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Analisi e studi

La vera differenza tra la crisi del 2008 e quella del 2020? Il premier Conte e il Movimento 5 Stelle (di Claudio Pisapia)

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Il crollo finanziario del 2008, a cui il fallimento della Lehman Brothers diede inizio, fu denso di conseguenze, catastrofiche sicuramente ma anche illuminanti.

La maggior parte dei lettori comprenderà subito cosa intendo quando scrivo “conseguenze catastrofiche”, la mente volerà ai titoli dei giornali e alle aperture dei telegiornali, al ricordo dei suicidi e delle aziende che abbassavano le saracinesche, alle richieste di aiuto degli imprenditori e alle file alle mense dei poveri. Poi all’austerità e a Monti, alla stretta sulle pensioni e alla Fornero.

Ma perché “illuminante”? Mi spiego.

Dopo il 2008 abbiamo scoperto che 1) le agenzie di rating potevano dare giudizi da tripla “a” ad aziende (magari banche) che erano destinate al fallimento il giorno dopo e che quindi il loro giudizio non valeva nulla, 2) che il governatore della Federal Reserve Ben Bernanke poteva rispondere in TV a chi lo intervistava che i soldi immessi nel sistema per salvare le banche non venivano dalle tasse dei cittadini ma era una delle possibilità a costo zero delle banche centrali (cioè,  le banche centrali “possono creare soldi semplicemente aumentando le riserve delle banche commerciali detenute dalle banche centrali”, schiacciando quindi un pulsante), 3) che il governatore della Banca Centrale Europea Mario Monti poteva rassicurare l’intervistatore sul fatto che le banche centrali “non possono finire i soldi”.

Insomma, la crisi del 2008 ci fornì gli elementi per comprendere in maniera anche plateale, in TV e su youtube, che il sistema si basava su false verità e che il denaro non era il vero problema. Questo si poteva creare alla bisogna mentre ciò che servivano erano controlli, separazione dei ruoli, costruzione di un muro tra economia reale e finanziaria, salvaguardia degli interessi dei cittadini e delle imprese dallo strapotere dei poteri finanziari a cui erano state date le chiavi del mondo.

Sarebbe bastato un po’ di visione politica, di buona informazione e di attenzione da parte delle comunità perché tutto cambiasse, ma non successe nulla. Tanto che le élite realizzarono che in fondo la misura non era colma, che eravamo indifferenti alla nostra stessa sorte … e decisero di affondare il coltello.

La storia continua e alla crisi del 2008 seguì la crisi del 2011, quella dei debiti pubblici. Tutti i debiti privati diventarono pubblici, cioè un peso per i cittadini, quelli che non avevano partecipato alla festa furono chiamati a rimettere insieme i cocci. La grande finanza non voleva perderci, aveva oramai compreso che il popolo non aveva capito ciò che era successo nel 2008 nonostante avessero detto la verità a reti unificate, che in fondo banche e mercati avevano più sostenitori che delatori (c’era addirittura chi voleva cambiare le Costituzioni per dare più spazio al globalismo finanziario), e che l’idea di recuperare le perdite finanziarie ritirando dalla circolazione benessere poteva anche passare se si fosse continuato ad utilizzare l’arma del “siamo tutti nella stessa barca”. E di fatto questa idea, per quanto assurda, sembra continuare a convincere i più, di conseguenza remiamo insieme, mano nella mano, con Apple, Amazon e FCA verso il baratro cantando felici “bella ciao”.

Sembra proprio che la maggioranza delle persone preferisca seguire il rassicurante pastore fino al macello per paura del lupo. Pochi riflettono sul fatto che il macello da meno possibilità di salvezza del lupo e ancor meno persone vogliono riflettere sull’evidenza che dal 2008 in poi si sarebbe potuto aggiustare tutto semplicemente lasciando gestire la crisi finanziaria alla finanza stessa, senza trasformarla in economia reale, che si poteva rispondere ai soldi con i soldi rimettendo al centro la persona e i suoi bisogni, i lavoratori, le aziende e le famiglie.

Ma far passare il concetto che i soldi non siano un problema avrebbe messo da parte l’élite che sa come gestirli e strumentalizzarli, o meglio, avrebbe eliminato il potere che attraverso il suo monopolio queste “società strumentalizzanti” esercitano sulle popolazioni, avrebbe insomma sconvolto gli equilibri politici e sociali mondiali. Il sovvertimento del rapporto denaro = potere avrebbe addirittura potuto dare pane e lavoro a tutti, quindi questa idea folle non doveva passare. E non è passata.

Infatti arrivò Monti, la Fornero e gli equilibri europei a rimettere tutto a posto. A far sembrare che l’unica via per uscire dalla crisi era quella del dolore e della sofferenza. E talmente sono stati convincenti che è diventato impossibile dire il contrario, rappresentare la semplicità dell’assurdità di tali assunti.

Cosa ci resta a questo punto se non la certezza che l’unica via è l’attesa. L’attesa del disastro e della caduta finale, perché solo a quel punto sarà chiaro quello che sta succedendo e che non è più possibile fermare. Non è utile opporsi alla folla che scalpita e urla, come non serve provare a farsi ascoltare da Lilly Gruber.

In questi giorni siamo andati oltre grazie sia al Recovery Fund che al nostro Primo Ministro Conte, che ha lottato fino allo stremo insieme al M5S arrivando agli applausi finali in Parlamento. Ha lottato perché non si scegliesse il MES e alla fine ha vinto, portando a casa un grande risultato. Quale?

Quello di aver fatto completamente dimenticare gli insegnamenti, seppur di velata memoria, che per fare quello che farà il Recovery Fund, o che avrebbe potuto fare il MES, devono farlo invece le Banche Centrali che ne hanno gli strumenti ed esistono per questo. E che possono farlo senza indebitare i popoli, restituendo loro democrazia attraverso la restituzione della proprietà della moneta. Conte è riuscito nell’arduo compito di annullare gli ultimi residui di ricordo delle parole di Bernanke e Draghi, è riuscito ad eliminare dai dibattiti i paper della BCE e persino della BRI (Banca dei Regolamenti Internazionali) che dimostravano la possibilità di intervento delle banche centrali durante le crisi. Conte ha eliminato qualsiasi speranza che si ritorni a parlare di monetizzazione dei debiti sovrani.

E grazie alla sua opera nell’Eurozona si consolida l’idea di un “gold standard without gold”, cioè un sistema dove la moneta è merce nonostante non sia più rappresentativa di un gold standard da almeno cinquant’anni.

Ha rafforzato l’idea che uno Stato per avere soldi deve chiederli a qualcuno, chiamare a raccolta i nanetti per scavare buche sotto le montagne svizzere o nel lontano Klondike. Un anacronismo storico che confonde i nostri figli, mette contro le generazioni che si ritrovano nemiche e rafforza il potere di chi gestisce il denaro a scapito di chi vive di forza lavoro, di sudore e di inventiva. Conte e il M5S hanno contribuito a rendere divino il capitale, professandosi contemporaneamente difensori del popolo e dei lavoratori.

E ancora gli applausi riecheggiano, come quelli che accompagnarono l’ultima ballata dei musicisti del Titanic.

Claudio PISAPIA 


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