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Analisi e studi

La Ue ci chiede il rispetto di regole incompatibili con gli stessi Trattati europei (di P. Becchi e G. Palma)

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Articolo a firma mia di Giuseppe PALMA e Paolo BECCHI su Libero di ieri, 21 novembre 2018:

Ci siamo. Oggi la Commissione europea, alla luce delle osservazioni che il governo italiano ha inviato a Bruxelles nei giorni scorsi, pubblicherà il suo parere sulla nostra manovra finanziaria per il 2019. È probabile l’avvio di una procedura di infrazione per deficit eccessivo, anche se la questione verrà affrontata formalmente dall’Eurogruppo che si terrà il 3 dicembre. La procedura di infrazione è un particolare meccanismo sanzionatorio posto in essere dalla Commissione europea nei confronti degli Stati che non rispettino i vincoli di bilancio. È proprio questo il punto. Di quali vincoli pretende il rispetto la Commissione? I Trattati istitutivi dell’Unione (Maastricht e Lisbona) prevedono che il rapporto deficit/Pil sia contenuto entro il parametro del 3%, la legge di bilancio presentata dal governo italiano prevede invece solo il 2,4%, quindi addirittura al di sotto di quanto previsto dai Trattati. La verità è che la Commissione non guarda più ai Trattati della Ue, bensì al Fiscal compact, ossia quel Trattato intergovernativo firmato per noi da Mario Monti il 2 marzo 2012, che prevede quale nuovo criterio del rapporto deficit/Pil quello dello 0,5%, cioè il pareggio di bilancio. Il Fiscal compact non è un Trattato istitutivo dell’Unione, benché al suo articolo 2 preveda espressamente che «Il presente trattato si applica nella misura in cui è compatibile con i trattati su cui si fonda l’Unione europea e con il diritto dell’Unione europea […]». Il punto è proprio questo. Il Fiscal compact non è compatibile coi Trattati istitutivi dell’Ue, i quali non solo prevedono criteri di convergenza differenti (sipensi ad esempio al rapporto deficit/pil), ma addirittura anche finalità diverse. Maastricht e Lisbona prevedono ad esempio l’obiettivo della piena occupazione, del benessere dei popoli e del progresso sociale, mentre il Fiscal compact contempla soltanto la stabilità finanziaria degli Stati dell’area-euro allo scopo di salvaguardare la tenuta della moneta unica. Per questo l’Italia, oltre a bloccare i 20 miliardi di euro con cui ogni anno contribuisce al bilancio Ue, dovrebbe pretendere ai tavoli europei il rispetto dei criteri di convergenza dei Trattati, estromettendo dalle trattative le regole del Fiscal compact. A quel punto noi ci impegneremmo a restare all’interno del tetto del 3% del rapporto deficit/pil, ma solo se la Germania rientrasse dal suo eccessivo ed illegittimo surplus commerciale, visto che sono anni ormai che viola impunita i Trattati in tal senso. La Commissione europea non considera neppure il fatto che sono quasi trent’anni che l’Italia, al netto degli interessi passivi sui titoli del debito pubblico, fa avanzo primario, cioè spende per la collettività meno di quanto incassi, erodendo continuamente ricchezza privata. E avanzo primario, benché dimezzato, faremo anche il prossimo anno. Quindi cosa vogliono da noi i tiranni di Bruxelles e Francoforte? O si sta in Europa alla pari oppure è meglio andarsene. Meglio soli che male accompagnati.

di Paolo BECCHI e Giuseppe PALMA su Libero di ieri, 21 novembre 2018

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