Attualità
Lettera al Presidente della Repubblica Macron in seguito alla lettera inviata (da lui) ai francesi (di Jacques Sapir, traduzione di Viola Ferrante)
Questa è la traduzione della lettera che Jacques Sapir insieme ad altri hanno sottoscritto in risposta all’appello di Macron rivolto ai francesi a seguito delle dimostrazioni dei Gilet Gialli. È interessante perché oltre a evidenziare i veri motivi della rivolta popolare può essere letta anche in chiave italiana rispetto alle politiche che l’UE costringe i paesi membri ad adottare anche se poi, visti i risultati greci, provocano i mea culpa forneriani di Juncker – fuori tempo massimo – funzionali alle europee e affatto credibili.
Lettera al Presidente della Repubblica Macron in seguito alla lettera inviata (da lui) ai francesi
Signor Presidente della Repubblica,
Avete inviato a tutti i francesi una lettera sul “dibattito nazionale” che avete organizzato. A questa lettera, vogliamo rispondere. Alcuni risponderanno in azioni, naturalmente, sia che si tratti di dimostrazioni, sia di altri per iscritto.
Signor Presidente, voi avete, certo, ascoltato la rivolta che rampogna. D’altronde se non fosse stato così, non avreste mai scritto la vostra lettera. Ma, chiaramente, non l’avete intesa. Lo vogliamo dimostrare dalla scelta dei temi che proponete in questo “dibattito”, una scelta che esclude attentamente i “Soggetti che sono arrabbiati”. Voi volete che noi discutiamo delle tasse, delle nostre spese e azioni pubbliche, dell’organizzazione dello Stato e delle Istituzioni pubbliche, della transizione ecologica e infine della democrazia e della cittadinanza. Ma avete omesso con cura i temi del potere d’acquisto, l’ineguaglianza della ricchezza, così come avete omesso la costruzione europea, che menzionate altrove. Nella vostra lettera affermate “Non ho dimenticato di essere stato eletto per un progetto, su degli orientamenti importanti a cui resto fedele“. Fate finta di ignorare, intenzionalmente o meno, che la vostra elezione non è stata fatta su un “progetto“. È ovvio che siete stato eletto solo perché l’altra candidata, Marine Le Pen, è stata respinta. Questa ambiguità era evidente nella vostra elezione. Il vostro errore è stato non riconoscerla. I francesi non vi hanno mai dato un mandato per portare a termine le riforme che avete fatto. L’attuale rivolta è il prodotto diretto e logico di questa situazione.
Signor Presidente, la vostra azione da quasi due anni è stata una serie di attacchi ai più deboli, contro i lavoratori. Attacchi quindi contro i servizi pubblici che sono tanto più indispensabili quanto il reddito è debole, ma anche contro il diritto al lavoro. Attacchi ancora che hanno portato a una serie di aumenti delle disuguaglianze, che l’INSEE riconosce. Infine, con le vostre dichiarazioni, avete fatto subire una conseguente umiliazione agli umili e ai più poveri, avete dato continue dimostrazioni del vostro disprezzo. Ne derivano le forme, a volte violente, dell’attuale rivolta. Quando una situazione diventa insopportabile, non la si può più sopportare. Temete il furore del popolo, Signor Presidente. Ciò che esso esprime nel rifiuto della vostra persona, nella richiesta delle vostre dimissioni che sale nei “quaderni delle lamentele”, non è semplicemente il rifiuto della vostra politica, è il rifiuto delle umiliazioni.
La vostra politica è, inoltre, solo la traduzione, nel contesto particolare della Francia, delle raccomandazioni dell’Unione europea. Quando la parola sovranità esce dalla vostra bocca, è solo per parlare dell’Unione europea e mai della Francia. Volendo sostituire un potere tecnocratico alla sovranità popolare, voi girate le spalle alle fondamenta stesse della nostra Repubblica, che pretendete di difendere. Come i vostri predecessori, pensate che il trucco del trattato di Lisbona, che annulla il referendum del 2005, costituisca un vantaggio. Questa è una presunzione pericolosa. Temete di finire come sono finiti tutti coloro che hanno ignorato o disprezzato la sovranità del popolo di Francia.
Signor Presidente, voi intendete continuare il vostro cammino nefasto. Dopo aver attaccato la legge sul lavoro, la SNCF, ora ci sono gli attacchi contro il sistema pensionistico e la sicurezza sociale che i vostri esperti stanno preparando. Questi attacchi, se fossero portati a compimento, peggiorerebbero la situazione dei più modesti, peggiorerebbero la povertà che aumenta nel nostro paese anche se quest’ultima non è poi mai stata così benestante. Se avesse un’oncia di buon senso, un atomo di onestà, queste questioni avrebbero dovuto far parte del “dibattito nazionale”. Davanti alla portata del movimento che sta vivendo la Francia, dovreste aver riconosciuto che una tale sfida alle votre convinzioni era inevitabile. Ahimè, ovviamente non se ne farà nulla.
Noi tutti constatiamo che il problema non si ferma alla vostra politica; è il vostro comportamento e la vostra persona che sono oggi la causa dei disordini violenti che conosciamo. E questa violenza, in primo luogo, subita dal popolo, che oggi non conta più i suoi feriti, gli storpiati e domani forse i suoi morti. Di questo dovrete rispondere un giorno.
Signor Presidente, sì, il vostro comportamento pone dei problemi. L’abbiamo visto con le vostre dichiarazioni. Questa miscela di arroganza e sufficienza, di disprezzo condita di condiscendenza, è per molti negli eventi drammatici che abbiamo conosciuto dal mese di novembre. Lo vediamo ancora con il testo della vostra lettera. Essa mescola la demagogia con una evidente volontà di confusione. Voi moltiplicate le questioni secondarie per meglio trasmettere questioni importanti, alcune delle quali non sono neppure formulate. Che disprezzo scaturisce da questa lettera in cui le parole “potere d’acquisto” non appaiono mentre sono ancora la causa principale della rivolta popolare. Gli studi che avete fatto non vi daranno mai il diritto di insultare le persone. Più profondamente, insistete a credere che l’elezione vi abbia dato in proprietà un potere di cui, a dire il vero, siete solo il delegato. Oggi vi trovate di fronte a una scelta che è chiara: tornare alla ragione o trascinare il paese con voi nel caos.
Signor Presidente, vi scriviamo una lettera, che potete leggere se avete tempo. Inizia così una famosa canzone di Boris Vian, entrata nella cultura popolare. Ma noi non siamo quelli che vogliono abbandonare il nostro paese. Sono i vostri amici e voi che vi siete separati dal popolo di Francia. Questa secessione è potenzialmente piena di disgrazie per tutti. Non dubitate, la storia è tragica. Lo è soprattutto per i leader che voltano le spalle con disprezzo e costanza al popolo.
Sicuramente avete, ma per quanto tempo ancora, la forza delle armi. Ricordatevi, tuttavia, questa frase di Victor Hugo: L’ULTIMA RAGIONE DEI, LA PALLA DI CANNONE. L’ULTIMA RAGIONE DEI POPOLI, IL MATTONE.
Seguono le firme.
Traduzione di Viola Ferrante
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