più dai parametri europei che invece, stando a quanto dicono loro, dovremmo raggiungere seguendo le loro ricette?

In compenso si è fatta una macelleria sociale senza precedenti oscurando e negando i diritti delle giovani generazioni, job act, e allungando in modo fraudolento e immotivato l’età pensionabile.

Sì, fraudolento! Perché sulle pensioni si è costantemente mentito agli italiani.

In primo luogo non è vero che le pensioni drenino risorse pubbliche. Al contrario, considerando che i pensionati pagano le tasse, come spiega molto bene Alberto Brambilla sul Corriere della Sera del 14 dicembre 2017, il sistema pensionistico italiano (contributi pensionistici – pensioni pagate al netto delle tasse) è uncontributore netto per le casse dello Stato per circa 30 miliardi di euro l’anno.

Ci raccontano che l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL in Italia (Sole 24 Ore del 26 giugno 2015) è del 16% contro il 12% della Germania. Si dimenticano però di dire che le tasse sulle pensioni in Germania sono praticamente nulle. Se ripetiamo il confronto utilizzando le pensioni pagate al netto delle tasse il rapporto delle pensioni pagate sul PIL in Italia dal 16% passa al 12%. Ossia, in termini omogenei, la stessa incidenza della Germania e sotto la media UE.

Chiaro? Le è chiaro il punto? Le è chiaro perché in Europa ci dicono che spendiamo troppo in pensioni? Qualche domanda a Cazzola o Fornero sulla omogeneità della tassazione sulle pensioni e del trattamento dei dati in Europa la può fare per cortesia?

Ma i problemi lasciati in eredità dai partiti della Seconda Repubblica non finiscono qui.

Nel 2009 Li Ka Shing, il proprietario fondatore dell’imprese logistica più grande al mondo la Hutchison, di Hong Kong, insieme alla Evegreen, altro colosso della logistica di Taiwan, voleva investire 500 milioni su Taranto per mettere il suo porto in competizione con il distretto portuale di Rotterdam – Anversa. Nessuno gli ha dato retta! Passa il tempo e finalmente Fabrizio Barca nel giugno 2012, all’epoca ministro della coesione sociale, firma un accordo di programma per lo sviluppo del porto con Li Ka Shing.

Nel 2013 il governo cinese vara il maggiore progetto di infrastrutture mondiali chiamato “le nuove vie della seta” che vale un trilione e mezzo di dollari di investimenti. Taranto è uno dei nodi strategici di questo progetto. Passa il tempo ma Letta, Renzi e Gentiloni nulla fanno e nel giugno del 2015 i cinesi si stufano abbandonano Taranto e decidono di investire nel porto del Pireo. Per cosa poi? Per quattro spiccioli di infrastruttura da fare … mentre i 70 miliardi di fondi europei per il mezzogiorno languono inutilizzati, persi nei cassetti di regioni e ministeri. Agganciarsi alle nuove vie della seta in modo fattivo e intelligente significa due milioni di posti di lavoro al Sud!

Può chiedere a Calenda e Del Rio quali sono i contenuti dell’accordo Barca – Li Ka Shing per misurare inadempienze e menzogne, ma, soprattutto, per vedere se e cosa si può recuperare di quell’accordo?

Fu il primo governo Prodi del 1996 che avviò la politica della riduzione delle spese correnti, a prescindere dalla loro utilità, della dismissione del patrimonio pubblico e dell’azzeramento degli investimenti infrastrutturali con l’unica visione salvifica per il nostro Paese di entrare nella moneta unica.

Da allora, tutti i governi del PD e di Forza Italia che possiamo entrambi definire appartenere alla stessa area di governo della destra liberale, hanno perseguito la stessa visione non modificando l’assetto delle infrastrutture fisiche, amministrative e culturali dell’Italia, le uniche cose che ci consentirebbero di esseree rimanere in Europa a testa alta, avvitandosi invece nella macelleria sociale per fare cassa e nel falso mito liberale del meno stato più mercato per fare sviluppo e crescita.

Gli stessi concetti che hanno guidato la troika nel gestire la crisi greca e che, come spiega benissimo Edward Geelhoed in un articolo riportato su Internazionale nel febbraio 2018, farebbero ben meritare un processo per crimini contro l’umanità a Schauble, Dijsselbloem, Junker e Lagarde.

Tanto per la cronaca il PIL greco dal 2010 a oggi è diminuito del 25%, diminuendo così la capacità di ripagare il debito. In compenso al FMI, dove si è formato Cottarelli, il mito degli intellettuali del partito della destra neoliberista, il PD, continuano a percepire laute pensioni a partire del 57esimo anno di età.

Può chiedere ai suoi ospiti eccelsi fissi quali sono state le ricette economiche applicate in Grecia dalla Troika e che risultati hanno portato?

Le faccio infine presente che non potete attribuire il termine populismo a tutto quello che non vi piace e che non ha l’etichetta del PD sopra. Rottamazione, vendita su ebay delle auto ministeriali, elargizione degli ottanta euro sono cose che rispondono appieno alla definizione di populismo e sono cose fatte da Renzi.

Forse Scalfari ha ragione nel dire che la plebe è salita, o salirà al potere, ma chissà perché questa plebe mi pare tanto meglio degli abituali e saccenti ospiti del suo programma che si sentono sempre esentati dal dimostrare con un minimo di evidenze, se non scientifiche, almeno empiriche la bontà di quanto propongono e fanno.

Credo che debba invece essere chiaro che se vogliamo restare in Europa dobbiamo fare una inversione a u su tutta la politica economica di governo, a partire dalle infrastrutture al Sud,recuperando l’accordo di Barca e il rapporto con i cinesi, riformando la pubblica amministrazione, velocizzando il fisco e la giustizia e ridando ruolo e dignità allo Stato come guida dell’economia.

Soprattutto sia chiaro il tema delle infrastrutture al Sud. Nessuno può e deve cadere nell’equivoco che il Sud abbia votato per il M5S per la parola reddito ma lo ha votato per la parola cittadinanza.

Sarebbe ora, dopo 160 anni dall’Unità D’Italia, che i cittadini del Sud avessero le stesse opportunità da giocarsi dei cittadini del Nord.

Con l’occasione mi permetto di dare un piccolo suggerimento a Di Maio e Salvini.

Lasciate perdere la costruzione del governo che, con il margine risicato al senato e tutti i poteri forti o sedicenti tali contro, avrebbe vita grama e breve. Chiedete le elezioni, affinate un programma comune che tenga anche in maggiore conto l’indispensabile necessità delle infrastrutture al Sud e presentatevi con una alleanza alle prossime elezioni per vincerle da soli.

Grazie per l’attenzione

Pietro De Sarlo


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