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Le Madamine di Torino, il Chiamparino furioso, e il Salvini gattopardo di Davide Amerio.

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La manifestazione #SiTav organizzata a Torino, dalle ormai famose “madamine” della buona società torinese, che ha portato in piazza di tutto un po’, ci ha disvelato un po’ di cosette interessanti.

Le Madamine a Robin Hood gli fanno un baffo. Ghandi? Una pippa! Martin Luther King? Un sovversivo! Loro sarebbero dalla parte dello sceriffo di Notthingam (e del Re), degli Inglesi colonialisti e dell’Apatheid. Perché?

Perché dire #NO è una cosa brutta, non sta’ bene, non è neanche tanto educato. E così la piccola borghesia torinese è “scesa in campo”, per manifestare in favore dello sviluppo, del progresso, del lavoro.

Cosa significa? Questo sarebbe pretendere troppo, ovviamente. Come declinare i concetti di “sviluppo”, “progresso”, “lavoro”? Quali differenze sociologiche esistono tra progresso e sviluppo? Cosa significa lavoro oggi? E cosa significherà tra 10/20/30 anni? Loro non lo sanno, ma si fidano di quello che hanno fatto i governi precedenti. Sulla questione TAV (e Grandi Opere), ignorano tutto (per loro stessa ammissione), ma scendono in piazza per contestare i contestatori che oppongono delle ragioni che loro non hanno nessun interesse ad ascoltare.

Abbiamo pure ricevuto lo sberleffo della madamina convinta che la Decrescita Felice significhi tornare a pascolare le capre e le pecore su per le montagne.

E che tenerezza le due ragazze con il cartello che indica i tempi dei viaggi del Tav per raggiungere Parigi, Madrid, etc. Peccato nessuno abbia detto loro che viaggerebbero in un container, trattandosi di TAC (merci) e non di TAV.

La piazza #SITAV è la piazza di chi ha deciso di NON sapere. Decenni di studi di ingegneri, economisti, giornalisti, studiosi, intellettuali, magistrati, avvocati, centinaia pubblicazioni per spiegare, e documentare, l’inutilità di un opera, ultimo parto dei tempi di Tangentopoli. Tutti quelli che sono stati cacciati dall’Osservatorio della Val Susa, che avrebbe dovuto essere un momento di confronto e di analisi. Militarizzazione del territorio e manganellate sui manifestanti; persecuzione della magistratura torinese che ha portato avanti la tesi del terrorismo per i No Tav, smentita dalla Corte di Cassazione. Le indagini e gli arresti a noti imprenditori della Val Susa; le solite aziende che fanno capo alla sinistra (Cooperative Rosse) e quelle del centro destra (che facevano riferimento all’ex ministro Lunardi). Bugie sui lavori ripetute ogni giorno dalla stampa di regime (non un solo centimetro di galleria è stato scavato, ma solo un tunnel geognostico), accordi su accordi con la Francia per cedere pure sovranità di parti del territorio italiano alla legislazione francese (notoriamente poco avvezza a questioni di criminalità organizzata), dimenticando di spiegare perché l’Italia paga la quota maggiore di spesa, mentre la parte più lunga del tunnel è francese. Le leggi come lo “Sblocca Italia” che hanno invertito il rapporto di forza tra committente ed esecutore dei lavori, regalando a quest’ultimo poteri illimitati, mentre il primo paga senza avere più controllo sulla spesa. Eccetera, eccetera.

Se mi avessero chiesto 15 anni fa cosa pensavo del Tav, avrei risposto che non vedevo nessun motivo per non costruirla. Poi, a seguito delle polemiche che ascoltavo, ho iniziato a leggere un libro preso in biblioteca. Poi ho iniziato a leggere altro e casualmente mi sono trasferito in Val di Susa.

Quella Piazza è il simbolo della retorica che basta a se stessa; delle vittime che si fanno carnefici. Un capolavoro, sotto il profilo sociologico (se mi posso permette, per non dispiacere ai sociologi).

Nei film polizieschi che parlano di stupro, la difesa dello stupratore tenta quasi sempre di dimostrare che la vittima, in fondo, non era stata chiara nel suo messaggio di rifiuto: non aveva detto chiaramente NO, non aveva gridato, scalciato, respinto l’aggressore; e in fondo questo giustifica l’aggressore che non “aveva capito” il rifiuto e pensava a un rapporto consensuale.

In quella Piazza si è consumato un capolavoro del liberismo: la vittima è stata addestrata a pensare che dire “NO” è una brutta cosa; che dire “SI” è sempre bello e positivo. Non esiste più nemmeno l’ipotesi del rifiuto: la vittima è sempre consenziente e cede il proprio consenso a prescindere, come firmare una cambiale in bianco.

Forse parrà un paragone un po’ azzardato, ma non credo lo sia, se consideriamo come le grandi opere costituiscano uno “stupro” del territorio, un abuso a carico del debito pubblico, un pericolo per la salute dei cittadini.

I nostri tempi sono sempre più caratterizzati da forti convincimenti, inversamente proporzionali al livello di conoscenza dell’argomento trattato.

Però le madamine (e i loro amici), un bel #NO grande grande lo snocciolano anche loro: #NOZTL, no alle zone a traffico limitato, #NO ai ciclisti. E qui hanno le loro buone ragioni: come fai a girare per il centro delle città con i SUV, per fare la spesa, andare a prendere il bambino a scuola, con tutti questi divieti? Per non parlare di quei trogloditi di ciclisti che avrebbero la pretesa di girare il centro della città in bicicletta, manco fossimo un’Olanda qualunque.

Insomma dire #SI è sempre bello, ti solleva da ogni responsabilità, ci pensano gli altri a pensare per te, così puoi vivere la tua favola, ignorando tutte le conseguenze, le ingiustizie, le sopraffazioni.

La manifestazione segue a ruota,  le convulsioni politiche del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiampario, che ha mal digerito la posizione ufficiale del Comune di Torino, nei confronti della linea Torino-Lione. Il nostro sarebbe pure disposto a cercare i soldi necessari per conto proprio, dimenticandosi i “grandi” industriali che, a suo tempo, avrebbero dovuto entrare nell’affare Tav, e poi si sono ritirati, quando hanno compreso in quale bagno di sangue finanziario sarebbero finiti.

Ma questo è il tempo dell’economia pret-a-porter, si buttano miliardi nelle grandi opere fallimentari, o inutili, pagando milioni di euro i progetti affidati alle archistar (a Susa si progetta una “stazione internazionale” affidata a un achistar Giapponese), poi si va in televisione a piangere lamento sul debito pubblico, che cresce sempre, perché non si amministra lo Stato come il buon padre di famiglia che non si indebita (sic).

Il tocco finale, in queste ultime ore, ce lo offre il Matteo Salvini nazionale, quello che vorrebbe fare il governo del cambiamento, ma ogni giorno suggerisce, insieme ai suoi, perle che, di cambiamento, hanno ben poco. A furia di imbarcare voti del centrodestra, il Salvini si trova nelle condizioni di non potersi più tanto opporre ai poteri che, un governo del cambiamento vero, dovrebbe combattere.

Dopo i sussulti per la prescrizione, foriera in Italia di tante regalie ai politici di cdx e csx per evitare la galera, il tentativo di condonare i grandi evasori (evitandogli accuratamente la galera), le balbettazioni sul conflitto di interessi, ora ci regala la soluzione per la terra dei fuochi: più inceneritori per tutti!

Mica la lotta alla criminalità organizzata che lucra impunemente da decenni, con la complicità dei politici collusi, e incapaci, no! Il Matteo nazionale la guerra la fa solo ai migranti (seppur con alcune ragioni di partenza), e poco importa se in Italia si costruiscono inceneritori che danneggiano la salute. L’Ilva non ha insegnato nulla, ovviamente; nemmeno la tragedia del ponte Morandi. Fenomeni entrambi, guarda caso, che hanno visto i proprietari pagare indistintamente cdx e csx, per poter proseguire nei loro affari. Ma quando il disastro accadde, e la gente muore, si può sempre confidare nella prescrizione, quella tanto cara alla Lega.

Così il nostro sembra ogni giorno sempre più vicino a cercare una scusa per rompere il patto di governo, per tornare a dar vita al gattopardesco sistema italiano: tutto cambia affinché nulla cambi, e, obiettivamente, hanno il conforto di elettori (di dx e sx) di bocca buona, che in questi decenni si son digeriti le panzane di Berlusconi e di Renzi; quegli elettori che scendono in piazza a manifestare oggi (leghisti compresi) contro un possibile cambiamento che non riescono a comprendere. Come dargli torto: mica siamo francesi che le rivoluzioni le conoscono bene.

Davide Amerio

(Tgvallesusa.it)

 

 


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