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Politica

LE PRODEZZE DI PRODI

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Chiunque abbia raggiunto l’età adulta e sia vissuto in Italia sa benissimo chi è Romano Prodi. Il suo curriculum riempirebbe pagine intere. Oltre che ministro e Primo Ministro in Italia, è stato Presidente della Commissione Europea e candidato alla Presidenza della Repubblica, una carica che ha mancato per un soffio. Ma non si può dar ragione a una persona importante qualunque cosa dica. Nessuno ha autorità sufficiente per dire, ad esempio, che cinque per cinque fa ventisei.
Nel corso di un’intervista rilasciata alla “Stampa” del 24 aprile, egli ha innanzi tutto affermato, nel quadro dei problemi degli immigranti clandestini e della situazione libica, che l’origine di tutto è una “grave carenza di impegno” dell’Italia e dell’Ue. “Se l’Africa ci preoccupa è perché da troppo tempo non ce ne occupiamo”. L’Italia e l’Ue dovrebbero rimediare a questa “grave carenza di impegno” incominciando da tre priorità: ricostruire un interlocutore credibile in Libia, sostenere la crescita economica sub-sahariana, dare all’Ue una seria politica per il Mediterraneo. Il terzo punto è vago, e dunque lo si può dare per possibile: ma gli altri due lasciano a bocca aperta.
Bisognerebbe dunque “Ricostruire un interlocutore credibile in Libia”. Gli Stati europei, agendo come un sol uomo, dovrebbero imporre ai libici la propria visione politica. Ma di fatto non sembra che ne abbiano né i mezzi né l’autorità. Dovrebbero invadere la Libia, instaurare un diverso governo (anche se non è detto che ci sarebbe unanimità, in Europa, al riguardo) e infine mantenere un corpo d’occupazione a tempo indeterminato. Prodi dimentica che alla luce delle esperienze degli ultimi decenni tutto ciò appare ben poco razionale. In Iraq dieci anni non sono bastati. L’iniziativa francese di rovesciare il Colonnello Gheddafi è stata disastrosa. L’impegno americano nel Medio Oriente è stato fallimentare e presto l’Afghanistan ricadrà sotto il potere dei Taliban. È da superficiali parlare di determinare la politica di altri Paesi, nel momento in cui persino gli Stati Uniti tirano i remi in barca, checché accada nel mondo. Ed è ben difficile che, ciò che non si sente di fare l’unica superpotenza rimasta, possa farlo un’Europa frammentata, litigiosa e imbelle fino all’autolesionismo.
I ferventi di Prodi potrebbero obiettare che il professore non ha detto nessuna di queste sciocchezze ed ha cominciato con un’analisi. La Libia ha attualmente due governi, uno a Tobruk e uno a Tripoli. Quello dell’est è sostenuto da Egitto e Francia, oltre che dagli Emirati e dall’Arabia Saudita; quello dell’ovest è sostenuto dalla Turchia e dal Qatar. L’Italia e l’Europa dovrebbero esercitare una “forte pressione” (“attraverso il Consiglio di Sicurezza”!) su questi protettori per far sì che in Libia si arrivi ad un’intesa, in modo da avere l’interlocutore credibile di cui si diceva. Ma se uno Stato sostiene un governo, è perché vuole vederlo prevalere. Turchia e Qatar vogliono che ci sia soltanto il governo di Tripoli; la Francia e l’Egitto soltanto quello di Tobruk. E quanto alle “forti pressioni”, nessuno che abbia studiato storia pensa di fare facilmente paura alla Turchia.
Tutti i Paesi perseguono unicamente il loro interesse, e dell’opinione dell’Italia, anzi dell’Europa intera, non si curano affatto. Ascoltando le parole di Prodi, si ha l’impressione di sentir parlare la Regina Vittoria, al tempo del White Man’s Burden. Ma allora l’Inghilterra era la nazione più progredita del mondo ed era padrona di uno sterminato impero che colorava di rosa le carte geografiche. Attribuire gli stessi compiti all’Italia e all’Europa attuale, è come chiedere alla Macedonia di riconquistare l’impero di Alessandro Magno.
Il progetto di Prodi va oltre. Non basta bonificare la Libia, da cui ci vengono tanti disperati. Bisogna agire in Africa, “perché non ce ne occupiamo da troppo tempo”. L’Africa è il più povero dei continenti e un terzo del suo miliardo d’abitanti vive sotto il livello di povertà, con un dollaro e venticinque centesimi al giorno. Bisogna intervenire nelle regioni sub sahariane, anche a lungo termine, con consistenti aiuti, con politiche di sostegno e con investimenti. Anche qui si rimane sbalorditi. Indubbiamente l’Italia è maestra, in materia di politiche di questo genere, e infatti dopo centocinquant’anni d’unità ha reso ricco, prospero e industrializzato il nostro Meridione. E tuttavia, anche ad avere queste straordinarie capacità di organizzazione, non si vede dove oggi prenderebbe il denaro per investimenti all’estero.
La parola “investimento” include inoltre il concetto di profitto. Anche qui, l’esperienza non è incoraggiante. Se l’Italia ottenesse in Africa gli stessi profitti che ha ricavato dalla Sicilia, non rischierebbe certo di arricchirsi. Oppure bisognerebbe spiegare perché gli investimenti sarebbero più produttivi nel Burkina Faso o nella Repubblica Centrafricana che in Calabria o in Basilicata.
Che molti africani siano poveri ci dispiace. Ma, al di là di molte belle parole, non possiamo offrire nulla. Noi che non sappiamo salvare la Grecia, siamo già impegnati allo spasimo ad assicurare la nostra sopravvivenza, utilizzando quel buon senso che a qualcuno sembra mancare. E non è neanche detto che ci riusciremo.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
25 aprile 2015


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