Economia
L’auto è un bidone, ma la colpa è del software. La rivoluzione informatica che l’industria non riesce ad affrontare
Da leader dell’hardware a inseguitore del software. Toyota e i colossi dell’auto storica faticano a competere con Tesla e i marchi cinesi. Un’analisi dei motivi del fallimento.

Un decennio fa, quando Toyota cominciò ad assumere decine di esperti da Google e altre aziende tecnologiche, le aspettative erano altissime. L’obiettivo era spostare il focus dallo sviluppo hardware a quello di intelligenza artificiale e software. Gill Pratt, CEO del Toyota Research Institute, dichiarò nel 2016 che software e dati erano diventati componenti essenziali per il futuro della mobilità di Toyota.
Il colosso giapponese e altri produttori storici volevano creare un sistema centralizzato che controllasse ogni aspetto dell’auto, dal motore all’infotainment, seguendo l’esempio di Tesla e dei nuovi marchi cinesi. Peccato che poi non ci siano riusciti, con soprattutto proprio Toyota in grande difficoltà.
La classifica che condanna i produttori storici
Un recente indice di Gartner, che valuta il potenziale di monetizzazione del software, mostra un divario enorme. Nel 2025, i primi cinque posti sono occupati da Tesla e marchi cinesi come Nio, Xiaomi e Xpeng. General Motors si è classificata nona, Mercedes-Benz tredicesima e Toyota ventunesima. Secondo Tsuguo Nobe, ex dirigente Intel e Nissan, pochi produttori tradizionali sono in grado di competere con i nuovi arrivati nella creazione di un sistema operativo per auto.
L’industria sembra destinata a seguire l’esempio degli smartphone, con pochi sistemi operativi dominanti (come iOS e Android). Questa transizione sposterà il modello di business dalla semplice vendita di veicoli a motore, con margini di profitto ridotti, verso software e servizi. Le aziende sperano così di creare nuove fonti di guadagno.
I problemi di Toyota e la frustrazione degli ingegneri
Toyota ha investito anni per sviluppare la sua piattaforma software, chiamata Arene. Tuttavia, il risultato non è stato all’altezza delle aspettative. Al suo debutto, Arene gestirà solo il sistema di infotainment e le tecnologie di sicurezza avanzate sul SUV RAV4, mentre l’integrazione completa è ancora lontana. Lo stesso John Absmeier, CTO di Woven by Toyota, ha ammesso che non si tratta di un “big bang”. Un ingegnere del team è stato ancora più critico, definendo Arene “orrendo” e pieno di bug, più una serie di strumenti che un vero sistema operativo.
Il problema di Toyota non è unico. Anche Volkswagen, Renault e Mercedes-Benz hanno incontrato difficoltà e si sono rivolte a partner tecnologici. Tuttavia, queste collaborazioni hanno creato nuove tensioni, con i produttori che lottano per il controllo dei dati e dell’esperienza di guida.
Un cambio di mentalità impossibile
Izumi Kawanishi di Sony-Honda Mobility sostiene che per un’azienda con una storia basata sull’hardware è estremamente difficile passare a uno sviluppo “software-first”. A Toyota, gli ingegneri esterni, abituati alla velocità della Silicon Valley, si sono scontrati con la cultura conservatrice e orientata al consenso dell’azienda. Inoltre l’auto è vista come un elemento di solidità, che non pul dipendere solo dall’aggirnamento di un software.
Un ex dirigente ha spiegato che la prudenza del Giappone è un’arma a doppio taglio: ottima per la sicurezza del prodotto, ma pessima per l’innovazione rapida.
Anche Volvo Cars ha affrontato problemi simili. Nonostante l’assunzione di Jim Rowan, ex capo di Dyson, per guidare il cambiamento digitale, lo sviluppo del sistema informatico centrale per il modello EX90 è stato rallentato da ritardi e costi eccessivi. Rowan si è dimesso e il suo successore ha dovuto annunciare 3.000 tagli di posti di lavoro e una spesa straordinaria di 1,2 miliardi di dollari, in gran parte dovuta ai ritardi.
Il paradosso del software: più computer, più problemi
Le auto elettriche richiedono una potenza di calcolo molto superiore a quelle tradizionali, per gestire batterie e frenata rigenerativa. Questo impone una transizione verso architetture a zone, che riducono la complessità del cablaggio e il peso del veicolo. I produttori storici, lenti nella transizione all’elettrico, si trovano svantaggiati, devono investire molto e con risultati mediocri.
Nonostante le difficoltà, i colossi dell’auto continuano a investire miliardi. BMW ha in programma di lanciare la piattaforma Neue Klasse, con quattro “super-cervelli” che offrono una potenza di calcolo 20 volte superiore ai veicoli attuali. Anche Mercedes-Benz ha assunto circa 3.000 sviluppatori, ma ha deciso di non fare tutto da sola, collaborando ad esempio con Google per l’assistente vocale.
L’incognita della monetizzazione
Resta aperta la questione su come i produttori guadagneranno dal software. General Motors, che puntava a ricavi di 25 miliardi di dollari all’anno dai servizi software, ha smesso di installare Apple CarPlay e Android Auto su alcuni dei suoi modelli elettrici. Ford, invece, ha avuto successo con la sua flotta commerciale Ford Pro, che vende abbonamenti per dati e servizi di manutenzione, un esempio di come monetizzare l’informazione. Però deve legare qualcosa di fisico, la manutenzione, al semplice software.
Per Toyota, l’approccio è stato cauto: lanciare il software sul RAV4, un modello di punta ad alto volume, per minimizzare i rischi. La reputazione di affidabilità è stata una priorità. Akio Toyoda, nipote del fondatore e attuale presidente, continua a credere nella trasformazione da produttore di auto a fornitore di servizi di mobilità, ma la strada è lunga e piena di ostacoli. Come ha detto un dirigente di Volvo, “Non c’è un manuale su come si fa, e se sei il primo, devi scriverlo tu stesso.” Senza contare che i clienti possono essere stufi di essere considerati
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