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L’ACCORDO TRANSATLANTICO TTIP UE-USA: L’INIZIO DELLA FINE (di Giovanni Bottazzi)

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Si ripetono dichiarazioni di intenti di carattere ufficiale, nel tentativo di rilanciare l’immagine del trattato TTIP, ormai offuscata da troppe magagne. E’ successo nel più recente incontro dei leader dei Paesi più industrializzati, riuniti il 7 giugno a Elmau, in Baviera, per il G7. Di fronte alla crescente evidenza delle contraddizioni e ipocrisie insite nelle proposte del Trattato, solo per dovere di facciata promotori e fiancheggiatori si prestano ancora a dichiarazioni di fiducia sempre più formali, sempre meno credibili e sempre più sgradite; perché sono già molti e sempre più numerosi coloro che ritengono invece che il percorso dei negoziati si sia messo tutto in salita.

A Elmau i leader europei riuniti per il G7 dovevano compiacere l’amico americano, il Presidente Obama, già scoraggiato di suo per gli insuccessi in patria. Infatti, campane a morto hanno suonato per il TTIP sull’altra sponda dell’Atlantico, quando non molti giorni fa, dopo una violenta battaglia all’interno del partito democratico, il Senato USA ha votato negativamente sull’apertura del dibattito per la concessione di un’autorità negoziale speciale (Tpa) al presidente Barack Obama. In sostanza, il Presidente Obama si è visto rifiutare il consenso di avvalersi per l’occasione della corsia preferenziale TPA, per velocizzare le trattative. Questo blocca Obama (per ora) e ciò significa una clamorosa battuta d’arresto per gli accordi commerciali internazionali TTIP (ed anche Ttp), perché la procedura di approvazione da parte del Congresso diventa così più complicata e laboriosa.

Battuta d’arresto per il TTIP anche in Europa, a Strasburgo, dove il Parlamento UE il 6 giugno ha rimandato il voto sul Trattato. Una doppia vittoria per la folla sterminata dei cittadini che si sono già dichiarati contrari al trattato, riuniti in molte associazioni diverse, su cui sventolava la bandiera NO-TTIP, movimento che ha prodotto oltre due milioni di firme contrarie raccolte fra i cittadini europei. Ma sarebbero stati molti di più i cittadini che si sarebbero espressi negativamente se avessero potuto conoscere fin da principio la proposta, la sua natura e le negoziazioni alla vista ed alla critica dei cittadini europei, i veri destinatari del Trattato; in altri termini, se non fosse stata imposta all’inizio la segretezza che.

Questa battuta d’arresto nelle trattative concederà un certo recupero sul tempo perso dall’opinione pubblica per prendere conoscenza delle cose, tempo sottrattole in maniera carbonara. Sicché ora è palese a tutti che la responsabilità di una malaugurata accettazione di quelle proposte, che avvenisse senza sostanziali purificazioni dalle clausole manifestamente più sfacciate, ricadrebbe sui governi che hanno scelto imprudentemente e di nascosto di intraprendere i negoziati, dandone mandato alla Commissione Europea. La prudenza avrebbe consigliato diversamente.

Tutto questo però potrebbe essere tacciato di contrarietà preconcetta, a prescindere. Sennonché cominciano a far presa, anche tra chi prima era non schierato soprattutto perché disinformato, voci meno sospettabili di rifiuto ideologico: sono quelle di due economisti statunitensi molto noti, entrambi premi Nobel per l’economia. L’autorevole voce di Nobel Joseph Stiglitz denunzia il trattato di ipocrisia: non si tratta di libero scambio, visto il livello già generalmente basso dei dazi doganali vigenti, quanto di abbattere le barriere non doganali, ossia i modi di produrre, le sicurezze di qualità. Analogamente, Paul Krugman mette in guardia rispetto allo scopo dichiarato.

 

In sostanza, il trattato è presentato come trattato di libero scambio, ma in realtà è un cavallo di Troia: contiene infatti meccanismi che mirano a sovvertire gli assetti stabiliti faticosamente negli anni in molti ambiti della vita dei cittadini, in equilibri faticosi che tengono conto delle condizioni dei territori. Il TTIP tende ad una uniformazione delle diversità territoriali, imponendo un modello estraneo a tutti, se non agli interessi di poche, grandi società multinazionali, già estranee perfino al loro Paese d’origine. Queste società sono contigue alla filiera finanziaria, che ha già prodotto i tremendi problemi scoppiati nel 2007-8, una crisi mondiale prima finanziaria, poi economica, che ora rischia di trasformarsi in una grave crisi sociale, molto probabile se entrassero in vigore quei trattati.

Come sempre, parliamo dell’agricoltura, dove le cose sono meglio comprensibili. Chi in cuor suo può dare ragione alla multinazionale Monsanto, detentrice di brevetti delle sementi transgeniche, di vietare agli agricoltori locali di produrre ed usare sementi proprie, perché il suo governo malauguratamente ha firmato un certo trattato? Ma quel governo aveva chiesto in precedenza, a quell’agricoltore, se era d’accordo, oppure non gli ha tenuto accuratamente nascosto quel particolare? Chi non capisce che c’è qualcosa di contrario alla dignità umana, c’è un affronto al buon senso?

E poi, che dire se il Trattato appoggia la causa di Monsanto con gli strumenti del silenzio, o la segretezza dei negoziati, e con un falso sistema giudiziario che istituisce tribunali speciali a tutela dell’investitore estero? Chi non capisce che è interesse dell’agricoltura ovunque, ma soprattutto in Europa e tanto più in Italia, salvaguardare i mille saperi creatisi in tempi lunghissimi, a cominciare dalla regola “dei tre campi”? Ora, quelle regole hanno consentito e consentono di adattare le sementi ai terreni ed alle altre condizioni locali, da noi estremamente vari; mentre ora si pretenderebbe, come vorrebbero Monsanto e compagne, di adattare invece i terreni alle sementi, con l’intervento di concimi chimici, diserbanti selettivi, fitofarmaci e quant’altro, in modo insostenibile nel tempo e funzionale solo al bilancio di quelle compagnie!

Ma ora Monsanto forse vuol fare di meglio: forse intende entrare nella fortezza Europa passando per la finestra. Secondo alcune voci, sembra che intenda entrare in possesso delle concorrente svizzera Syngenta.  Qui, da noi, non se ne sentiva proprio il bisogno; ma di queste cose non si parla e non si scrive: qui gli argomenti principali restano penosamente più provinciali, a cominciare dalle vicende capitoline, di Roma, mafia capitale…

Giovanni Bottazzi


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