Non conosco Anna Zafesova. So però che con questo pezzo pubblicato sul magazine del Sole 24 Ore (http://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2016/12/i-sogni-non-si-devono-avverare/?refresh_ce=1) è diventata l’eroina degli orfani del Sì, che lo condividono su Facebook accompagnandolo con una litania di lamentele contro il destino cinico e baro. A leggerlo si resta basiti. Ma rappresenta alla perfezione il modo di pensare e lo stato d’animo di quelli della Zona 1 di Milano, uno dei pochi posti in Italia dove ha vinto il Sì, che ieri circolavano per le strade del centro con l’aria stupita e indignata di chi non vuole accettare il fatto che le borse non sono crollate dopo la vittoria del No. Già il titolo della riflessione della nostra intrepida Anna (che ho scoperto essere moglie dell’opinionista turbo-liberista Giorgio Arfaras, uno dei tanti che ammorba con la sua presenza gli studi televisivi ripetendo da anni lo stesso ritornello in lode del libero mercato) è tutto un programma: “I sogni non si devono avverare”. La spiegazione è nel sottotitolo: “L’Italia è un paese che non vuole cambiare, ogni tanto l’Economist ci azzecca”. L’attacco del pezzo è sarcastico, roba forte: “E così è tutto finalmente chiaro. I liberali hanno votato per i comunisti. I partigiani per i fascisti. I leghisti per i terroni. I giovani per i vecchi. I grillini per la casta. E viceversa”. Grande artificio retorico, anche se i primi due punti non sono chiarissimi. Già più comprensibile “i leghisti per i terroni”, in quanto le percentuali più alte a favore del No si sono raggiunte nel Mezzogiorno, o meglio Terronia per dirla alla Zafesova. Fantastico “i giovani per i vecchi”, visto che i primi hanno votato in massa per il mantenimento della Costituzione, un no al cambiamento che secondo l’autrice dovrebbe essere appannaggio dei vecchi. I giovani si sarebbero quindi fregati da soli propiziando un risultato che invece fa comodo solo ai cattivi vegliardi. La Zafesova si scaglia quindi contro quelli che hanno votato No “con il cuore a sinistra, ansiosi di mandare a casa il leader che gli aveva regalato percentuali di voto in cui non avevano mai potuto sperare”. Forse la nostra fustigatrice non ha capito che questi elettori hanno votato contro Matteo Renzi perché ha fatto politiche di ultra destra sequestrando un partito che un tempo era di sinistra. Sarebbero masochisti se sostenessero un leader che ha rottamato le loro idee solo perché è arrivato ad avere fino al 40 per cento dei voti (che dire poi della narrazione del Bomba secondo cui il 40 per cento che ha messo una croce sul Sì alle prossime elezioni voterà compatto per lui? Un’affermazione priva di logica, come sentenziare che tutti quelli che avevano votato per la monarchia si sarebbero poi espressi a favore del Partito Monarchico). E adesso arriva l’affondo: “Oggi tutti dicono che Renzi, e tutti noi, non abbiamo ascoltato la pancia, non abbiamo capito il popolo e la sua rabbia. Non raccontiamoci frottole”. Giusto, basta frottole, che adesso vengono chiamate post-verità. Un neologismo che ha avuto l’onore di essere pronunciato, ovviamente deplorandolo, da Renzi nel suo discorso di semi-commiato. Peccato che lo stesso Renzi abbia disseminato di post-verità la sua campagna referendaria, non ultima l’incredibile rimonta dei Sì (evidentemente a una settimana dal voto stavano sotto di almeno trenta punti). “Noi la pancia la conosciamo, la vediamo ogni giorno, la sentiamo brontolare. Non abbiamo bisogno di corsi accelerati per scoprire come vive, cosa vuole e quanto è incazzata”, assicura la Zafesova, che dall’alto delle sue conoscenze spara: “E non diciamo che chi non è d’accordo con noi ha delle ragioni che vanno rispettate”. Insomma, chi non è d’accordo con noi del Sì è uno stronzo (e probabilmente dovrebbe essere spedito in Siberia). Non ci credete che abbia detto così? Leggete quello che ha scritto subito dopo: “Se alla pancia si chiede se le piace il modo in cui viene riempita, risponderà sempre no. E se a qualcuno piace sentirsi pancia, deve ricordarsi dove si trova il suo sbocco”. In effetti non avevo capito bene, non si parla di stronzi ma di culi (e pensare che i sostenitori del Sì si considerano raffinati e reputano volgare l’accozzaglia del No). Implacabile come il Grande Inquisitore, la Zafesova erompe: “Non raccontiamoci la storia che la linea divisoria passa tra un’élite che si è chiusa nella torre d’avorio e il popolo, lasciamo queste terminologie da marxismo per gli asili”. Ed ecco che ci illumina sulla natura delle vere fratture: “La linea divisoria passa tra chi vuole cambiare e chi stava bene quando stava peggio. Tra chi si guadagna da vivere e chi campa di rendita, e sa che potrà contare su qualche appartamentino o villetta ereditato dai genitori. Tra chi parla inglese non per finta e chi si esprime in dialetto”. Mah, a dire il vero tutto fa pensare che le più grosse proprietà immobiliari siano appannaggio di chi vive nella Zona 1 di Milano mentre il partita Iva che eredita dai genitori la villetta a Mezzana Bigli difficilmente riesce a vivere di rendita. In quanto all’inglese, a guardare Youtube sembra proprio che la Raggi lo sappia pronunciare molto meglio di Renzi. Ma questo è ancora niente, il meglio della rodomontata zafesoviana arriva adesso: la linea divisoria passa “tra chi preferisce fare il figo in provincia invece che competere nella metropoli”. Cari bresciani, bergamaschi, padovani e veronesi, per la Zafesova siete degli inutili vitelloni che passano le giornate al bar a dire stupidaggini. Alzate le chiappe e venite a Milano, se ne avete il coraggio! Ma di certo non l’avete perché, è ovvio, voi non siete tra coloro che vogliono modernizzarsi (“il che non significa necessariamente vivere più tranquilli e protetti di prima”, precisa la Zafesova, seguendo il verbo di Tommaso Padoa-Schioppa, il padre della patria europea che sul Corriere della Sera auspicava di “attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere”). I provinciali, secondo la Zafesova, appartengono alla categoria di “chi chiede i posti fissi, chi vuole le protezioni dei piccoli politici locali, chi vuole chiudere la domenica, chi sostiene che il liceo classico italiano sia la migliore scuola del mondo, chi ha paura di non essere più competitivo”. In effetti è molto meglio essere precari a vita e lavorare sette giorni su sette. In quanto alle protezioni dei piccoli politici locali, è stato proprio Renzi a elogiare Vincenzo De Luca, che però, nonostante la sua ostentazione di reti clientelari, non è riuscito a fare vincere il Sì nella sua Campania. In quanto al liceo classico, spiace irritare la Zafesova, ma è proprio la scuola migliore del mondo perché ha l’obiettivo di sviluppare lo spirito critico. Mentre la modernissima scuola sostenuta dalla Zafesova è solo capace di fare imparare qualche conoscenza tecnica totalmente inutile dal punto di vista lavorativo perché verrà presto resa superflua dall’industria 4.0. Spirito critico che la scuola zafesoviana annega nel bagnomaria del politicamente corretto. Altrimenti non si potrebbe apprezzarenel modo dovuto questo frammento di prosa: “La differenza è tra chi vuole il mondo liquido, globalizzato, multi culturale, multietnico, multisessuale, multi tutto, razionale e non del cuore, con ciascuno che si sceglie l’identità che vuole e risponde per se stesso. E chi non ci vuole stare”. Uno spirito arretrato potrebbe opporre che anche il cuore vuole la sua parte. Ma la Zafesova è implacabile: “Abbiamo sbagliato in una sola cosa: a trattarli come dei bambini e non dire loro la verità. E cioè che Babbo Natale non esiste. Dal treno della globalizzazione non si può scendere. Le leggi dell’economia sono inesorabili quanto quelle della fisica, e non sono imposte dalla Goldman Sachs, dalla Merkel e dalla dittatura dei mercati”. Certo, cara Zafesova, è tutto inciso sul marmo, immutabile. Non c’è alternativa, come ama dire la cancelliera tedesca. Le cose stanno così perché le leggi dell’economia sono inesorabili e a te che non vivi nella Zona 1 di Milano non resta che accettarle. Giù la testa, coglione, diceva James Coburn nel film di Sergio Leone ambientato nella rivoluzione messicana. Chissà come reagirebbe la Zafesova se leggesse “Houellebecq economista”, il saggio che Bernard Maris, membro del Consiglio Generale della Banca di Francia (oddio, puzza di Cnel, sopprimiamolo!) ha scritto poco prima di essere ucciso nella strage di Charlie Hebdo. Maris condivideva il pensiero di Hèléne, personaggio del romanzo di Houellebecq “La Carta e il territorio”. Professoressa di economia, il suo interesse per la materia da lei insegnata “è molto diminuito nel corso degli anni. Sempre di più le teorie che tentano di spiegare i fenomeni economici le sembravano inconsistenti, azzardate e assimilabili a pure e semplice ciarlataneria…” Per Hèléne era “sorprendente che si assegnasse un premio Nobel di economia, come se tale disciplina potesse valersi della stessa serietà metodologica, dello stesso rigore intellettuale della chimica o della fisica”. Perché Hèléne, e Maris con lei, “sorride quando vede un esperto parlare di crisi della borsa: nel giro di una settimana si scoprirà che tutti i suoi pronostici erano falsi” (ma in caso di vittoria del No la borsa non doveva crollare?). Hèléne è disillusa: “La sua vita professionale consisteva insomma nell’insegnamento di assurdità contraddittorie a dei cretini arrivisti”. Come è blasfema questa Hèléne, le leggi dell’economia sono inesorabili, non possono essere messe alla berlina. La blasfemia deve essere punita, Maris la pensava come Hèléne ed è stato punito… Passato il limite, la Zafesova è lava di vulcano che tutto travolge: “Il No non fa che rendere più pesanti le condizioni del cambiamento, come è stato per l’ohi greco”. Capita l’antifona? Del risultato del referendum ce ne freghiamo, come ha fatto Tsipras. “La scelta è chiara”, tuona la Zafesova, “e l’antagonismo palese. Gli adulti e i bambini, gli autosufficienti e gli assistiti, quelli che cercano di capire e di risolvere e quelli che – sì, diciamolo finalmente, basta con il politicamente corretto, lo dite voi, no? – non capiscono niente”. Ed ecco l’apoteosi: “Non siamo pronti a morire per il loro diritto di esprimere le proprie opinioni, perché per farsi un’opinione bisogna prima fare qualche sforzo. O noi, o loro”. Forse ha ragione chi sostiene che l’Isis sia stato partorito in Occidente. Verrebbe voglia di non andare avanti nell’analisi dell’invettiva. Che però, nel finale, diventa involontariamente comica. La Zafesova sostiene che, a causa della vittoria del No, si moltiplicheranno i cervelli in fuga. “Chi resta però non deve tirare un sospiro di sollievo. Quando tutti i rompiscatole se ne saranno andati arriveranno i cinesi”. Ma non ci sono già? Con la Zafesova facciamo quattro passi nel delirio: “Chi non voleva riformarsi da solo, o sotto la spinta della troika, lo farà sotto la frusta degli asiatici, che non terranno referendum. Chi oggi vota No perché ha paura che le loro figlie verranno molestate dai musulmani domani dovrà farsi piacere dei rampanti generi cinesi”. Qui siamo alla commedia erotica all’italiana degli anni Settanta, con un Lando Buzzanca dagli occhi a mandorla che ghermisce un’ingenua Edwige Fenech. Ma se disprezzi il liceo classico come fa la Zafesova, i parametri culturali sono questi. Per fortuna il gran finale dell’invettiva sembra ispirata a un capolavoro di Stanley Kubrick,Il Dottor Stranamore: “In Italia non ci sarà mai più un politico che promuoverà le riforme, perché saprà che finirà fucilato da un fuoco incrociato. Questo non significa che l’Italia non cambierà. Ma il suo cambiamento sarà molto più doloroso, e lascerà sul terreno molte più vittime. E non si potrà accusare nessuno, perché ora sappiamo finalmente chi è stato”. Indovinate da che parte sta la barbarie…
Eriprando Sforza
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