Energia
Le nuove sanzioni USA su Rosneft e Lukoil rischiano di danneggiare tutti. I CEO del settore avvisano Trump
Sanzioni USA su Rosneft e Lukoil: i CEO avvertono di un calo dell’offerta. L’impatto su India e Cina e la cautela di Descalzi (Eni) cambiano le carte in tavola per il mercato petrolifero.

Le sanzioni imposte dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump ai due maggiori produttori russi, Rosneft PJSC e Lukoil PJSC, avranno un impatto concreto sull‘offerta globale di petrolio. L’avvertimento non arriva da analisti politici, ma direttamente dai vertici delle principali compagnie energetiche europee, riuniti alla conferenza Adipec di Abu Dhabi.
La mossa, volta a tagliare le entrate energetiche che finanziano la guerra di Mosca in Ucraina, sta già producendo effetti tangibili sulle catene di approvvigionamento globali.
L’analisi dei “Big Oil”
Le restrizioni sui due colossi russi, che insieme rappresentano circa il 60% dell’offerta del paese, non sono viste come un semplice atto formale. I leader del settore hanno espresso una preoccupazione tecnica e logistica:
- Patrick Pouyanne (CEO, TotalEnergies): Ha dichiarato che le misure restrittive causeranno ritardi nei carichi e un rallentamento generale degli scambi commerciali.
- Murray Auchincloss (CEO, BP): Ha rincarato la dose, definendo le restrizioni “serie” e confermando che stanno attivamente “smorzando l’offerta” (dampening supply).
La cautela di Descalzi: perché questa volta è diverso
Un intervento chiave è giunto da Claudio Descalzi, CEO di Eni. In un’intervista a Bloomberg TV, Descalzi ha invitato alla “massima cautela“, sottolineando una differenza cruciale rispetto alle precedenti tornate di sanzioni.
Se in passato le restrizioni non avevano causato gravi interruzioni dell’offerta (perché, in sostanza, venivano aggirate), la situazione attuale è cambiata. “Questo non è accaduto negli anni passati, ma ora se Cina e India hanno detto che vogliono conformarsi [alle sanzioni], è molto diverso”, ha affermato Descalzi.
E i fatti sembrano dargli ragione. I raffinatori indiani, i maggiori acquirenti di greggio russo via mare, stanno già valutando le opzioni e si preparano a una “lunga pausa” negli acquisti. Allo stesso modo, ci sono segnali che anche le raffinerie cinesi stiano iniziando a evitare le spedizioni russe.
Il paradosso del mercato (per ora)
Nonostante questi allarmi sulla supply, il mercato al momento sembra guardare altrove. L’impatto sui prezzi del greggio è stato finora minimo: il petrolio ha iniziato e terminato il mese di ottobre navigando intorno ai 65 dollari al barile. Se il prezzo è costante, questo è dovuto a fattori che potrebbero non permanere nel medio lungo periodo, come l’abbondanza delle riserve e la forte produzione di paesi non OPEC+.
Mentre l’offerta russa è sotto pressione, i CEO di TotalEnergies e BP (facendo eco alle recenti dichiarazioni di Saudi Aramco) non sembrano preoccupati per un crollo della domanda. Anzi, la visione resta robusta. Lo stesso Descalzi ha minimizzato i timori di un eventuale eccesso di offerta per il prossimo anno, definendolo, nel caso si verificasse, come un fenomeno “di breve durata”. Quindi le sanzioni intervengono su una situazione in cui la domanda è comunque stabile.
Domande e risposte
Perché queste nuove sanzioni dovrebbero funzionare se quelle passate hanno fallito?
La vera differenza, come sottolineato da Claudio Descalzi (Eni), non risiede tanto nelle sanzioni in sé, quanto nella reazione dei principali acquirenti. In precedenza, India e Cina avevano assorbito la produzione russa. Ora, invece, entrambi i paesi sembrano intenzionati a conformarsi alle restrizioni statunitensi. Questo cambia radicalmente lo scenario: se i maggiori clienti si ritirano, la Russia non ha dove dirottare il suo petrolio, causando un’effettiva riduzione dell’offerta sul mercato globale e non un semplice re-routing dei flussi.
Se l’offerta è a rischio, perché i prezzi del petrolio non stanno aumentando?
Il mercato petrolifero spesso reagisce con ritardo o prezza diversi fattori contemporaneamente. Al momento (fine ottobre/inizio novembre), il prezzo è rimasto stabile intorno ai 65 dollari. Questo può essere dovuto a scorte esistenti, alla percezione che la domanda globale possa rallentare (anche se i CEO non sono d’accordo), o al fatto che il mercato stia ancora “pesando” l’effettiva capacità di India e Cina di rinunciare al greggio russo a basso costo. È un equilibrio instabile: l’allarme dei CEO riguarda l’impatto fisico, il prezzo riflette l’aspettativa finanziaria.
Qual è la previsione sulla domanda di petrolio?
Nonostante le preoccupazioni sul lato dell’offerta (supply) a causa delle sanzioni, i leader delle maggiori compagnie energetiche (Total, BP, Aramco) si sono mostrati ottimisti sulla domanda (demand). Non vedono segnali di un crollo dei consumi. Anche se la riduzione dell’offerta russa e l’aumento della produzione da altre fonti dovessero creare un temporaneo eccesso di offerta (oversupply) nel corso del prossimo anno, l’aspettativa prevalente è che la domanda robusta riassorba rapidamente tale surplus, che viene quindi visto come un problema “di breve durata”.










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