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Attualità

Le nostre prigioni

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Resoconto dalla puntata radiofonica serale di una trasmissione nazionale. Si parla dell’iniziativa presa, in Veneto, di fare il contrario di quanto raccomandato dall’OMS all’inizio della pandemia. E cioè tamponi a tappeto a tutti, non solo ai sintomatici. Ma ciò che sorprende è lo stupore, un po’ incredulo e un po’ scandalizzato, del conduttore rispetto all’intervistato, responsabile di una politica sanitaria in controtendenza.

Insomma, il giornalista quasi non si capacità del coraggio di una scelta compiuta contro le indicazioni della massima organizzazione globale in tema di sanità. L’episodico è sintomatico di un fatto innegabile: cominciamo a provare meraviglia se e quando qualcuno usa il suo buon senso, la sua logica, la sua intelligenza per affrontare un problema. Muovendosi, così, in distonia rispetto ai “consigli” dell’autority di turno.

E non importa, si badi bene, che i suggerimenti siano stupidi, miopi o autolesionisti. “Lo ha detto l’authority” è diventato il mantra dell’era corrente. Un po’ come, in passato, in bocca alla casalinga di Voghera ci stava sempre l’immancabile: “L’ha detto la tivù”. Solo che oggi questa sorta di “ipse dixit” del nuovo millennio lo trovi in bocca non solo alla casalinga di Voghera, ma anche al telegiornale della sera. Ormai si ha persino paura ad esprimere un-concetto-uno frutto di una propria personale riflessione. Soprattutto senza il nulla osta di una “agenzia di riferimento”.

Uno degli effetti collaterali più straordinari dell’emergenza Covid è che ci stanno addestrando a pensare meno, anzi a disattivare proprio il cervello: l’unico “chip” sottocutaneo di cui madre natura ci ha già dotati. E di cui, a quanto pare, molti farebbero volentieri a meno. Siamo talmente bombardati da concetti come “competenza”, “fake news”, “fact checking” da nutrire un sacro terrore per la “eresia” di pensare autonomamente. Cioè di fare la prima cosa insegnata dai maestri e dai genitori  ai bimbi e ragazzi di quarant’anni fa. “Pensa con la tua testa!”, ci dicevano. E ci sembrava un consiglio così banale, così scemo da riderci sopra. E invece avevano ragione.

Si sta consolidando una società in cui il “sale” (nella zucca) degli uomini – e cioè l’attitudine al pensiero critico e l’abilità di ragionare in autonomia – non solo non viene “versato” nè “diffuso”, ma ne è addirittura sconsigliato l’uso. Nonostante esso sia, in realtà, il lievito dell’intelletto. Rispetto a  qualsiasi tema, molti avvertono una solta di timor panico di invadere campi che non gli “competono”. E questi campi si moltiplicano giorno dopo giorno, sotto i nostri occhi impauriti, e finiscono per colonizzare tutta l’area del dicibile, e persino del pensabile.

Il che porta a due effetti paradossali: da un lato aumenta a dismisura il numero di persone incapaci di articolare un’idea e di argomentarla (mentre aumenta, in parallelo, il numero di chi si limita a “manifestare” sentimenti di rabbia e frustrazione o a “copia-incollare” notizie, senza magari verificarne la fonte). Il sistema promuove infatti un nozionismo pseudoscientifico dove gli studenti sono trattati come barili in cui stipare informazioni; e non come centraline intellettualmente libere in cui far scoccare la scintilla di un adulto raziocinio.

Dall’altro lato, persino gli individui in grado di concepire idee creative e di operare scelte innovative se ne guardano bene per paura del “boicottaggio” sociale. Incorrendo così nella più ricercata arma di controllo di ogni regime, tale da rendere superflua persino la censura dei dominanti: e cioè l’auto-censura preventiva dei dominati.

Francesco Carraro
www.francescocarraro.com


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