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L’errore dell’Europa che il QE della BCE non può sanare

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Appena annunciata l’introduzione della manovra di Quantitative Easing (QE) scrissi un post sul mio blog che smentiva, in base alle considerazioni di eminenti commentatori e studi di economisti, l’euforia che pervadeva i nostri media ed i nostri politici.

L’ISTAT nel rapporto annuale 2015 uscito in questi giorni ci dice che per il 2015 l’effetto del QE sarà nullo e che gli effetti si vedranno dal 2016, stimando in un 0,7% l’aumento di PIL che dovrebbe provocare lo stimolo monetario. Un mese fa, sul Sole 24 Ore il giornalista economico Vito Lops notava che il QE per adesso non stava che facendo aumentare le divergenze fra i tassi d’interesse dei Paesi “core” e quelli periferici dell’eurozona. Secondo Draghi le misure della BCE “hanno fatto cadere i tassi dei prestiti bancari“. Tutti si auspicano o prevedono che tutto questo si tramuti in una maggior spesa per investimenti e consumi, dato il basso costo del denaro e la non convenienza nel tenere il risparmio investito, per lo scarso guadagno dato dai bassi tassi. Ma questi auspici e previsioni hanno un fondamento reale?

Per capirlo bisogna vedere cosa è successo in Giappone.

Il QE giapponese, la famosa “Abenomics” dal nome del primo ministro Shinzō Abe, iniziò con una politica monetaria e fiscale espansiva di tipo keynesiano: oltre all’emissione di denaro che provocò una svalutazione dello yen ed un aiuto alle esportazioni, lo Stato intraprese un programma di spesa pubblica ed investimenti finanziato dalla Banca Centrale giapponese. Dal secondo trimestre 2013 al secondo trimestre 2014 le cose sembrarono funzionare. Secondo i dati della Commissione europea nel 2013 mentre il PIL dell’Unione monetaria si riduceva di quasi lo 0,50% rispetto all’anno precedente, il Giappone conosceva una crescita superiore all’1,50%, i prezzi riprendevano a salire, dopo anni di stagnazione, con un incremento annuo del 1,70% e la domanda interna nel primo trimestre 2014 cresceva oltre il 2%, mentre gli investimenti arrivavano nello stesso periodo a crescere fino al 4,5%. Dal secondo trimestre del 2014 avvenne però il crollo: il PIL su base annua si contrasse del 7,1% e nel terzo trimestre di un ulteriore 1,6%, i consumi nel secondo trimestre crollarono del 5% e gli investimenti del 4,5%. Molti commentatori critici verso le politiche keynesiane sostennero che ciò è la prova che esse non funzionano se non nel breve periodo.

Ma cosa era successo?

Era successo che Abe, allo scopo di tenere sotto controllo l’aumento del debito pubblico, aveva deciso di perseguire una politica di stretta fiscale, aumentando l’IVA di ben 3 punti percentuali, portandola dal 5%  all’8%, e lasciando solo agire lo stimolo monetario. E’ questa manovra squisitamente classica e monetarista che provocò il crollo; diversamente da quanto ritenuto nel pensiero economico attualmente dominante la sola politica monetaria sui tassi non è sufficiente a supportare una crescita e consumi ed investimenti dipendono, i primi, dal reddito disponibile (cioè il reddito al netto delle tasse) e, i secondi, dalle aspettative di consumo, e dunque anche e soprattutto dalla politica fiscale. Insomma se non ci sono redditi e prospettive di vendita il fatto che il prezzo del denaro sia basso non porta a nuovi investimenti e consumi.

Il QE della BCE sconta lo stesso errore. La manovra espansiva monetaria non è supportata da adeguate politiche fiscali espansive per il vincolo del 3% di deficit che non permette agli Stati di investire e spendere. Il risultato è che a guadagnare dall’immissione di liquidità sono e saranno quasi esclusivamente le banche che potranno in parte ripulire i loro portafogli, i detentori di titoli che vedranno aumentare i valori reali di quelli detenuti (ovvero quel 10% stimato dalla BCE nel suo studio che ha una propensione al consumo tre volte inferiore al 50% dei cittadini più poveri dell’Unione) e le industrie di quei Paesi che esportano extra-UE, favoriti da un euro debole. Peccato che siano proprio quelli che, per esportare di più, hanno demolito la domanda interna, l’unica che rende sostenibile e duratura la crescita, quella domanda che adesso il QE vorrebbe risollevare…

Così com’è progettato quindi il QE non farà che acuire quei squilibri distributivi che sono alla base della crisi economica. Con buona pace delle previsioni e degli auspici.

 


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