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Le banche risolte potevano essere salvate La decisione della Corte europea sconfessa la Commissione. Intervista al prof. Gianluca Brancadoro.

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Le banche risolte potevano essere salvate. La decisione della Corte europea sconfessa la Commissione: il Fitd non era “aiuto di Stato”. Che succederà ora

Intervista di Stefano Elli al prof. Gianluca Bran adoro.

Dunque non erano aiuti di Stato. Dunque un intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per il salvataggio della Tercas era legittimo. Dunque il cordone sanitario Fitd-Banca popolare di Bari, era un affare tra privati. E, dunque (per estensione), utilizzando quel fondo si sarebbe potuto anche impedire il poker di «risoluzioni» che avrebbe messo ko una dopo l’altra Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, Carichieti e Banca Etruria. La decisione (in primo grado) del Tribunale dell’Unione europea ha accolto la tesi dei legali di Banca popolare di Bari e dell’Italia: l’intervento del fondo non sarebbe configurabile come aiuto statale, come sostenuto dall’Authority antitrust europea guidata da Margrethe Vestager, esattamente come non lo fu nel 2012 quando il Fitd intervenne a tutela dei depositanti di Banca Network investimenti. Ora la Commissione avrà due mesi di tempo per proporre appello (e di mezzo, dal 23 al 26 maggio, si terranno le elezioni). All’epoca dei fatti alla presidenza della Tercas, durante i negoziati con la Banca popolare di Bari, c’era Gianluca Brancadoro, avvocato esperto di crisi bancarie, oggi presidente del Comitato di sorveglianza di Carige, che non ha dubbi: «Per effetto di quella pronuncia i fallimenti successivi delle quattro banche sotto forma di risoluzione, sono stati onerosissimi per i risparmiatori italiani anche se non conoscendo i loro conti non sarei in grado di dire se un intervento del fondo avrebbe potuto essere risolutivo anche per loro. Quel che so – continua Brancadoro – è che quel fondo era ed è di natura eminentemente privata e come ente privato si comportò. Rammento che, alla fine del commissariamento della Banca, l’allora commissario Riccardo Sora, espose perdite per 380 milioni di euro e che la Banca popolare di Bari decise di por mano a un aumento di capitale. A quel punto il fondo fece una valutazione di opportunità e decise che l’adesione alla ricapitalizzazione sarebbe stata meno onerosa di un intervento di copertura dei depositi.

Una decisione che nulla ha di statale. Aggiungo che il meccanismo volontario del Fondo italiano di tutela è uno dei più avanzati in Europa. E che il suo meccanismo di funzionamento è studiato come un modello da almeno vent’anni in altri Paesi della Ue. Paradossalmente questa potrebbe essere una buona occasione per riportare all’attenzione delle autorità bancarie europee un modello positivo di soluzione delle crisi bancarie realizzata all’interno del sistema». Ma perché allora non si andò avanti? Perché consci della natura privatistica dello strumento si preferì battere in ritirata piuttosto che resistere, rischiando una procedura d’infrazione che avremmo potuto vincere? Forse diversamente da quanto accadde ad El Alamein: «mancò il valore, oltre alla fortuna»

Intervista di Stefano Elli al prof. Gianluca Brancadoro, Il Sole24Ore Plus, 23.3.19


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